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Il noto e l’ignoto delle migrazioni nel mondo

Ogni anno l’OCSE fa il punto sulle migrazioni nei paesi associati. Ne parla Steve Morgan, che rileva lo stato insoddisfacente delle statistiche e lo sviluppo di nuove forme di mobilità internazionale, in una fase storica nella quale stanno prevalendo normative restrittive ai flussi migratori tradizionali.

Viviamo in un’epoca segnata dalla crescente intrusione nella vita private delle persone, occhi indiscreti monitorano i nostri spostamenti, le comunicazioni, i consumi, le transazioni economiche e commerciali, le inclinazioni, le opinioni espresse, le appartenenze sociali, le conoscenze…Algoritmi complessi costruiscono profili e identità che vengono venduti e comprati da chi ha interesse a conoscere (o manipolare) le nostre preferenze, le nostre opinioni, i nostri comportamenti. Insomma, si ha l’impressione che all’occhiuto Big Brother nulla sfugga della società che osserva. Eppure – se esistesse davvero – Big Brother poco saprebbe sulle migrazioni internazionali, se non informazioni confuse, imprecise e anche contraddittorie. Egli sa, magari, quali evoluzioni ho compiuto durante la giornata nella mia città, a piedi, in auto o su un tram, ma mi perde di vista, si confonde, se io dovessi partire per un lungo viaggio per il mondo. Le Organizzazioni Internazionali cui spetterebbe far luce sul fenomeno – così rilevante politicamente – hanno finalmente pensato di unire le forze per migliorare le conoscenze sul più rilevante fenomeno sociale della nostra epoca, ma ci vorrà del tempo perché queste buone intenzioni portino i loro frutti¹.

Una messa a punto dell’OCSE

Si possono dare risposte abbastanza precise a domande assai generali del tipo: qual è stata la crescita del prodotto mondiale (o di una regione, o un paese) nel 2017? Di quanto è cresciuto l’import-export? Di quanto è variata la popolazione? Com’è variata la produzione di cereali? Ma alla domanda “le migrazioni sono aumentate o diminuite nel 2017?” non c’è risposta. O meglio, ci sono molte risposte parziali e discordanti, che non soddisfano le legittime aspettative di conoscenza. Qualcosa di più si sa sulle migrazioni internazionali sud-nord, assai meno su quelle sud-sud che pure hanno dimensioni ragguardevoli. L’OCSE ogni anno si cimenta nello sforzo di presentare un quadro complessivo delle migrazioni internazionali dei paesi aderenti all’organizzazione, per la quasi totalità appartenenti al mondo sviluppato². Un punto centrale da chiarire è il seguente: il mondo sviluppato, motore dei processi di globalizzazione degli ultimi decenni, continuerà ad essere la regione di attrazione dei movimenti internazionali di persone? Oppure la piega presa dall’opinione pubblica internazionale, sempre più timorosa dei flussi migratori per motivi legati alla sicurezza e alla competizione per una fetta di benessere, si tradurrà in politiche sempre più restrittive?

L’immigrazione permanente

Nella Figura 1, si riporta l’andamento, nel periodo 2008-2017, della immigrazione “permanente” (che include l’immigrazione di durata superiore all’anno, i ricongiungimenti familiari e i rifugiati accolti per ragioni umanitarie) nei paesi dell’OCSE. Nel 2017 questi immigrati “legali permanenti” (definizione OCSE) hanno superato i 5 milioni, con un lieve declino rispetto al 2016 (-5%), “dovuto alla significativa riduzione dei rifugiati” rispetto agli anni record del 2015 e del 2016. Al netto dei rifugiati (il cui andamento è riportato nella Figura 2), nel decennio il numero degli arrivi ha oscillato tra i 3,7 e i 4,7 milioni, con un minimo negli anni centrali della crisi economica (2011-2012).

