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L’impatto della pandemia sui progetti di vita dei giovani europei

Come stanno vivendo i giovani europei l’emergenza sanitaria e quale l’impatto atteso sui loro progetti di vita? Francesca Luppi e Alessandro Rosina presentano alcuni primi dati di un’indagine internazionale su condizioni e aspettative delle nuove generazioni ai tempi del Covid.I risultati costituiscono un campanello d’allarme, con evidenza di conseguenze negative soprattutto nei paesi con già più bassa natalità.

Siamo piombati nei primi mesi del 2020 in una emergenza sanitaria che si è via via trasformata in crisi economica, come conseguenza delle misure di contenimento del contagio. Con il rischio che la crisi economica, come e forse più della recessione precedente, inneschi una crisi demografica, non tanto sul versante della mortalità ma della fecondità. A ben vedere non si tratta di entrare in una fase di crollo delle nascite ma di inasprire un processo di declino già in atto.

I dati Eurostat mostravano, prima di questa emergenza, l’assestamento dell’Italia su livelli tra i più bassi in Europa del numero medio di figli per donna e tra i più alti dell’età media al primo figlio. Gli squilibri demografici prodotti dalle dinamiche passate hanno ridotto la presenza delle donne al centro della vita riproduttiva contribuendo a ridimensionare ulteriormente i valori assoluti delle nascite. Rispetto al 2008 le nascite del 2019 sono oltre 140 mila in meno (una su quattro in termini relativi), come ricorda Blangiardo nel suo intervento “Effetti demografici di Covid-19: scenari di natalità”. Un impatto severo della crisi, nelle simulazioni riportate in tale report, potrebbe portare nel 2021 a scendere sotto quota 400 mila.

È vero che dopo grandi crisi del passato era comune osservare una nuova effervescenza demografica, ma ciò potrebbe prodursi, all’interno delle condizioni che agiscono oggi sul processo decisionale riproduttivo, solo se si creassero aspettative positive con alla base una solida combinazione di politiche familiari e di opportunità di lavoro.

Evidenze contrarie al baby boom

In attesa di capire se questo nuovo miracolo italiano potrà realizzarsi dopo la discontinuità di Covid-19, ci sono al momento almeno due segnali che vanno nella direzione opposta.

Il primo è fornito dai dati oggettivi sulle condizioni dei giovani e in particolare sull’occupazione. Nelle “Considerazioni finali” presentate recentemente in occasione della diffusione della Relazione annuale sul 2019, Il Governatore dalla Banca d’Italia ha sottolineato come le misure messe in atto per il contenimento della pandemia abbiano ridotto le opportunità di nuovo impiego e abbiamo comportato una perdita di occupazione soprattutto per i contratti non permanenti e in alcuni settori che vedono maggiormente presenti i giovani.

Il secondo segnale arriva dalla percezione dei giovani della condizione in cui si trovano e dell’impatto sul proprio futuro a breve termine (ma con implicazioni di medio-lungo periodo). Le difficoltà economiche e l’accresciuto clima di incertezza contribuiscono a frenare ulteriormente sia la scelta di avere figli per le coppie già formate, sia la possibilità dei giovani di diventare indipendenti e formare una propria famiglia. Questo è ciò che emerge, del resto, dai dati dell’indagine internazionale (i paesi coinvolti sono Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito) promossa dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo assieme al Ministero per la famiglia e condotta da Ipsos a fine marzo. Si tratta di uno studio disegnato anche con l’obiettivo di capire come le persone nella fascia 18-34 anni interpretino questo passaggio collettivo e come questo si inserisca a sua volta nella loro transizione alla vita adulta.

Una prima analisi della situazione è raccolta nel report (qui il link) presentato in occasione dell’apertura del Gruppo di lavoro dedicato all’emergenza demografica presso il Dipartimento per le Politiche della Famiglia (qui il link al webinar) e in un articolo scientifico disponibile qui .

