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Alcuni numeri sulla cittadinanza

Le modifiche alla legge sulla cittadinanza del 1992 sono diventate uno dei temi centrali del dibattito politico di quest’ultimo scorcio di legislatura. I dati disponibili (Fig. 1) mostrano che la legge attuale sta producendo risultati importanti: il numero di naturalizzazioni è infatti passato dalle 12 mila unità del 2002 quasi 202 mila del 2016. L’Italia, nel 2015, è con la Finlandia, al terzo posto nell’area OCSE per tasso di naturalizzazione dopo Portogallo e Svezia, con un valore del 3,6% della popolazione straniera residente quando la media OCSE è ferma al 2% [OECD 2017].

Un andamento che riflette l’aumento dei potenziali beneficiari e che, in certa misura, era già stato ipotizzato qualche anno fa [Blangiardo e Molina 2006]. Considerando poi le modalità di acquisizione della cittadinanza italiana appare evidente come il matrimonio rappresenti una quota sempre più contenuta del totale, visto il forte aumento delle concessioni per residenza, per trasmissione del diritto da parte dei genitori ai figli minori e per elezione. A dimostrazione di come, pur con tutti i suoi limiti, la legge sulla cittadinanza del 1992 produce ormai risultati significativi, grazie all’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari e al superamento di alcuni intralci burocratici.

A questo punto è da chiedersi quali effetti potrebbero avere le norme in discussione qualora venissero introdotte. Attualmente, i bambini stranieri nati in Italia per richiedere la cittadinanza devono risiedere ininterrottamente nel nostro paese fino alla maggiore età. Un criterio fortemente restrittivo, anche perché in diverse situazioni concrete non è agevole dimostrare la continuità della residenza per l’intero periodo. Tale situazione non ha però impedito la crescita delle acquisizioni, dato che la stabilizzazione dell’immigrazione ha comunque determinato un aumento delle famiglie straniere regolarmente residenti da almeno dieci anni interessate alla cittadinanza e quindi a trasmetterla ai propri figli minorenni conviventi. Inoltre, il Decreto “del fare” del 2013 ha reso meno onerosa la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla legge, favorendo così l’aumento delle acquisizioni.

Ciò significa che per gran parte della platea potenzialmente interessata al provvedimento si tratta, in realtà, di passare a criteri meno restrittivi e più funzionali per ottenere la cittadinanza. In effetti, dei quasi 579 mila minori stranieri non UE nati in Italia e attualmente residenti, si può stimare che siano circa 416 mila quelli che al momento della nascita avevano almeno un genitore con permesso di soggiorno di lunga durata. Non è ovviamente possibile stabilire quanti di questi risiederanno ininterrottamente in Italia fino ai 18 anni maturando così il diritto alla naturalizzazione, è però molto probabile che quanti non rispettassero tale criterio potrebbero rientrare nel canale dei dieci anni di residenza previsto dalla legge del 1992, visto che la loro famiglia ha un rapporto tanto consolidato con il nostro paese da avere almeno un permesso per lungo soggiornanti.

Lo ius culturae estende la platea ai nati in Italia da genitori non in possesso del permesso di lungo periodo e ai minori entrati prima dei 12 anni a condizione che abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola. Nel complesso si tratta di una platea stimabile in circa 80 mila ragazzi. Nel primo caso, una parte dei minori interessati potrebbe aver trascorso i primi 18 anni interamente in Italia o la famiglia di appartenenza potrebbe rientrare nei criteri di acquisizione per residenza, arrivando così alla naturalizzazione anche con i canali attuali. Nel secondo caso, con la normativa del 1992 resterebbe la sola opzione della residenza.

Allo stato attuale, la nuova normativa più che allargare la platea dei potenziali nuovi cittadini sembra operare soprattutto una semplificazione e una anticipazione della naturalizzazione per gli stranieri nati in Italia, a condizione che abbiano con il nostro paese anche un altro legame, che può essere la stabilità del soggiorno di almeno un genitore o 5 anni di frequenza scolastica. La novità riguarda, quindi, sostanzialmente chi è arrivato prima dei 12 anni e ha frequentato le nostre scuole: circa 66 mila ragazzi.

In definitiva, il provvedimento riguarda la seconda generazione, nata in Italia, e i giovani immigrati arrivati in Italia prima dei dodici anni. Un target fondamentale nei processi di integrazione e la cui situazione si configura come uno dei parametri chiave del pieno inserimento nella società d’arrivo.

*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori ma non coinvolgono le istituzioni di appartenenza

Per saperne di più

Blangiardo G.C. e Molina S. (2006), Immigrazione e presenza straniera, In Gruppo di Coordinamento per la Demografia – SIS (a cura di), Generazioni, famiglie, migrazioni. Pensando all’Italia di domani, Torino, Edizioni Fondazione Agnelli.

ISTAT (2016b), Cittadini non comunitari: presenza, nuovi ingressi e acquisizioni di cittadinanza. Anni 2015-2016, disponibile in rete.

OECD (2017), International Migration Outlook 2017, OECD Publishing, Paris.

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