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La Russia, troppo grande troppo vuota?

La Russia è immensa ma poco popolata. Massimo Livi Bacci illustra la recente crisi demografica, la politica putiniana di sostegno alla famiglie e alla natalità ed i suoi controversi effetti, e il sistema migratorio alimentato dal declino della forza di lavoro autoctono e dalla crescente domanda di lavoro nelle estese regioni orientali del paese.

Con una superficie di 17 milioni di kmq, la Russia copre l’11,4 per cento delle terre emerse, ma i 147 milioni di persone che la abitano rappresentano meno del 2 per cento della popolazione mondiale. La sua vastità significa abbondanza di risorse naturali, ma il rado e disuguale popolamento è anche il suo tallone d’Achille geopolitico. Per secoli l’Impero ha condotto politiche di conquista e popolamento dirette a rafforzare le aree di confine, a sud e a oriente, e ad insediare le vastità della Siberia. Per secoli si cercò di sbarrare il varco aperto delle pianure comprese tra gli Urali e il Mar Caspio, attraverso il quale passavano le migrazioni di popoli asiatici. A Oriente, allo sguarnito confine meridionale dell’Impero, c’era, e c’è, la Cina, il paese più popoloso del mondo. Un vicino ingombrante, la cui ascesa economica è carica di opportunità ma anche di potenziali pericoli. Il secondo paese più vasto del mondo – il Canada, con 10 milioni di kmq – benché molto meno popolato della Russia, è in una situazione geopolitica assai più tranquilla, perché il suo colossale confinante meridionale è, tradizionalmente, partner e amico.

Crisi e ripresa (forse)

Queste considerazioni spiegano perché la questione demografica preoccupi in sommo grado il Governo Russo. I contorni della questione sono del tutto simili a quelli di altri grandi paesi: la Germania, l’Italia o il Giappone; tuttavia in Russia è aggravata dallo shock, anche demografico, causato dalla caduta del regime sovietico, e dal distacco delle nuove Repubbliche del Baltico, dell’Europa orientale e dell’Asia. E poi è un paese “vuoto” rispetto a quelli, assai saturi, prima citati. La Tabella 1 riporta alcuni indicatori demografici della Russia, dal 1950 ad oggi. La popolazione è cresciuta dai 103 milioni del 1950 a 148 nei primi anni ’90, via via rallentando il passo; è poi diminuita a 143 milioni (con una ripresa successiva fino ai 147 milioni odierni), per la caduta della natalità, e l’aumento della mortalità dovuta alla crisi sociale e sanitaria, compensate solo in parte da una sostenuta immigrazione netta. Il dramma del crollo della speranza di vita dopo la dissoluzione dell’URSS (per i maschi era scesa a 59 anni negli anni ’90), è stato faticosamente superato, anche se è ancora di oltre 10 anni più bassa che in Italia. La riproduttività, che ha galleggiato sui livelli di rimpiazzo dagli anni ’60 a tutti gli anni ’80, è precipitata fino ad un minimo di 1,2-1,3 figli per donna al giro del secolo, spingendo il Governo ad una vigorosa politica pro-natalista che ne ha provocato una ripresa (con una punta di 1,7 nel 2015, seguita da un abbassamento negli ultimi tre anni) che molti giudicano transitoria. Infine l’immigrazione, che col dissolversi dell’URSS ha determinato il riflusso in Russia della migrazione che (dalla stessa Russia) si era diretta alle altre repubbliche sovietiche. Altri flussi d’ingresso vanno formandosi, attratti da una domanda proveniente soprattutto dalla poco popolata e poco sviluppata parte orientale del paese (RFE, Russian Far East).

La politica pronatalista e il Maternity Capital

A partire dal 2007, il Governo Russo, preoccupato dalla prospettiva di un sostenuto ripiegamento demografico ha promosso una vigorosa politica di sostegno alla famiglia e alle nascite. Una politica, del resto, assai funzionale all’ideologia nazionalista, e dotata di mezzi finanziari cospicui. Nella sua versione più aggiornata (con riferimento al triennio 2018-2020) è stata riproposta da Putin alla fine del 2017: “Dobbiamo adottare un insieme di misure che ci permettano di stabilizzare il numero della popolazione, ed evitarne il declino nel prossimo decennio”. Questo pacchetto di misure va sotto il nome di “Capitale per la Maternità e per la Famiglia”, comunemente detto “Maternity Capital”¹. Esso consiste, essenzialmente, in una somma messa a disposizione delle famiglie che hanno un secondo figlio (o un figlio di ordine superiore) nell’ammontare del 453.000 rubli (7.500 $ al cambio attuale), una cifra considerevole dato il basso reddito pro-capite del paese (10.743 $ nel 2017, secondo la Banca Mondiale). Questa somma può essere spesa a) per il miglioramento delle condizioni di vita: nella maggioranza dei casi, per spese di acquisto o ristrutturazione dell’abitazione, o accensione di un mutuo; b) per l’istruzione dei figli; c) per costituire un fondo pensione per le madri. Per il triennio 2018-2020 la somma impegnata è di 8,6 miliardi di dollari. Inoltre, per le famiglie più povere, viene corrisposta una somma mensile anche per il primo figlio, per primi 18 mesi di vita.

