Troppa famiglia
Troppa famiglia nella politica. Non tanto per l’accavallarsi nel corso del mese di maggio di incontri (dal “family day” alla Conferenza governativa sulla famiglia) dedicati all’analisi della famiglia – considerata nei molteplici aspetti etici, culturali, valoriali, economici, sociali o politici – quanto per l’eccessiva dilatazione dei temi che riguardano la famiglia che quindi, a detta dei più, dovrebbero essere risolti dalle “politiche familiari”. Avviene così che qualsiasi tema – l’istruzione, la devianza, la non autosufficienza, la malattia, la povertà, il lavoro – diviene, per i più entusiasti, palestra di esercitazione per individuare gli interventi che meglio “sostengono” la famiglia, indebolita e ammaccata, ma pervasiva e universale. E poiché quasi tutti gli italiani vivono in “famiglia”, qualsiasi problema che tocca l’individuo si riverbera anche sull’istituzione familiare che diventa possibile destinataria di interventi ad hoc. E così le vere “politiche familiari”, che debbono essere poche, specifiche e ben provviste di mezzi, rischiano di perdersi in un confuso rumore di fondo.
Ufficialmente, più del 99 per cento degli italiani vive in “famiglia” (il residuo 0,7 per cento vive in collettività), ma si tratta di famiglie anagrafiche, la cui burocratica definizione include anche chi vive da solo. C’erano 5,5 milioni di famiglie “individuali” (un quarto del totale; dati del censimento del 2001, ma non molto è cambiato poi), prevalentemente persone anziane, ma anche parecchi giovani in attesa di un legame, o adulti che legami non ne hanno formati o li hanno interrotti. Altri 4,2 milioni di famiglie (quasi un quarto del totale) era costituito da coppie senza figli, nella maggioranza dei casi perché se ne sono andati di casa. Possiamo dire che le politiche familiari interessano soprattutto quei 6,3 milioni di nuclei familiari (il 10 per cento dei quali con un solo genitore) che includono 10 milioni di figli minori i quali, oltre che amati e guidati, debbono essere nutriti, vestiti, curati, educati. In totale, circa 22 milioni di persone tra genitori e figli, quasi il 40 per cento della popolazione totale. Naturalmente, anche i bisogni delle altre famiglie vanno considerati: ma è in questo 40 per cento di italiani che si pongono i veri nodi della società. E, cioè, se i genitori,soprattutto le madri, riescano a combinare lavoro e allevamento; se le aspettative riproduttive vengano soddisfatte o frustrate; in che misura un figlio in più aggravi la situazioni di disagio o generi povertà; se la formazione dei figli sia sufficiente ad assicurarne il buon inserimento nella società ed un agevole percorso di autonomia.
La lenta transizione all’autonomia
Tuttavia, quanto sopra detto deriva da un’osservazione “statica” della società e della sua struttura familiare. Ciò semplificherebbe al massimo le politiche familiari. Ma, nel corso della loro vita, tutti gli individui passano per condizioni familiari diverse: di figli, di adulti soli, di partner senza figli, poi con figli e poi ancora senza figli, di nuovo di persona sola (v. tab. 1). Una successione di situazioni che divorzi, separazioni, nuovi matrimoni complicano in misura crescente. Per cui la questione non è a quale famiglia offrire sostegno (con le controversie, stucchevoli per un paese laico, di cosa sia la famiglia; se si debba parlare di famiglia o di famiglie; se sia ammissibile la famiglia omosessuale; ecc.) ma bensì in quale forma offrire sostegno – e quale sostegno – alla stessa persona nel corso della sua vita, nei vari contesti in cui si trova.
La difficoltosa e lenta transizione dei giovani alla piena autonomia economica costituisce il più cruciale dei passaggi da una condizione “familiare” ad un’altra. I giovani italiani sono pochi di numero (per la bassa natalità); finiscono tardi gli studi e la formazione; entrano tardi nel mercato del lavoro; formano tardi una famiglia; fanno tardi le scelte riproduttive. Più tardi rispetto a due o tre decenni fa; più tardi rispetto agli altri paesi europei. Chi lavora, guadagna poco e meno che in passato, con salari d’ingresso notevolmente ridotti rispetto agli adulti (
v. Rosolia e Torrini). Un disastro per lo sviluppo: pur con la stessa popolazione, gli occupati giovani (uomini e donne) sono nettamente meno numerosi che in Francia e in Gran Bretagna. Che quindi la questione giovanile sia priorità assoluta non è retorica, ma evidente necessità.
