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Le pietre d’’inciampo della Garanzia Giovani

La Garanzia Giovani (o YG, Youth Guarantee), per molti Paesi, è sostanzialmente un’evoluzione dei programmi di politiche attive e Servizi per l’Impiego (SPI), e rappresenta il naturale sviluppo di un sistema, a lungo trascurato in Italia, di istituzioni del lavoro moderne e inclusive (Tab. 1). L’indicazione più innovativa è la trasformazione dei Centri per l’Impiego (CPI) in Agenzie di transizione: un soggetto dedicato a sostenere tutti i cittadini, non solo i disoccupati, nel corso dei vari passaggi che dovranno affrontare durante la carriera lavorativa, attraverso la c.d. “presa in carico” dell’utente. Da noi, invece, la YG si caratterizza piuttosto come un intervento urgente per contrastare gli alti livelli della disoccupazione giovanile (1).

Le risorse e il loro utilizzo

In piena crisi, abbiamo speso 20 miliardi per le politiche passive (come ad esempio il sussidio di disoccupazione) e 5 per quelle attive (Eurostat 2012). Dunque Primum vivere. Le nuove risorse della YG valgono 1,5 mld. I beneficiari oscillano a seconda dell’età considerata (15-24 o 15-29) e delle restrizioni della platea. Va detto che la crescente attenzione agli utenti dei SPI rappresenta una brusca inversione di tendenza rispetto al recente passato. Tra il 2005 e il 2010 la spesa per i SPI  in Italia si è ridotta quando in Germania è sensibilmente aumentata (Tab. 1). Un buon sistema di SPI costa (in Mld €, 9,4 in Germania; 4,0 in Francia; 5,4 in Inghilterra), così in Italia si è scelto di avere un cattivo sistema, spendendo poco (0,5 Mld €). Ma i paesi che hanno investito meno in politiche attive (Formazione e CPI) e più in passive (Cassa in deroga o straordinaria) si ritrovano oggi senza risorse, inchiodati da spese socialmente non più revocabili.

Se consideriamo il rapporto tra disoccupati e operatori (circa 8.700 in Italia), il carico per addetto  nel nostro paese è superiore alla media, sia prima sia dopo la crisi (rispettivamente 150:1 e 274:1). I dati Isfol Plus (2) consentono di calcolare un indicatore più preciso: il rapporto utenti/operatori, pari a 269:1, che scende a 202:1 se escludiamo chi ha utilizzato il SPI solo per espletatare pratiche amministrative (Tab. 2). Entrambi gli indicatori sono ben oltre una soglia (fisica) compatibile con prestazioni dignitose. Leggendo insieme i dati sulla dotazione di personale e quello sulla soddisfazione degli utenti (maggiore al Centro-Nord rispetto al Sud), si nota però che la qualità percepita non è proporzionale alla quantità degli addetti, ma è piuttosto in relazione con la consistenza della domanda di lavoro del territorio (3). Insomma, un disegno nazionale è necessario per avere Livelli Essenziali di Prestazioni. Trascurare i SPI non è stata una buona idea poiché presidi sul territorio efficienti sono necessari per l’erogazione delle politiche.

L’intermediazione.

I CPI intermediano direttamente il 4% degli occupati (Tab. 3), ma la loro funzione indiretta sale al 26% e, tra le persone in cerca di occupazione, 1 su 2 ha utilizzato almeno una volta un CPI, di cui 1 su 5 negli ultimi 12 mesi. Per giunta ai CPI si rivolge prevalentemente un’utenza debole, tenuto conto della quale si scopre che, al di là degli slogan, le prestazioni delle agenzie private non sono significativamente migliori di quelle dell’operatore pubblico. Inoltre, nel dibattito di questi mesi si avverte la mancanza di una voce forte di contrasto all’intermediazione informale (il vero problema), che crea inefficienze, distorsioni ed erode il 40% del mercato. La finalità della YG è universale e inclusiva: se si raffrontano i servizi privati e pubblici più rappresentativi, ovvero le Agenzie di Somministrazione  (ex interinali) e i CPI (Tab. 4), si nota che i primi tendono a selezionare (escludere) gli individui meno istruiti, residenti al Sud, le donne, i lavoratori più anziani e le persone senza reti familiari. Il rischio di comportamenti discriminatori dei privati è dunque alto.

I profili di vulnerabilità.

La pressione per tradurre rapidamente in pratica gli interventi della YG è comprensibile, tuttavia non sembrano derogabili le funzioni di certificazione della condizione e quella di profilazione dell’utenza, che rappresentano rispettivamente il riconoscimento di uno status (diritto al lavoro) e l’intensità del trattamento da erogare. La valutazione del profilo di vulnerabilità – come in un “pronto soccorso” del lavoro – determina le precedenze. Gli esiti occupazionali sono una frequenza relativa interpretabile come la probabilità di occupazione nel periodo (Fig. 1). Tanto più è bassa la probabilità tanto è maggiore la vulnerabilità, che aumenta con il numero di fattori cui si è esposti: l’essere privi di occupazione da molto tempo, l’essere donna, risiedere al Sud e avere un’istruzione inferiore peggiorano il quadro. Tuttavia, la profilazione, se fatta senza le dovute precauzioni, rischia di generare effetti paradossali: alcuni soggetti possono apparire avvantaggiati per la loro scarsa attitudine allo studio, o per una residenza fittizia, o perché un poco più vecchi (ma magari solo di qualche giorno).

Le alternative

Molti fan di una privatizzazione de facto delle funzioni dei CPI ritengono che si debbano trasformare le risorse economiche della YG in dotazioni (voucher) per il cittadino, il quale poi sceglierà da quali servizi accreditati farsi erogare il trattamento. Per capire l’efficacia degli interventi è necessaria una seria analisi degli effetti, un’affidabile valutazione delle misure, perché comunque di soldi pubblici si tratta. Un’ultima misura forse più incisiva di altre potrebbe riguardare la lotta all’intermediazione informale, legando gli “incentivi alle assunzioni” a “selezioni trasparenti. Inoltre la meccanica dell’accreditamento è importante e pertanto sarebbe opportuno prevedere un sistema di feedback da parte degli utenti, di chi li assume e anche di valutatori indipendenti, che permetta di determinare una graduatoria degli operatori.

Infine, non dimentichiamo che il vero problema non è né l’offerta di lavoro (mai nella storia la nostra Forza lavoro ha avuto un capitale umano tanto elevato), né la scarsa corrispondenza tra domanda e offerta (il problema, cioè, non è la disoccupazione frizionale), ma la mancanza di lavoro! Per rimediare a questa situazione bisogna volgere lo sguardo alla domanda e creare occasioni di sviluppo. L’obiezione è sempre la stessa: non ci sono le risorse. Strano, perché la buona occupazione serve proprio per sostenere la previdenza, il fisco, la pace sociale, i consumi… aspetti necessari per onorare il debito (pubblico), nell’interesse proprio dei nostri creditori..

Note

(1) Per il dettaglio delle iniziative si veda il Programma Italiano sulla Garanzia Giovani.
(2) Per scaricare i dataset ISFOL PLUS 
(3)Il paper di Emiliano Mandrone  è in corso di pubblicazione, lo troverete a breve a questo indirizzo  La Youth Guarantee e il nuovo ruolo dei Servizi Pubblici per l’Impiego, Isfol Research Paper, 11/2014 .

 

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