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Intervista a Bernardo Colombo

Lo scorso 26 aprile è mancato il prof. Bernardo Colombo, all’età di novantadue anni. E’ stato una delle figure più rappresentative della demografia italiana del secondo dopoguerra. Nella sua lunga carriera ha coniugato ricerca scientifica di alto livello ad una continua attenzione agli aspetti delle politiche.

Lo vogliamo ricordare riportando due passaggi estratti da una lunga intervista pubblicata nel volumetto Bernardo Colombo. Una vita per la scienza, edito dal Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Padova nel 2009, in occasione del suo novantesimo compleanno([1]). Il primo passaggio è relativo all’attività di ricerca, il secondo al rapporto con gli studenti. 

Quando inizia il suo interesse per la Demografia?

(…) a Venezia, nel settembre 1945. (…).Il prof. Uggè mi ha suggerito il posto di capo ufficio statistica all’Ufficio Regionale del Lavoro, una istituzione voluta dal Governo Militare Alleato. Vi entravo a sostituire un assistente cafoscarino di Storia Economica che per primo l’aveva occupato. Feci esperienze interessanti (…).

Dopo due anni all’Ufficio Regionale del Lavoro passavo a Ca’ Foscari, come assistente incaricato per un anno, e poi di ruolo. Con questo, si aggiungevano le esercitazioni per i due corsi di Statistica tenuti da Uggè (…). Erano per me anni duri (…). Poi, un giorno, Uggè mi suggerì di fare una verifica a proposito del rialzo della natalità durante la guerra in alcuni Paesi (…). Egli aveva visto, sulla Rivista di Politica Economica, un articolo di Corrado Gini, pubblicato nel 1947. Gini in esso fermava l’attenzione sui rialzi della natalità che si erano verificati in alcuni Paesi durante la guerra. Uggè mi propose di controllare se questo fenomeno potesse venire imputato a variazioni strutturali delle popolazioni coinvolte. Mi misi al lavoro approfittando delle ricche collezioni di Annuari Statistici e Demografici di vari Paesi esistenti nel Laboratorio. Attento alla letteratura, trovai in un numero del 1947 di Population Studies un articolo di John Hajnal che mi indirizzò diversamente. Hajnal esprimeva l’opinione che quel recovery of the birth rate negli anni di guerra potesse essere dovuto a un making up di nascite differite nel periodo della grande crisi mondiale degli inizi degli anni ’30. In realtà, la fertilità finale delle coppie interessate sarebbe rimasta costante. Mi resi conto che, per verificare l’attendibilità di quella ipotesi, si rendeva necessario ricorrere a confronti nel tempo di misure specifiche, oltre che per età, anche per distanza dalle nozze e storia riproduttiva. Misure, per le quali numerosi Paesi fornivano i dati correnti utili per numeratori di quozienti specifici, ma nessuno – non dico anno per anno, come sarebbe stato necessario, ma neppure in occasione di censimenti demografici – rendeva disponibile l’informazione necessaria per i denominatori. Concentrandomi sul problema, mi venne in mente come si poteva porre rimedio a questa mancanza lavorando in modo appropriato sulle serie annuali delle statistiche correnti. Da questa intuizione è nato un libro, che mi è costato molto da vari punti di vista: per ricerca di documentazione che integrasse quella già disponibile a Venezia (alla Bocconi, alla Cattolica, all’ISTAT); per una infinità di calcoli – circa un anno su una Brunswiga, una Mercedes Euklid semiautomatica, sul regolo, di volta in volta scegliendo la strada che mi consentisse di massimizzare il risparmio di tempo –; per coprire il costo della stampa del libro.

Ma quella ricerca mi ha dato anche molto. Innanzitutto, la padronanza di strumenti di analisi demografica. E poi il rispetto per i dati di fatto. Avevo dimostrato che sì, in vari Paesi, la fertilità era venuta aumentando proprio durante la guerra. Come causa del fenomeno mi ero avventurato a formulare giudizi del tipo di quelli che capita di leggere in note di sociologia, di scienza politica, e via dicendo. Erano contenuti nelle tre o quattro pagine finali del manoscritto. Il prof. Uggè, mi chiese: «Puoi dimostrarlo?». Dovetti rispondere di no, e quelle pagine scomparvero.

Professore, ha accennato più volte al suo impegno nella didattica, sia a Ca’ Foscari che a Padova. Tra lezioni, esami, tesi ne ha visti di studenti. Quale è stato il suo rapporto con loro?

Il rapporto è stato intenso, malgrado gli impegni romani di vario tipo. E mi pare che sia stato sempre serio e sereno. Mi capita ancora si incontrare studenti cafoscarini che mi vengono a salutare, e naturalmente anche padovani. Rapporti più particolari ho avuto con laureandi: 221, pare, a Padova, e una bella serie anche a Venezia. Di quasi tutti conservo un ricordo. A casa, ho anche una collezione di foto di laureate che, divenute mamme, gentilmente mi hanno fatto avere per augurio natalizio una foto loro con prole.

Ancora un ricordo. A Venezia, in una sessione d’esami, ho fatto un esperimento. Chi si presentava segnava su una scheda anonima il voto che pensava di poter ottenere. A esame concluso ne compilava un’altra indicando il voto che pensava di aver ottenuto. Ricordo che confrontando queste ultime con il voto registrato, si è visto che in media gli esaminati si erano dati un voto inferiore a quello preso.


[1] Il volume è disponibile fino a esaurimento presso la segreteria scientifica del Dipartimento, via C. Battisti, 241, 35121 Padova.

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