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La cittadinanza negata tra malafede e viltà

L’approvazione finale, da parte del Senato, del disegno di legge “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza” (comunemente e impropriamente noto come legge sullo “ius soli”), votato dalla Camera quasi due anni fa, è stata “rimandata” a settembre. Ma che il linguaggio non inganni: si tratta quasi sicuramente dell’affossamento di un provvedimento lungamente atteso, frutto di delicati compromessi ed equilibri, ma sostanzialmente giusto e positivo. Sarà difficile che si trovi il tempo e la volontà politica per recuperarlo entro la fine della legislatura. Come detto nel titolo, l’affossamento è la conseguenza di malafede e di viltà. La malafede è di coloro che collegano la legge all’attuale ondata di profughi che sbarcano sulle nostre coste. Costoro dipingono la legge in discussione come uno sciagurato provvedimento destinato ad ingigantire questa ondata di disperati, ammaliati dalla prospettiva di generare figli in terra italiana e perciò destinati a diventare automaticamente nostri concittadini. Una legge, dunque, destinata ad inquinare ulteriormente l’identità, la cultura e i valori della nostra società, a eroderne la coesione…se non peggio. Viene taciuto che la legge concederebbe la cittadinanza solo ai figli di immigrati con almeno un genitore titolare del diritto di soggiorno permanente o in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per la concessione del quale servono, oltre alla legale residenza di almeno 5 anni di uno dei genitori, altre condizioni: un reddito minimo, un’abitazione dignitosa, il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Se queste condizioni non ci sono – e non ci possono essere per i nati da immigrati irregolari o legalmente in Italia da meno di 5 anni – niente cittadinanza italiana.

Siamo di fronte dunque ad uno ius soli assai selettivo, o temperato, come si usa dire, che si accompagna ad un’altra via complementare di acquisizione della cittadinanza riservata ai bambini giunti in Italia prima dei 12 anni, e che vi abbiano frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli di scuola. E’ il cosiddetto ius culturae, volto a facilitare l’integrazione di bambini che in gran maggioranza sono già italianizzati dal sistema scolastico. Una finestra è concessa anche ai ragazzi giunti in Italia dopo i 12 anni, che possono essere naturalizzati dopo una permanenza di 6 anni, e la frequenza di un ciclo scolastico e il conseguimento del titolo conclusivo. Certo è legittimo opporsi alla legge, se questa viene ritenuta troppo generosa, o erronea; ma è colpevole falsarne deliberatamente il contenuto. Questa, appunto, si chiama malafede, che impronta la propaganda anti migratoria di una rumorosa destra italiana.

L’affossamento della legge sta avvenendo anche per la viltà delle forze politiche che siedono in Parlamento che l’hanno sostenuta alla Camera, ma rifiutano di appoggiarla al Senato o che essendosi astenute alla Camera, intendono far lo stesso in Senato (dove, però, l’astensione conta come voto contrario). Fa premio su ogni considerazione di merito, la paura di perdere consensi, dal momento che il vento dei sondaggi mostra un crescente disorientamento dell’opinione pubblica sulla questione migratoria. I tempi non sarebbero “maturi”, si dice; l’approvazione della legge attizzerebbe ulteriormente le componenti xenofobe; altre questioni più urgenti (legge di bilancio, legge elettorale) incalzano…occorre ripensare, riconsiderare, correggere. E quindi rimandare, possibilmente alla prossima legislatura.

Come detto all’inizio, la legge in discussione è frutto di bilanciamenti e di compromessi, è sicuramente perfettibile, non soddisfa pienamente – tra le persone ragionevoli – né i più generosi né i più prudenti. Ma è un passo nella giusta direzione, atteso da anni, che fornisce un’opportunità d’integrazione in più ad una collettività di minori stranieri di oltre un milione di persone. Che elimina, per la maggioranza di questi, un elemento di discriminazione rispetto ai loro coetanei autoctoni, compagni di scuola e di vita. Che stringe il legame con la società nella quale vivono e crescono.

Neodemos ha più e più volte mostrato, e speriamo dimostrato, che la società italiana continuerà a lungo ad aver bisogno di migranti. Perché l’immigrazione sia, come deve essere, un gioco a somma positiva, occorre che i meccanismi di integrazione funzionino, e che si eviti la formazione di una società duale con una sottoclasse di immigrati, poveri di risorse e di diritti.

Neodemos, alla vigilia della pausa estiva, sollecita contributi sulla questione della cittadinanza. Il contributo di Gian Carlo Blangiardo, che oggi pubblichiamo, solleva la questione delle possibili situazioni di disparità, potenzialmente problematiche, che la nuova legge – se approvata – introdurrebbe tra i membri di una stessa famiglia. Ci auguriamo che altri interventi siano in arrivo.

 

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