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Cina: vicina la fine della politica del figlio unico

Lo scorso ottobre, un influente thinktank cinese, la China Development Research Foundation, ha preannunciato il contenuto di un rapporto col quale si raccomanda che venga posto termine rapidamente alla politica del figlio unico, ponendo il limite di due figli in alcune province fino da quest’anno, estendendo tale limite a tutto il paese a partire dal 2015, ed eliminando ogni vincolo prima nel 2020. Queste raccomandazioni – in attesa della pubblicazione del rapporto completo – sono state comunicate alle agenzie, e un portavoce della Fondazione ha dichiarato “la Cina ha pagato un alto costo… per questa politica che ha determinato conflitti sociali, alti costi amministrativi ed indirettamente provocato l’alto squilibrio tra i sessi alla nascita”1.

Il modello del figlio unico, annunciato da Hua Guofeng, durante l’Assemblea Nazionale del Popolo del 1979, è in vigore da un terzo di secolo, più di una generazione; nel 1980 la “Politica del Figlio Unico” (PFU) entrò in vigore, imposta e attuata con la brutale forza ed efficienza propria della catena di comando, dal Partito al Governo e fino alle Comuni. I Governanti cinesi usano sostenere che tale politica abbia consentito di frenare una forsennata crescita demografica, impedendo che la popolazione oggi fosse di qualche centinaio di milioni più elevata dell’attuale2.

Va però detto che sulla scia della Cina – e senza coercizioni – la crescita demografica ha subito una notevole frenata anche negli altri paesi dell’Asia orientale, anche se in modo molto più graduale e con esiti molto meno netti. Nella sua attuale versione, la regola del figlio unico è strettamente in vigore nelle popolazioni urbane e in sei province e regioni sotto la giurisdizione diretta del governo centrale (tra le quali Beijing, Shanghai, Tianjin) e riguarda quindi il 35% della popolazione totale. La maggior parte della popolazione (il 54%) cade sotto la politica che permette alle coppie che hanno come primogenito una bambina di avere un secondo figlio; il residuo (11%) composto dalla popolazione di aree periferiche abitate da minoranze etniche può avere 2 o perfino 3 figli. Se queste regole fossero rigidamente rispettate, si avrebbe una media di circa 1,5 figli per donna.

Da oramai molti anni, la politica del figlio unico è fortemente criticata sia dall’opinione pubblica che dagli studiosi cinesi, per una molteplicità di ragioni. Preminente è, senza dubbio, l’intolleranza per la coercizione della libertà delle coppie, in stridente contrasto con l’allentamento delle briglie del regime sui comportamenti individuali. In secondo luogo, il repentino abbassamento della natalità degli anni ’80 sta preparando una fase di altrettanto rapido invecchiamento che avrà pesanti conseguenze sulla coesione sociale del paese. In terzo luogo – come esplicitamente detto dal portavoce della Fondazione – l’intollerabile sbilancio delle nascite di bambine (15% in meno del normale) è in buona parte la conseguenza della rigida applicazione della PFU. Infine è oramai opinione condivisa che la fine della PFU non avrebbe conseguenze demografiche apprezzabili: il controllo volontario delle nascite è saldamente adottato dalle coppie, e molte indagini confermano che la fine della coercizione avrebbe effetti marginali sulle scelte riproduttive.

Ci sono molte resistenze alla fine della PFU, da parte delle burocrazie e delle gerarchie del Partito, che dalla politica coercitiva ricavano potere e influenza. Ma l’aperta e diffusa critica alla politica dovrebbe porre fine alle resistenze alla sua definitiva abolizione.

 

Note

1 – China thinktank urges end of one-child policy , The Guardian, 31 Ottobre 2012,

2 – Massimo Livi Bacci, Cina: il figlio unico, da obbligo a scelta , Neodemos, 23/06/2010

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