Quello che i giovani dicono è che in Italia, più che in Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, il clima di incertezza economica e lavorativa ha già messo in discussione i loro progetti di vita. Il 62% degli italiani sente i propri progetti come a rischio, contro “solo” il 42% dei tedeschi e il 46% dei francesi. Ma non è esclusivamente un problema di percentuale di popolazione giovanile che si sente vulnerabile alla crisi economica: diverse sono anche le aspettative circa la possibilità di realizzare comunque, prima o poi, i propri progetti (Tabella 1). Se molti loro coetanei europei pensano infatti che l’attuale crisi farà solo posticipare loro alcune tappe della loro transizione alla vita adulta (es. andare a vivere per conto proprio o convivere, sposarsi, avere figli), i giovani italiani non stanno solo rinviando i loro progetti, li stanno almeno momentaneamente abbandonando, forse spostandoli in un orizzonte indefinitamente più in là nel tempo, forse rinunciandovi del tutto. Secondo i dati dell’indagine, in Italia, tra coloro che avevano dichiarato di stare pianificando l’arrivo di un figlio durante il mese di gennaio di quest’anno, il 36,5% afferma che ad oggi ha abbandonato il programma, contro il 14,2% dei tedeschi, il 17,3% dei francesi, il 19,2% dei britannici e il 29,2% degli spagnoli.

Un progetto di rinascita dimenticando le nuove generazioni non è possibile

Se dopo le grandi epidemie del passato e dopo la Seconda Guerra Mondiale si è osservata una ripresa di vitalità demografica, in questo caso non è altrettanto scontato che ciò avvenga. Va infatti considerato che non si è vista nessuna ripresa delle nascite dopo la crisi economica iniziata nel 2008, che invece ha lasciato conseguenze persistenti di fragilità sulle nuove generazioni. Inoltre, l’uscita dalla crisi sanitaria potrebbe essere lunga, senza un vero momento chiaro di fine della perturbazione provocata. Bisognerà costruire progressivamente una normalità nuova e serviranno anni prima che il paese e le persone riescano a fissare nuove coordinate di riferimento all’interno delle quali collocare il proprio percorso di sviluppo e le proprie scelte di vita. Nel nuovo scenario post pandemia saranno soprattutto le nuove generazione a dover riprogettare le proprie vite, a dare spinta e direzione ad un nuovo percorso di crescita comune.

A mettere in discussione la realizzazione della fecondità desiderata a inizio anno, prima della crisi sanitaria, c’è anche la rottura di alcuni equilibri che non sono solo di natura economica ma anche sociale. Chi percepisce infatti come più negative le conseguenze dell’attuale crisi sulle proprie vite sono soprattutto le donne. In tutti i paesi, un po’meno in Francia, le donne che dichiarano di vedere a rischio i propri progetti di vita sono dagli 8 ai 12 punti percentuali in più dei loro coetanei maschi. L’Italia è ancora una volta il paese con la percentuale più alta: 68,2% delle donne contro il 56% degli uomini. In un contesto dove le donne già pativano importanti svantaggi dal punto di vista occupazionale e reddituale, l’attuale crisi economica non può che aumentare il divario. A ciò si aggiunge, nel nostro paese, la mancanza di adeguati strumenti per la conciliazione famiglia-lavoro, che già aveva generato uno sbilanciamento importante dei carichi di cura nella coppia a carico delle donne. Un disequilibrio che si è aggravato dall’inizio dell’emergenza, conseguente alla chiusura di nidi e scuole e al distanziamento fisico che ha reso le reti familiari (e in particolare i nonni) incapaci di offrire il tradizionale supporto alla cura dei bambini, ma che si aggrava ulteriormente con la riapertura delle attività produttive il 4 maggio dove chi torna al lavoro sono prevalentemente uomini.

I risultati dell’indagine sono un campanello d’allarme, in un paese con già persistente bassa natalità. Risulta alto il rischio che, per molti giovani-adulti, un ulteriore rinvio dei progetti familiari possa trasformarsi in una rinuncia definitiva. Ancora più, quindi, in questa contingenza, giovani e donne devono diventare l’obiettivo privilegiato di politiche mirate per la ripartenza economica e demografica del paese.

Non può, allora, che preoccupare un progetto di Rinascita dell’Italia che non si preoccupa dal rimuovere ciò che frena il nascere in Italia.

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