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La regressione demografica italiana

L’Istat ha pubblicato il bilancio demografico del 2018. Il dato più preoccupante riguarda le nascite. Nel 2018 in Italia sono nati 440 mila bambini, 18 mila in meno rispetto al 2017 e 137 mila in meno rispetto al 2008. Il saldo naturale (differenza fra nascite e morti) nel corso del 2018 è stato negativo per 193 mila. Tuttavia, nel corso del 2018 la popolazione residente è diminuita “solo” di 124 mila persone (come se in un anno fosse sparita metà della provincia di Rovigo…), perché il saldo migratorio con l’estero è stato positivo per 69 mila. La differenza fra immigrati ed emigrati continua però a diminuire: valeva 85 mila nel 2017, addirittura 434 mila nel 2008. In sintesi, ormai da anni in Italia le nascite e le immigrazioni diminuiscono, e le emigrazioni aumentano. Quindi in Italia vive sempre meno gente, e l’invecchiamento è sempre più accelerato. Rispetto al 2014, oggi in Italia vivono 700 mila persone in meno, ma gli italiani con più di 70 anni sono mezzo milione in più.

Queste tendenze non sono le stesse in tutta Europa. Ad esempio, in Germania ormai da un decennio le nascite crescono e i giovani aumentano grazie all’immigrazione. Sul versante delle nascite, si è agito su un triplice fronte: aumentando la retribuzione delle donne in aspettativa nell’anno successivo al parto, istituendo un assegno universale per i figli a carico, moltiplicando i posti nei nidi. Sul versante immigrazioni, i tedeschi stabilizzano rapidamente chi ha diritto di restare in Germania, insegnando loro il tedesco e concentrandoli nelle aree a maggior richiesta di lavoro, mentre rimpatriano effettivamente gli irregolari. Inoltre, attuano un consistente numero di ingressi programmati, favorendo gli ingressi di immigrati più facilmente integrabili.

In Italia nulla di tutto questo. Eppure non ci vorrebbe molto. Ad esempio, per istituire un assegno universale per i figli a carico di 200 euro netti al mese – escludendo le coppie molto ricche – sarebbero sufficienti otto miliardi di euro, da aggiungere ai venti che oggi si
spendeono – in modo confuso e spesso iniquo – per assegni familiari e detrazioni per i figli a carico. In Italia si è preferito utilizzare somme di queste dimensioni prima distribuendole a tutti i lavoratori con redditi medio-bassi (gli 80 euro), senza distinguere secondo i carichi
familiari, poi anticipando l’età alla pensione, senza tener conto della gravosità del lavoro svolto e ignorando l’aumento della sopravvivenza. Il miliardo per la famiglia promesso dai Cinque Stelle nell’ultima campagna elettorale è subito sparito dai radar. Anche la mitica flat tax – a quanto si capisce – ignora la famiglia come unità fiscale.

I dati Istat sulla popolazione segnalano un allarme sempre più accentuato, ma l’opinione pubblica non se ne cura. Salvo poi scendere in piazza per protestare quando – per mancanza di bambini – chiudono l’asilo o la scuola elementare. La politica (forse) agirà solo se percepirà una reale pressione popolare verso misure favorevoli alle famiglie con figli e verso politiche migratorie non buoniste né cattiviste, ma orientate alle reali necessità del Paese. Speriamo che ciò accada prima che sia tardi.

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