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L’aiutino (Prima puntata)

Le dinamiche recenti della popolazione in Italia hanno fatto registrare un’inaspettata ripresa. Il decremento della popolazione, indicato nel decennio scorso come ormai imminente e pressoché irreversibile, non si è ancora manifestato e, anzi, dal censimento del 2001 in poi si è registrata una crescita di una certa importanza. Ad essa hanno contribuito diverse componenti, alcune puramente contabili, altre frutto tardivo di provvedimenti di legge, ma altre ancora reali e puntuali. Il contributo proveniente dalla popolazione immigrata è stato di grande rilievo, ma ha assunto dimensioni e modalità diverse nelle varie parti del Paese. Una corretta informazione su queste dinamiche permette non solo di affrontare più consapevolmente i problemi che ne possono conseguire sul piano sociale e politico, ma anche di immaginare scenari demografici futuri meno foschi di quanto finora ipotizzato.
Cassandra crossing
Da quando, a partire dalla metà degli anni ’70, il calo della fecondità si è confermato nella sua dimensione e persistenza, i demografi hanno cominciato a indicare due incroci pericolosi per il futuro della popolazione italiana: il momento in cui il numero annuo delle morti avrebbe superato quello delle nascite; ed il momento in cui l’ammontare della popolazione anziana avrebbe superato quella giovane. A livello nazionale, il primo evento si è verificato nel 1993 e si è ripetuto nei dieci anni successivi (Figura 1). Eppure, dopo una risalita iniziata già nel 1996, il numero dei nati ha di nuovo raggiunto quello dei morti, così che dal 2004 entrambi oscillano intorno alle 560 mila unità annue.

Il superamento del numero dei giovani da parte dei contemporanei anziani dipende – è ovvio – dalla definizione che diamo dei due gruppi; ma se, soprattutto in relazione agli attuali comportamenti nei confronti del lavoro dipendente, definiamo i secondi come coloro che hanno già compiuto i 60 anni ed i primi come quelli che devono ancora compierne 20, l’incrocio sarebbe avvenuto anch’esso nel 1993. Da allora il divario è andato aggravandosi, salvo che negli ultimissimi anni, quando la crescita del numero degli anziani ha rallentato ed il numero dei più giovani è tornato a crescere, se pur debolmente (Figura 2).

Al momento, sembrerebbe dunque che quegli incroci non fossero poi così pericolosi e che, soprattutto, da lì non partissero strade in rovinosa discesa per la popolazione che risiede in Italia. Come che sia, infatti, a cominciare dal 2002, dopo un decennio di stasi questa ha ripreso a crescere ad un ritmo medio di quasi 430 mila unità all’anno (+0,74%).
Ma da quanto è accaduto negli ultimi anni potremo prospettarci un futuro demografico meno pessimista solo se comprendiamo a fondo i meccanismi e imputiamo ai diversi responsabili meriti e colpe. In particolare, dobbiamo cercare di chiarire il contributo che è venuto dalla componente straniera leggendo nel modo più appropriato possibile i dati che l’Istat mette a disposizione (http://demo.istat.it/).

