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Parto anonimo: Dove sono i padri biologici?

In Italia, circa 400 donne ogni anno si avvalgono della facoltà di partorire in anonimato, ossia di richiedere che la loro identità sia omessa dalla dichiarazione prodromica all’atto di nascita, come previsto dalla legge. Nonostante la maggior parte dei bambini nati in anonimato sia normalmente adottata, la disciplina in materia di adozione subisce un’eccezione importante nei loro confronti: infatti, l’adottato adulto, nato da donna che ha dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, non ha il diritto di accedere alle informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei propri genitori biologici (art. 28, co. 7, l. 4 maggio 1983, n. 184). Le ratio di tale istituto, il quale esiste in una minoranza di Paesi (tra cui la Francia e il Lussemburgo), sono essenzialmente due: proteggere la vita e la salute del nascituro e della donna, assicurando che il parto avvenga in condizioni mediche ottimali; disincentivare il ricorso a metodi d’interruzione di gravidanza fuori dalle condizioni previste dalla legge, l’infanticidio e l’abbandono di neonati.

E’ tempo di riforma!

Tuttavia, tale disciplina è stata recentemente toccata da interessanti novità giurisprudenziali, che hanno impresso una significativa accelerazione ad un processo di riforma in corso oramai da qualche anno. In primis, nel 2012, la sentenza di condanna da parte della Corte europea dei diritti umani (Godelli c. Italia), ove il giudice europeo ha rilevato che la legge italiana non garantiva un equo bilanciamento tra il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, quale componente integrante del diritto all’identità personale, e i diritti e gli interessi della donna a mantenere l’anonimato, favorendo sproporzionatamente questi ultimi. Più precisamente, uno dei punti critici della legge attuale, il quale ha anche motivato una dichiarazione d’illegittimità costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 278/2013), è la mancanza di un procedimento che consenta la verifica della persistenza della volontà della madre di mantenere il segreto.

Su questo fronte, il primo passo sembra essere stato fatto. Ad inizio maggio, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato un testo unificato (oggi al voto alla Camera), il quale prevede che, su istanza del figlio, il Tribunale per i minorenni potrà interpellare la madre sulla sua volontà di mantenere l’anonimato, assicurando la massima tutela della riservatezza della donna stessa e avvalendosi preferibilmente del personale dei servizi sociali. Oltre ad eliminare il carattere irrevocabile del segreto, questo testo accoglie buona parte delle proposte presentate dagli esperti e dei rappresentanti degli interessi coinvolti nella riforma, incluso l’accesso diretto alle informazioni identificanti nel caso in cui la madre sia deceduta e l’esclusione di rivendicazione di carattere patrimoniale o successorio da parte dell’adottato.

E il padre biologico?

Nella pur apprezzabile proposta, continua però ad essere trascurata la posizione del padre biologico. La scelta della donna di partorire in anonimato recide il nesso tra identità del nato e della partoriente, il quale è presupposto per l’operatività delle presunzioni di paternità e di concepimento in matrimonio. Pertanto, nel caso in cui la donna tenga celate le circostanze del parto, è di fatto compromessa la facoltà del padre biologico di riconoscere il figlio come proprio, costituendone lo status solo nei suoi confronti, prima che ogni rapporto del nato con la famiglia di origine sia interrotto dalla sentenza di adozione.

Se il destino dell’infante è rimesso unicamente alla volontà della madre, si corre il rischio di negare la diversa natura delle circostanze in cui la donna sceglie di partorire in anonimato e pertanto di presumere che tutti i casi di parto anonimo siano frutto di relazioni problematiche o, ancora, che il padre biologico sia a priori disinteressato e/o incapace di crescere il figlio. Tra le varie ragioni alla base di questa visione monolitica della vicenda, vi è possibilmente la scarsità di dati che fanno luce sulle caratteristiche socio-demografiche delle donne coinvolte e sui motivi sottostanti la scelta del parto anonimo. Uno studio francese (Villeneuve-Gokalp del 2011), svolto dall’INED (Institut national d’études démographiques) tra luglio 2007 e giugno 2009, per esempio, dimostra che, anche se la relazione complicata con il padre biologico rappresenta la causa più ricorrente dell’accouchement sous X (43% dei casi), esistono anche altri fattori che spingono la donna o la coppia a scegliere di partorire in anonimato, tra cui difficoltà economiche e/o sociali (28%), un’età troppo giovane (19%) e la paura del rifiuto da parte della famiglia e della comunità (11%).

