Ipotizzando una progressività d’uscita dall’occupazione, la media dei periodi di quiescenza (in termini più demografici, la vita media che ci si può attendere a partire dall’età media di uscita dal lavoro) si può calcolare in 17,3 anni per gli uomini e in 27,9 per le donne[2]. Da questi calcoli sembrerebbe dunque che il rapporto tra la vita lavorativa e quella da pensionati sia pari a 2,1 per gli uomini e a 1,2 per le donne.
I diversi comportamenti delle generazioni
Se però ricostruiamo, per il possibile, la storia lavorativa di alcune generazioni, ci accorgiamo che i comportamenti sono notevolmente cambiati nel corso del tempo. Ad esempio, la metà dei lavoratori maschi nati tra il 1946 ed il 1950 ha cominciato a lavorare prima dei 19 anni, mentre nelle generazioni nate tra il 1961 ed il 1965 ciò è avvenuto, in media, solo dopo i 21 anni (Tab. 1). Per le donne, questo ritardo è stato ancor più importante: da meno di 17 anni a quasi 22 anni, a riprova del grande balzo che le giovani donne hanno segnato nel giro di poche generazioni nel prolungamento e nella diffusione dell’istruzione superiore.
Generazioni
(anno di
nascita)
|
Maschi
|
Femmine
|
|||||
Età
mediana
d’ingresso
|
Durata totale della occupazione a 50 anni
|
Età
mediana
d’ingresso
|
Durata totale della occupazione a 50 anni
|
||||
occupati
|
totale
|
occupati
|
totale
|
||||
1946-1950
|
18,9
|
30,0
|
29,3
|
16,9
|
30,8
|
15,1
|
|
1951-1955
|
19,9
|
29,6
|
28,0
|
17,2
|
30,6
|
16,2
|
|
1956-1960
|
20,4
|
28,7
|
27,1
|
20,2
|
25,0
|
17,2
|
|
1961-1965
|
21,1
|
…
|
…
|
21,9
|
…
|
…
|
A 50 anni, queste generazioni hanno potuto contare su una durata residua della vita che si è andata allungando ogni anno di circa 0,3 anni e che ha ormai superato i 30 anni per gli uomini ed i 35 per le donne. Per tutte le generazioni, quindi, l’equilibrio contributivo richiederebbe la permanenza al lavoro ben oltre il 50° compleanno, così come, del resto, hanno fatto le generazioni 1946-1950 che, giunte al 60° compleanno, hanno cumulato circa 36 anni di lavoro gli uomini e 18,5 le donne.
Luci e ombre nel futuro
Le preoccupazioni maggiori riguardano soprattutto le generazioni più recenti, quelle che hanno rinviato ancora di più il loro ingresso sul mercato del lavoro o hanno trovato particolari difficoltà ad iniziare un lavoro che producesse una contribuzione previdenziale. Per molti dei loro componenti – ai quali si applicherà integralmente la riforma “Dini” – la storia contributiva e lavorativa dovrà necessariamente estendersi al di là del 60° compleanno per assicurare l’equilibrio previdenziale. In breve: il lavoro oltre i 60 anni diventerà la norma, e non più l’eccezione, e sarebbe bene prepararsi fin d’ora a questo scenario, sia come individui sia come collettività, ad esempio cominciando a pensare a seri programmi di aggiornamento e riqualificazione professionale.
Questa esigenza, però, potrebbe venire mitigata da due fattori che agiscono nel senso opposto. Da una parte, l’aumento dell’attività lavorativa femminile, che è oggi particolarmente bassa in Italia in rapporto agli altri paesi industrializzati, e che ha dunque più ampi margini di crescita. Dall’altra, l’ingresso di un significativo numero di immigrati, per i quali il rapporto tra anni di lavoro e anni di pensione appare, al momento, particolarmente alto.