Numeri piccoli ma decisivi
La popolazione che risiedeva in Italia al 1° gennaio 2007 senza avere la cittadinanza italiana è stata calcolata in 2,94 milioni, che vale il 5 per cento del totale. Scontate le sole correzioni post-censuarie, dal 1° gennaio 2002 questa popolazione è più che raddoppiata, aumentando in cinque anni di 1,57 milioni: 212 mila circa per il saldo tra le molte nascite (226 mila) e le poche morti (14 mila); 1,45 milioni come saldo tra iscritti e cancellati in anagrafe da e per l’estero; mentre poco meno di 113 mila ne sono usciti per aver acquisito nel frattempo la cittadinanza italiana.
Buona parte delle nuove iscrizioni dall’estero è però derivata dalla “sanatoria”, a norma dei provvedimenti allegati alla legge sull’immigrazione “Bossi-Fini”[1], di quasi 650 mila lavoratori stranieri irregolari. Requisito fondamentale per proporre la domanda di regolarizzazione era l’aver lavorato in Italia, alle dipendenze, nei tre mesi precedenti all’agosto 2002: questi immigrati erano dunque già tutti presenti al 1° gennaio 2003. In questa prospettiva, anticipando cioè la loro residenza già a quella data, nel quadriennio 2003-2006 il saldo dei nuovi movimenti di stranieri con l’estero si dimezza, da 1,3 milioni a 660 mila, e la crescita della popolazione residente straniera, al lordo delle naturalizzazioni, diventa in media di 219 mila all’anno (+8,9%). Se commisurato alle dimensioni della popolazione di accoglimento, si tratta di un flusso abbastanza contenuto (3 neo-immigrati all’anno ogni 1.000 residenti sia italiani che stranieri). Tuttavia, esso è stato in grado di ribaltare il segno della dinamica complessiva della popolazione residente che, limitata ai soli componenti italiani, sarebbe calata in media al ritmo di quasi 50 mila l’anno (tabella 1).

Tabella 1 – Dinamica e struttura della popolazione residente in Italia per cittadinanza, tra l’1/1/2003 e 1/1/2007

Popolazione residente Saldo medio annuo (migliaia) Tasso medio annuo (%) In età 20-59 anni (%)
naturale migratorio totale (*) 1/1/2003 1/1/2007 Variazione
italiana – 55 – 7 – 49 – 0,09 55,3 54,6 – 0,7
straniera + 45 + 165 + 219 + 8,90 70,7 71,6 + 0,9
totale – 9 + 158 +171 + 0,29 55,9 55,5 – 0,4

(*) Il saldo totale comprende anche le acquisizioni di cittadinanza italiana e risente del mancato allineamento temporale dei cambiamenti di residenza tra Comuni italiani.
N.B.: Le dinamiche e le strutture sono state stimate riportando all’1/1/2003 gli immigrati stranieri regolarizzati dalla “Bossi-Fini”, scontando alla stessa data il saldo delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche “per altri motivi”.
Fonte: elaborazioni su dati Istat tratti da http://demo.istat.it/

Anche per la struttura della popolazione residente e per le sue variazioni più recenti è possibile separare gli effetti dovuti alla presenza e alla dinamica dei residenti stranieri da quelli relativi alla sola popolazione con cittadinanza italiana. Se, in coerenza con i limiti di età scelti sopra, si prende come indicatore sintetico di struttura la percentuale di popolazione tra i 20 ed i 59 anni (in sostanza, la popolazione in età lavorativa) sul totale, allora al 1° gennaio 2003 il 55,3% degli italiani si trovava in quella classe di età, ma, grazie alla presenza degli stranieri, la quota lievitava a 55,9% sull’insieme dei residenti. Le dinamiche intervenute nel quadriennio 2003-2006 hanno poi ridotto i 20-59enni italiani al 54,6 (–0,7 punti percentuali), ma i flussi degli stranieri sono riusciti a contenere quella riduzione nella popolazione residente totale a soli –0,4 punti percentuali, da 55,9% a 55,5%.
In definitiva, a livello nazionale, la presenza regolare degli stranieri e le loro recenti immigrazioni hanno consentito che la popolazione residente in Italia: a) si mantenesse in crescita nonostante la dinamica negativa espressa dalla popolazione autoctona, principalmente a causa del suo sbilancio tra numero annuo di morti in confronto a quello delle nascite; b) limitasse il peggioramento del rapporto tra le popolazioni in età lavorativa e non lavorativa, malgrado i rapidi processi di invecchiamento della popolazione di cittadinanza italiana.

 


[1] La legge è del luglio 2002, ma i suoi effetti sulla popolazione residente si sono dispiegati negli anni successivi, in particolare nel 2003 e nel 2004. Cfr., ad esempio, Corrado Bonifazi e Massimo Livi Bacci, Una nuova legge sull’immigrazione, Neodemos, 28/03/2007.

*IRPPS-CNR; g.gesano@irpps.cnr.it

 

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