Tuttavia non è agevole interpretare queste cifre poiché non si conosce il numero dei rimpatri avvenuti durante il decennio. Che, in alcuni anni, e in alcuni paesi, per esempio in Spagna, hanno superato i nuovi arrivi. Qualche notizia si può desumere da un’altra fonte, relativa ai conteggi (censimenti, indagini campionarie, stime), sull’ammontare dello “stock” migratorio, definito come il numero delle persone nate in un paese diverso da quello di residenza (Figura 3). Tra il 2010 e il 2017, questo stock, nei paesi dell’OCSE, è aumentato da 114 a 127 milioni, cioè di 13 milioni (+11,4%), mentre l’afflusso di migranti permanenti è stato pari, nello stesso periodo, a 32 milioni: se le due fonti fossero in accordo, ciò significherebbe che i rientri sono pari, all’incirca, al 60% dei flussi di entrata. Naturalmente, le “migrazioni permanenti” sono solo una parte degli spostamenti migratori: l’OCSE stima in oltre 4 milioni i “lavoratori temporanei” (in gran parte stagionali) nel 2017, oltre a consistenti flussi di giovani che alimentano uno stock di oltre quattro milioni di “studenti internazionali” iscritti in corsi di istruzione “terziari” (universitari), come indicato nella Figura 4.

Altri aspetti della mobilità internazionale

Le statistiche di cui sopra, però, riguardano solo un mondo “emerso”, in qualche modo legale, e lasciano in ombra due aspetti importanti della mobilità internazionale. Il primo riguarda i movimenti irregolari, che sfuggono al filtro delle normative, e che sono assai importanti soprattutto alla “periferia” del mondo sviluppato – quei territori, cioè – a contatto o prossimi con i paesi poveri. Il secondo aspetto riguarda, invece, tutti quei contatti non sistematici, in genere di breve durata, ma sempre più frequenti, che legano tra di loro persone che vivono in paesi diversi, o che comunque spingono a entrare in contatto “fisico” con paesi diversi. Per motivi di affari, di lavoro, di studio, di amicizia, di affetto, di cura, di curiosità o conoscenza. Mettiamo, in questa categoria, anche l’ondata crescente del turismo che pure qualche permanente contatto umano lo determina. Nella Figura 5 si riporta l’andamento dei cosiddetti “turisti internazionali” dal 1996 al 2017³: il loro numero ha superato 1,5 miliardi nel 2017, quasi triplicato in poco più di venti anni. Ancor più sorprendente, e indicativo della dinamica di questo tipo di mobilità, è la crescita dei viaggi internazionali dei Cinesi, cresciuti da 4,5 milioni nel 1995 a 137 milioni del 2017 (30 volte tanto!). I viaggi creano contatti umani, da questi contanti umani, per lo più episodici, nascono vincoli, alle volte duraturi, che rappresentano una trama sempre più fitta che a lungo andare alimenta nuovi modelli di mobilità.

Le prospettive per i prossimi anni sono assai incerte. Si rafforza quasi ovunque la tendenza a rendere più selettiva l’immigrazione legale, ed a restringerne i numeri. Aumentano le risorse per frenare i flussi irregolari aumentando il personale dedicato al controllo delle frontiere, ma anche ricorrendo sia a nuove raffinate tecnologie, sia ai rozzi antichi metodi, moltiplicando le barriere, i reticolati, ed i muri. Crescono i movimenti sfavorevoli od ostili all’immigrazione, che fanno buona presa sull’elettorato e sulla politica. Ma, nel contempo, si accentua la debolezza demografica nella maggior parte dei paesi ricchi, si infittiscono i rapporti umani tra persone che vivono in paesi diversi, diminuiscono i costi monetari e umani della mobilità. Quale possa essere il risultato del combinarsi di queste forze nei prossimi anni non è, ad oggi, prevedibile.

Note

¹ Si veda l’iniziativa congiunta dell’OECD, della International Organization for Migration (IOM) e delle Nazioni Unite, tenutasi a Parigi all’inizio del 2018, nell’ambito dell’ International Forum on Migration Statistics (IFMS-2018).

²OECD, International Migration Outlook 2018, Oecd Publishing, Paris, 2018. Oltre ai paesi Europei, del Nord America, dell’Oceania e al Giappone, normalmente inclusi nella sorpassata dizione “paesi sviluppati”, fanno parte dell’OECD and Cile, Messico, Turchia e Corea del Sud.

³ La figura rappresenta il numero totale delle partenze dal paese di residenza abituale verso un qualunque altro paese, qualsiasi sia il motivo (non solo turismo, quindi), escluso lo svolgimento di un’ attività remunerative nel paese di arrivo.

 

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