Negli ultimi decenni il progressivo accesso delle donne nel mondo del lavoro ha indotto importanti ricadute sulla sfera domestica, al punto che si può osservare come il modello familiare uomo breadwinner – donna caregiver stia lentamente lasciando il posto a quello del doppio lavoro. In Italia, più che altrove, è con l’assunzione delle responsabilità familiari che i percorsi femminili e maschili si divaricano, evidenziando così una stretta relazione fra gap di genere e ciclo di vita familiare. Il tema delle differenze uomo-donna è stato affrontato in riferimento a diversi ambiti e particolarmente feconda si è rilevata l’analisi sull’allocazione del tempo, che permette di indagare in dettaglio il contributo dei due generi all’organizzazione familiare e di individuare quali gruppi di popolazione stiano concorrendo alla riduzione delle disuguaglianze di genere all’interno delle mura domestiche. Entro questa cornice si colloca la riflessione sulla nuova paternità, spesso evocata a sostegno dell’immagine di un nuovo stile maschile che si allontana dalla tradizionale e prioritaria attenzione ai bisogni economici della famiglia per maturare una nuova sensibilità rispetto alle necessità affettive e di cura.
Il lavoro (di cura) maldiviso
E’ un dato di fatto che nell’ambito della cura filiale le madri siano ancora le principali protagoniste, e ciò avviene non solo nelle famiglie in cui a lavorare è unicamente il padre, ma anche in quelle a doppio reddito. Dai dati dell’ultima indagine Istat sull’Uso del Tempo (del 2008/2009) emerge che le madri occupate dedicano in media ai figli circa 1 ora e mezzo al giorno (il doppio dei loro partner) mentre, se non partecipano al mercato del lavoro, il gap di genere si dilata ulteriormente a causa del maggiore contributo materno e del minore apporto dei compagni alla gestione dei figli (figura 1). La tendenza alla riduzione delle differenze di genere è stata più evidente nelle coppie con donna lavoratrice, dove la quota di lavoro di cura materno è passata dal 68,3% (2002-03) al 66,4% (2008-09).
Quali padri sono più coinvolti?
La quantità di tempo dedicato da padri e madri ai propri figli dipende da molteplici fattori, quali l’età, l’istruzione e il reddito dei partner, il tipo di coppia (sposata o in unione libera) e di famiglia (mononucleare, plurinucleare o con isolati), il numero e l’età dei figli e, non ultimo, il luogo in cui vive la coppia. Queste condizioni possono agire diversamente negli uomini e nelle donne e indurre, ad esempio, un aumento del coinvolgimento dei padri o piuttosto una riduzione di quello delle madri. La tabella 2 mostra alcuni risultati di un modello di regressione sul tempo dedicato dai padri ai propri figli nelle coppie a doppio lavoro e permette di individuare in quali contesti e a quali condizioni emerga la figura del “nuovo padre”, che accudisce i propri figli, gioca e legge con loro, li aiuta nei compiti e li sorveglia. E’ noto che mano a mano che crescono i figli questi richiedono meno tempo di cura. Ciò emerge con nettezza anche dai dati italiani, che mostrano chiaramente come entrambi i genitori siano più presenti quando i figli sono piccoli. Rispetto a quanto accade in presenza di figli in età scolare, i padri con bambini più piccoli accrescono il tempo di cura di 42 minuti quando in casa c’è solo un figlio con meno di 5 anni e di ulteriori 15 quando i bambini piccoli sono due o più.
Tra i fattori che incidono sul comportamento paterno vi è il tipo di occupazione: così come mostrato in altri studi, i lavoratori dipendenti appaiono essere più coinvolti nella cura filiale rispetto agli autonomi. Questo dato nasconde l’influenza dell’orario lavorativo che, essendo minore per la prima categoria, conferma l’idea di un maggiore investimento nel momento in cui si ha più tempo a disposizione. A parità di altre condizioni, anche l’età dei padri ha un certo effetto, perché i padri più giovani seguono di più i propri figli. Vivere in famiglia con altre persone determina un mutamento nel comportamento maschile: in questa condizione i padri (ma non le madri) appaiono meno coinvolti, probabilmente perché la disponibilità di altri adulti in casa – solitamente genitori o parenti – consente loro di delegare con maggior facilità.
Notiamo inoltre l’effetto della composizione di genere dei figli: per le madri, avere figli piccoli maschi o femmine non fa alcuna differenza mentre, al contrario, i padri appaiono preferire i figli maschi. Non è la prima volta che emerge una relazione fra investimento paterno e composizione per genere dei figli: si tratta di risultati meritevoli di ulteriori approfondimenti con riferimento sia alle differenze nel tipo di cura che bambini e bambine ricevono dai padri e dalle madri, sia alle conseguenze che la maggiore presenza paterna sui maschi può determinare nei successivi percorsi di vita delle nuove generazioni. E’ infine da sottolineare che nelle coppie a doppio lavoro i tempi che madri e padri rivolgono alla cura non dipendono dalle caratteristiche del coniuge, ma sono piuttosto dettati da condizioni individuali come i tempi di lavoro e, ancor di più, dalle caratteristiche dei figli. L’interesse e la dedizione nei riguardi dei propri bambini non appare perciò il risultato di uno scambio o una contrattazione fra padre e madre, quanto di una complementarietà tra i due ruoli, chiaramente connotati a livello di genere.
Un padre ideale
Quali sono quindi i fattori che inducono i padri ad essere più partecipi nella vita dei lori figli? Oltre alla presenza di una compagna impegnata nel mercato del lavoro, sono i padri che vivono nel Nord o nei grandi centri urbani, quelli più giovani e con un maggiore livello di istruzione che presentano una disposizione che si potrebbe definire in linea con un stile genitoriale più moderno, il quale, fra l’altro, si accompagna ad un maggiore impegno sul fronte della partecipazione alle attività domestiche.
Le più recenti tendenze indicano una riduzione del gap di genere nella cura genitoriale. Per proseguire nel cambiamento occorrerebbero azioni capaci di promuovere fra gli uomini maggiori opportunità di condivisione del lavoro familiare ed una organizzazione sociale più sensibile alle istanze delle famiglie. Tutto ciò potrebbe contribuire al raggiungimento di un miglior bilanciamento fra vita privata e lavoro e a contenere i livelli di insoddisfazione femminili nella divisione del carico di cura, anche questi decisamente superiori a quelli maschili.
Per saperne di più
Bruzzese D., Romano M.C. (2006), La partecipazione dei padri al lavoro familiare nel contesto dellaquotidianità. In A. Rosina, L.L.Sabbadini (a cura di), Diventare padri in Italia, ISTAT, Collana Argomenti (31).
Canal T. (2012), Paternità e cura familiare, Osservatorio Isfol (II, 1: 95-111).
Mammen K. (2011), Fathers’ Time Investments in Children: Do Sons Get More?, Journal of Population Economics ( 24): 839-871.