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La geografia familiare del voto a Trump

Molte parole vengono e verranno spese per interpretare il voto che ha portato all’elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. C’è chi parla di rabbia popolare, chi di vendetta della maggioranza silenziosa, chi di impoverimento della classe media. In attesa di analisi più dettagliate, chiediamoci – a caldo – se il voto di martedì 8 novembre ha a che fare con la geografia familiare americana.

The Great Old Party: un voto fecondo

schermata-2016-11-15-alle-09-35-20Consideriamo solo un aspetto, ossia la fecondità. Figura 1 mostra con chiarezza che gli Stati più fecondi sono anche quelli che hanno votato per Trump (1). La variabilità del comportamento fecondo (da 1,57 figli per donna nel Rhode Island a 2,27 del South Dakota) si accompagna a una fortissima variabilità del comportamento di voto a favore di Trump (dal 33% nel Vermont al 70% nel Wyoming). In tutti gli Stati dove la fecondità nel triennio 2013-15 è stata superiore a due figli per donna, Trump ha superato il 50% dei voti. Per contro, in tutti gli Stati dove nello stesso triennio la fecondità è stata inferiore a 1,8 figli per donna, Trump ha preso meno del 50%. Complessivamente, più del 40% della variabilità geografica del voto a Trump è spiegata – dal punto di vista statistico – dalla variabilità geografica della fecondità.

Risultati largamente attesi

Questo risultato non è sorprendente. C’è una ricca letteratura sulle interconnessioni fra comportamenti elettorali e comportamenti demografici, a partire – in Italia – dalla stretta similitudine fra geografia del voto al referendum sul divorzio nel 1974 e geografia del calo delle nascite di tutto il Novecento. Nel caso degli USA, le interconnessioni geografiche reggono anche se si considerano altri indicatori demografici (come le nascite extra-nuziali) e scendendo al livello delle 3.141 contee (2).schermata-2016-11-15-alle-09-36-01 Del resto, anche nelle scorse elezioni presidenziali il voto a Obama e a Romney è stato strettamente correlato alla fecondità del 2010-12 (figura 2). Da ciò deriva anche la fortissima continuità territoriale del voto americano, essendo la classifica degli Stati secondo il voto repubblicano o democratico del 2012 praticamente sovrapponibile a quella del 2016 (più del 90% della variabilità geografica comune).

E pluribus unum?

Questi risultati conducono a due ordini di considerazioni. In primo luogo, la variegata, coerente e persistente nel tempo geografia dei comportamenti elettorali e demografici ci narra l’esistenza di tante Americhe molto diverse fra loro, corrispondenti a diversi modelli di famiglia e di organizzazione sociale. Non dev’essere facile tenere assieme mondi così diversi, e il motto e pluribus unum (da molti, uno soltanto), che campeggia da fine ‘700 sullo stemma USA, mostra tutta la sua grande attualità. In secondo luogo, è legittimo attenderci una modifica delle politiche familiari americane: grazie anche a Congresso, Senato e Corte Suprema di orientamento repubblicano, è probabile che il pendolo si sposti verso il sostegno – non si sa se retorico o reale – alla famiglia tradizionale.

  • Dalle analisi di questo pezzo sono stati esclusi le Hawaii, lo Utah e il District of Columbia (Washington), in quanto outlier per la fecondità e/o per il risultato elettorale.
  • Ron Lesthaeghe e Lisa Neidert (2009) “US Presidential Elections and the Spatial Pattern of the American Second Demographic Transition”, Population and Development Review, 35, 2, 391-400.
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