Inoltre, nonostante i casi in cui il padre biologico abbia manifestato l’intenzione di esercitare il suo diritto-dovere di prendersi cura del nato abbandonato e, a tal proposito, abbia intrapreso una battaglia legale siano rari o diventino raramente mediatici, sappiamo che esistono. Per esempio, nel 2006, la Corte di Cassazione francese (Affaire Benjamin) ha, per la prima volta, autorizzato il padre biologico che aveva riconosciuto il figlio in utero (riconoscimento incompatibile con la previsione del parto anonimo, secondo l’ordinamento italiano) a mantenere i suoi legami giuridici col nato, sebbene la madre avesse partorito in anonimato, non avesse menzionato il riconoscimento prenatale, avesse celato il parto al marito e, di conseguenza, il figlio fosse già stato affidato ad una famiglia adottiva. In considerazione di ciò, è seguita una riforma legislativa (l. 26 luglio 2013, n. 673) che ha introdotto la possibilità per il padre biologico di richiedere l’intervento del Pubblico Ministero al fine di agevolare il riconoscimento nonché la legittimazione dell’opposizione all’avvio delle procedure adottive del padre biologico e dei membri della famiglia biologica. Seppur abbia il pregio di prendere in considerazione gli interessi di tutte le persone coinvolte nella vicenda e non soltanto i due protagonisti (la madre e il nato), questa disciplina può incappare in due rischi maggiori: quello di compromettere il rapido inserimento del minore presso una famiglia idonea; e, quello di vanificare la scelta della partoriente di mantenere l’anonimato, poiché il minore potrà venire a conoscenza dell’identità della madre biologica dal padre o dai parenti (si veda Chemin 2006).

Verso una piena conoscenza delle origini da parte dell’adottato?

L’opportunità di coinvolgere il padre biologico, tuttavia, non dovrebbe essere valutata soltanto al fine di determinare lo status filiationis e, quindi, chi crescerà il bambino. Infatti, è importante tenere distinti, da un lato, l’instaurazione di rapporti giuridici e, dall’altro, l’accesso alle origini biologiche che, oltre a stabilire un fatto storico, potrebbe al massimo portare all’instaurazione di contatti tra l’adottato adulto e il padre biologico. Pertanto, l’identificazione di quest’ultimo e l’inserimento del minore presso una famiglia adottiva idonea non devono, a mio parere, essere considerati come tendenti a fini contrapposti. Piuttosto, si tratta di attività che mirano a raggiungere scopi distinti e simultaneamente realizzabili: la determinazione della verità biologica e della genitorialità, rispettivamente.

Quando si parla di accesso alle origini nel contesto del parto anonimo, si tende a far riferimento soltanto all’identità della madre biologica. E’ evidente che più si smantella il carattere assoluto del diritto della donna a partorire in anonimato, più si rischia di compromettere l’istituto stesso, con ricadute sulle scelte delle donne che ipotizzano di ricorrere al parto anonimo. Tuttavia, contemplare, sulla scia dell’esperienza francese (l. 22 gennaio 2002, n. 2002-93), la facoltà del padre biologico di dichiarare la sua identità nel dossier del nato non sembra intaccare l’anonimato materno. Analoghe conclusioni si raggiungono con riguardo alla possibilità che, su istanza del figlio, la verifica di una persistente intenzione di anonimato si attui nei confronti di entrambi i genitori biologici. Prevedendo la facoltà del figlio di richiedere l’accesso alle informazioni identificative non solo della madre, ma anche del padre biologico ed estendendo la possibilità del ripensamento a quest’ultimo, la legislazione consentirebbe una più completa realizzazione del diritto alla conoscenza delle origini dell’adottato.

Chemin A., Le père d’un né sous X voit sa paternité reconnue, Le Monde, 8 aprile 2006,

Villeneuve-Gokalp C. (2011), ‘Les femmes qui accouchent sous le secret en France, 2007-2009’ Population, 66(1), pp. 135-169.

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