Il Fo.N.Do
Una politica sociale orientata ad accelerare e sostenere la transizione dei giovani all’autonomia sarebbe un energico investimento per il paese. Va dunque riproposta una misura appena abbozzata nel programma elettorale dell’Unione. Chiamiamola “fondo” (Fo.N.Do – fondo per i neonati e dotazione di capitale per i giovani): ad ogni neonato viene intestato un conto vincolato nel quale confluiscono sia un contributo dello stato sia contributi privati (fiscalmente deducibili, ma non eccedenti il contributo pubblico); al compimento della maggiore età, il capitale maturato entra nelle piene disponibilità del giovane. Nel caso in cui il fondo venga utilizzato, entro un’età prefissata, per progetti di formazione o di avvio di un’attività professionale o imprenditoriale, il giovane ha la possibilità di richiedere un “prestito di autonomia”, di ammontare anche eccedente il capitale maturato, con garanzia dello stato (garanzia parziale, allo scopo, tra l’altro, di responsabilizzare i normali intermediatori finanziari che tale prestito concedono). Nel caso di un contributo dello stato di 500 euro l’anno, e di donativi privati di pari entità, alla maggiore età il capitale maturato nel Fo.N.Do sarebbe dell’ordine di 24.000 euro, e congiuntamente al prestito di autonomia potrebbero raddoppiarsi le risorse per perseguire il progetto personale. Per le famiglie con redditi più alti, il contributo dello stato potrebbe essere nullo o minimo ma al contributo privato potrebbe essere consentito di arrivare ad un tetto più alto; per le famiglie più povere il contributo dello stato potrebbe essere massimo; per quelle a reddito intermedio vi sarebbe un’adeguata modulazione. In questo modo, dal beneficio del Fo.N.Do, e dal possibile prestito di autonomia, non sarebbe escluso nessuno, perché il più agevole raggiungimento dell’autonomia interessa tutti i giovani. Una prima valutazione del costo per l’erario (nel caso che il Fo.N.Do venga concesso ai neonati e a tutti i minori di 8 anni), con un contributo medio di 500 euro, si situa per il primo anno (supponiamo il 2008) attorno ai di 2,6 miliardi (0,18% del PIL); a regime (nel 2018) l’incidenza sul PIL sarebbe poco più che doppia. Se il bilancio pubblico non avesse risorse, si potrebbe immaginare di aumentare l’imposizione su consumi “non virtuosi” (giuoco, alcol, tabacco…) e ciò a favore di un più che “virtuoso” investimento volto al futuro.
Lo scopo primario di un provvedimento del genere consiste nel potenziare i giovani, attenuando le disuguaglianze di partenza e con evidenti ricadute sullo sviluppo. Trasforma un moderato contributo pubblico in una robusta leva finanziaria che ne può moltiplicare l’impatto, quadruplicandolo. Un raddoppio, perché si coinvolgono contributi privati alla costituzione del Fo.N.Do; un ulteriore raddoppio, di norma, mediante il prestito di autonomia, se concesso. Ci sono anche importanti effetti secondari: un’autonomia precoce alleggerisce la famiglia di origine di costi sia monetari che psicologici (l’ansia di “sistemare” la progenie); essa può anche anticipare la costituzione di una nuova famiglia, con conseguenze positive sulla natalità. Una politica familiare al quadrato: per la famiglia di partenza come per quella di approdo. E per suscitare fiducia nel futuro.
Tab. 1. Anni potenzialmente vissuti secondo l’età il genere e la condizione familiare, 2003
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Anni vissuti dagli uomini
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Anni vissuti dalle donne
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CONDIZIONE FAMILIARE
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numero
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%
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numero
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%
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Persona sola
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5.5
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7.1
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10.7
|
12.9
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In coppia con figli
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49.7
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64.5
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47.0
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56.8
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Come genitore
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23.1
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30.0
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22.6
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27.3
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Come figli
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26.6
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34.5
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24.4
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29.5
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In nucleo monogenitore
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5.4
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7.0
|
8.0
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9.6
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Come genitore
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0.8
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1.1
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4.2
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5.0
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Come figlio
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4.6
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5.9
|
3.8
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4.6
|
In coppia senza figli
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13.3
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17.3
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12.6
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15.2
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In famiglia con più nuclei
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1.4
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1.8
|
1.6
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1.9
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In altro aggregato
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1.8
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2.3
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2.9
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3.5
|
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Totale
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77.2
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100
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82.8
|
100
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Nota: Sono gli anni che una generazione di uomini, o di donne, vivrebbe nelle varie condizioni familiari con una sopravvivenza e una modalità di associazione familiare invarianti nel tempo e uguali a quelle osservate nel 2003. La non perfetta coincidenza dei valori di coppia per uomini e donne si deve alla diversa numerosità dei due insiemi e alla variabilità campionaria dei dati su cui sono basati i calcoli.