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La povertà degli italiani prima e dopo la grande crisi

L’Istat ha appena reso disponibili i dati sulla povertà assoluta nel 2017: oltre 5 milioni di persone, una su dodici, sono prive dello stretto necessario per vivere. La povertà assoluta riguarda l’8,4% della popolazione, in crescita rispetto al 7,9% del 2016. Si tratta dei livelli più alti mai toccati dall’inizio della rilevazione nel 2005, a conferma che gli effetti della crisi continuano a mordere la società italiana. Un approfondimento della questione si trova nella Relazione Annuale della Banca d’Italia, resa pubblica lo scorso Maggio nella sezione “Disuguaglianze e povertà: generazioni a confronto prima e dopo la grande recessione” (pp. 66-67), che riportiamo integralmente qui di seguito. L’analisi si arresta al 2016, ma i dati appena diffusi per il 2017 rafforzano le conclusioni degli analisti dell’Istituto di Via Nazionale.

Disuguaglianza e povertà: generazioni a confronto prima e dopo la grande recessione

La crisi economica ha lasciato un’eredità pesante alle famiglie italiane, ma assai differenziata tra le diverse generazioni. Tra il 2006 e il 2016 il reddito equivalente reale si è ridotto del 20,9 per cento per le persone che vivono in nuclei “giovani”, ossia quelli con capofamiglia con meno di 40 anni; è invece aumentato dell’1,6 per cento per le persone appartenenti a famiglie “anziane” (quelle il cui capofamiglia ha più di 65 anni; figura, pannello a). Queste ultime nel 2006 percepivano il reddito equivalente più basso nel confronto fra generazioni, mentre nel 2016 sono state tra quelle con il reddito più alto. Anche il rischio di povertà, che nel 2006 era su livelli simili per i due tipi di famiglie, negli ultimi dieci anni è cresciuto per le persone appartenenti ai nuclei giovani, risultando nel 2016 circa il doppio del rischio in cui incorrono coloro che vivono in famiglie anziane (al 32,5 e al 15,7 per cento, rispettivamente; figura, pannello b).

Tali sviluppi riflettono la maggiore ciclicità dei redditi da lavoro rispetto a quelli da pensione, nonché il tendenziale aumento tra le famiglie giovani del peso degli stranieri, mediamente connotati da livelli reddituali inferiori¹. Vi avrebbero contribuito inoltre le caratteristiche del welfare italiano, storicamente più generoso sul piano previdenziale e meno nel sostegno alle famiglie in difficoltà economica. Solo di recente si è iniziato a discutere circa l’introduzione di strumenti di integrazione al reddito delle famiglie povere: una prima misura, denominata. Reddito di inclusione (REI), è stata prevista dal D.lgs. 147/2017 ed è divenuta operativa dal gennaio 2018. All’interno delle singole generazioni è aumentata la dispersione dei redditi equivalenti, soprattutto tra le famiglie giovani. È possibile valutare come le diverse dinamiche tra classi di età, in termini di reddito medio e di dispersione, abbiano influito sull’andamento complessivo della disuguaglianza. A tal fine si può scomporre la deviazione logaritmica media² dei redditi in due parti: una attribuibile alla differenza nella dispersione dei redditi medi tra famiglie giovani e anziane, l’altra legata alla varianza interna a ciascun gruppo. Quest’ultima componente spiega gran parte dell’incremento della disuguaglianza complessiva, che nel decennio 2006-2016 è cresciuta del 22,0 per cento. L’aumento della disuguaglianza è stato parzialmente attenuato dai mutamenti intervenuti nella struttura per età della popolazione. Nel decennio sopra considerato infatti la quota di individui che vivevano in nuclei giovani si è ridotta di dieci punti percentuali, mentre è aumentata di circa cinque punti quella di coloro che facevano parte di famiglie anziane. Tali andamenti hanno risentito sia dell’invecchiamento della popolazione, sia del rinvio, probabilmente influenzato dalla crisi economica, nella formazione di nuovi nuclei familiari da parte dei più giovani³. Annullando tali variazioni – ossia tenendo fissa al 2006 l’incidenza delle diverse classi di età rispetto al totale della popolazione – l’aumento della disuguaglianza sarebbe stato superiore (pari al 25,0 per cento)4

Note

¹Restringendo fra le famiglie giovani l’attenzione ai soli nuclei con capofamiglia nato in Italia, sia il calo del reddito equivalente (pari al 15,2 per cento tra il 2006 e il 2016) sia l’aumento dell’incidenza della povertà (passata nello stesso periodo dal 19,1 al 25,0 per cento) risultano mitigati ²Indice sintetico di disuguaglianza con la proprietà di essere scomponibile tra gruppi; i suoi andamenti sono simili a quelli del più noto indice di Gini (cfr.Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Banca d’Italia, Statistiche, 2018). ³L’età media del capofamiglia è infatti aumentata più dell’invecchiamento medio della popolazione; la probabilità di essere capofamiglia per i giovani tra i 18 e i 40 anni è diminuita di tre punti percentuali. 4 L’aumento sarebbe stato leggermente inferiore restringendo l’attenzione ai soli nuclei con capofamiglia nato in Italia

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