Gli effetti sono stati, a prima vista, notevoli. Nel 2006 il numero di figli per donna fu pari a 1,30; negli anni successivi questo numero è aumentato fino a 1,74 nel 2016, quando si sono registrate 1,89 milioni di nascite (1,5 milioni del 2005). Tuttavia nel 2017 (1,67 milioni) e nei primi mesi del 2018 il numero delle nascite è sensibilmente diminuito, confermando i dubbi di molti circa la “durata” degli effetti prodotti dal programma. Le analisi dettagliate (fino al 2015) indicavano una ripresa per tutti gli ordini di nascita – salvo che per il primo, con una proporzione di oltre il 20 per cento di donne senza figli – ed una diminuzione delle nascite fuori del matrimonio, dando credito all’interpretazione di una ripresa strutturale². Tuttavia, questa interpretazione è messa in crisi dal forte declino delineatosi negli ultimi due anni, in parte imputabile all’aumento della povertà e alle nuove difficoltà economiche insorte anche per effetto delle sanzioni.

Lo smembramento dell’URSS e le migrazioni

In epoca sovietica, una delle forze di redistribuzione della popolazione era la volontà di sviluppare le regioni spopolate, ricche di risorse naturali e di materie prime, nelle quali venivano collocati i grandi complessi industriali. Olga Chudinovskikh e Mikhail Denisenko³ ci informano che nel quarto di secolo tra il 1950 e la metà degli anni ’70, la Russia (la parte dell’URSS corrispondente alla Russia attuale) ebbe un’emigrazione netta di 2,7 milioni verso altre Repubbliche sovietiche (poi divenute indipendenti). L’emigrazione si diresse “verso l’Ucraina e la Bielorussia, per la ricostruzione dopo la guerra, verso le Repubbliche Baltiche, verso il Kazakistan per lo sviluppo agricolo delle terre incolte, verso l’Asia Centrale per avviare l’industrializzazione”. Nella fase successiva, invece, tra il 1976 e il 1991, la Russia ricevette un’immigrazione netta di 2,5 milioni dalle altre Repubbliche. Si trattò di flussi “diretti verso aree remote, ricche di risorse, incentivati da contributi statali”. Si trattò anche di flussi generati dalla “riallocazione di investimenti in aree petrolifere e ricche di gas nella Siberia occidentale, e di risorse minerarie nella Russia orientale”.

Dalla Cina…con timore

Tra il 1991 e il 2015, la Russia ha ricevuto 11,8 milioni di immigrati (per il 90%) dalle Repubbliche ex-Sovietiche, e perduto 5,3 milioni di emigrati (per i due terzi originari delle stesse Repubbliche). In una prima fase si è trattato di migranti generalmente meglio formati e più istruiti di quanto non lo fossero i migranti dopo il giro del secolo. Si tratta di valutazioni macro, molto meno si sa dell’immigrazione temporanea che si reputa in crescita e di quella irregolare, della quale esistono le valutazioni più varie. Negli ultimi anni risulta in ascesa l’immigrazione cinese che però, secondo le fonti ufficiali sarebbe ancora molto modesta. Nella RFE, dove gli interessi cinesi si rivolgono all’agricoltura e alle risorse naturali, gli immigrati cinesi sarebbero 30.000 su una popolazione di 6 milioni di abitanti, poca roba, per ora. La Cina apporta tecnologia, investimenti e manodopera in un immenso territorio bisognoso di sviluppo. La Russia dovrà gestire, più che i numeri dell’immigrazione, l’influenza economica e politica.

Note

¹Pension Fund of the Russian Federation, Maternity (Family) Capital

² Alexey Raksha, Russian Fertility: from Demographic Abyss to New Baby Boom?

³ Olga Chudinovskikh and Mikhail Denisenko, Russia: A Migration System with Soviet Roots

Note figure

*www.reddit.com

**www.migrationpolicy.org

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