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Bastano gli asili nido gratuiti per risollevare la fecondità italiana? L’esempio del Friuli Venezia Giulia

Le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia sono spesso indicate tra le cause della bassa fecondità italiana. Una relativa facilità di accesso agli asili nido e la loro sostanziale gratuità sono sufficienti per avere un figlio in più? Non ci sono proiettili d’argento, perché i fattori in gioco sono numerosi, come rivela uno studio sulla situazione in Friuli Venezia Giulia nel 2017-2020.

La sempre maggiore importanza della questione demografica in Italia ha fatto in modo che il tema del sostegno alle famiglie diventasse via via più comune nel dibattito politico. Nell’opinione pubblica si è fatta strada l’idea che la causa della bassa fecondità sia sostanzialmente economica (ISTAT, 2017): crescere un figlio costa soldi e costa tempo, specie nei primi anni di vita del bambino, tempo che viene sottratto all’attività lavorativa. I sostegni rientrano in due grandi categorie: quelli monetari diretti, come l’Assegno Unico e Universale, e quelli finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro e famiglia, tra cui un ruolo preponderante è svolto dai sussidi alla frequentazione dei nidi d’infanzia. Una maggior partecipazione femminile al mercato del lavoro è associata ad una maggiore fecondità: i nidi in particolare, come suggerito da precedenti studi (Del Boca, 2002), dovrebbero avere un effetto positivo sul numero di nuovi nati tramite la miglior conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Un caso di studio: il Friuli Venezia Giulia

In un recente articolo ho esaminato l’effetto del sussidio regionale in Friuli Venezia Giulia (FVG) per la frequentazione dei nidi d’infanzia (abbattimento rette) sulla fecondità nel periodo 2017-2020 (Dimai, 2023). Il FVG, come regione autonoma, ha la potestà legislativa e gli strumenti finanziari per perseguire politiche di sostegno alla natalità. Peraltro, in regione vi sono tutte le condizioni affinché gli incentivi funzionino: bassa natalità, uguale alla media italiana di 1,25 nel 2021, disponibilità di posti nei nidi ben superiore alla media italiana (33,8% della fascia d’età 0-2 contro media italiana del 26,1%), continuità della misura, attiva dal 2005 e potenziata nel tempo, costo contenuto dei nidi con sostanziale gratuità a partire dall’anno educativo 2019-2020 dal secondo figlio in poi. La quasi totalità delle domande è stata finanziata, per cui l’ottenimento del sostegno è sovrapponibile alla frequentazione del nido.

I soldi aiutano, ma non sono tutto

L’ottenimento di una certificazione ISEE è un prerequisito per l’accesso ai benefici: analizzando questi dati e le richieste di abbattimento rette è stato possibile valutare se l’ottenimento del sussidio aumenti la probabilità di avere un figlio in più. I risultati, evidenziati nella figura 1, mostrano come, per le occupate, l’ottenimento dell’abbattimento rette aumenti la probabilità di avere un altro figlio dopo averne avuto uno nel 2016 (primo o secondogenito), ma, la differenza, anche se statisticamente significativa, è contenuta (linea blu contrapposta alla viola per i primogeniti e linea verde contrapposta alla grigia per i secondogeniti). L’accesso ai nidi e la loro sostanziale gratuità non sembrano essere il “proiettile d’argento” in grado, da solo, di risollevare la fecondità italiana. Non, almeno, sulla base dell’esperienza del FVG.

C’è chi dice no (al nido)

Tra le famiglie che decidono di usufruire dei nidi d’infanzia e quelle che decidono altrimenti ci sono differenze, come si vede nella figura 2. In particolare, nelle famiglie che non usufruiscono dei nidi la madre è molto più frequentemente non occupata, mentre la differenza per i padri è minima, più alta è anche la quota di famiglie con entrambi i genitori stranieri, in cui quindi il figlio non è cittadino italiano. Si tratta di famiglie in cui, pur avendo un reddito complessivo minore rispetto alle famiglie che usufruiscono dei nidi (27.309 contro 32.610), il reddito del padre compensa in gran parte il mancato reddito della madre. Si tratta di famiglie leggermente più numerose (con 1,75 figli contro 1,52) e più spesso proprietarie delle case in cui vivono (37,5% contro 23,6%).

Nel confrontare le famiglie che hanno avuto accesso ai sussidi regionali con famiglie simili è emersa una quota di famiglie che hanno una probabilità molto bassa di usufruire dei nidi d’infanzia. In particolare, lo status occupazionale della madre è la variabile più importante per predire l’uso dei nidi d’infanzia. In gran parte non si tratta di donne che si definiscono disoccupate – anche se in caso di dimissioni o scadenza del contratto entro il primo anno di vita del bambino spetta la NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego,) – bensì di donne che si definiscono casalinghe. 

Le erogazioni alle famiglie condizionate all’uso dei servizi per l’infanzia perseguono il duplice fine di aumentare l’occupazione femminile e aumentare la fecondità. Bisogna però considerare che i servizi per l’infanzia, per quanto di qualità (in FVG necessitano di accreditamento) e accessibili, non sempre corrispondono a ciò che le famiglie desiderano per i loro figli. E quindi l’effetto sulle nascite risulterà minore rispetto a misure universali.

Quali alternative?

L’analisi evidenzia altri fattori che contribuiscono alla decisione di avere un altro figlio, alcuni economici, altri no. Riguardo ai fattori economici, lo status occupazionale della madre nel lasso di tempo in esame non sembra avere un effetto significativo sulla probabilità complessiva di avere un figlio in più, ma lo ha sul timing, con una leggera posticipazione. Il patrimonio familiare, di cui la casa di abitazione è spesso parte preponderante, ha un effetto maggiore rispetto al reddito: è verosimile che famiglie con un patrimonio maggiore, quindi finanziariamente più stabili, siano più propense a decidere di avere un ulteriore figlio, in linea del resto con studi precedenti sull’importanza delle condizioni abitative nella decisione di procreazione (Vignoli et al., 2013).

Per sostenere la fecondità l’accesso ai nidi d’infanzia a un costo abbordabile è solo un tassello di un mosaico più grande. I risultati dello studio condotto in FVG sembrano indicare che le coppie attribuiscono grande importanza alla stabilità, abitativa e finanziaria. Misure regionali di sostegno in merito sono già in vigore, come i contributi per l’acquisto della prima casa, che favoriscono specificatamente le coppie che lasciano i nuclei familiari di origine. Il loro effetto sulla fecondità, però, è ancora tutto da studiare.

*Le opinioni espresse dall’autore sono esclusivamente personali, senza nessun coinvolgimento dell’amministrazione di appartenenza.

Per saperne di più

Del Boca, D. (2002). The effect of child care and part time opportunities on participation and fertility decisions in Italy. Journal of Population Economics, 15(3), 549–573. https://doi.org/10.1007/s001480100089

Dimai, M. Shall we have another? Effects of daycare benefits on fertility, a case study in a region in Northeastern Italy. Genus 79, 13 (2023). https://doi.org/10.1186/s41118-023-00194-w

ISTAT. (2017). La salute riproduttiva della donna. ISTAT.

Vignoli, D., Rinesi, F., & Mussino, E. (2013). A home to plan the first child? Fertility intentions and housing conditions in Italy. Population, Space and Place, 19(1), 60–71. https://doi.org/10.1002/psp.1716

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