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La complessa conciliazione tra lavoro e famiglia nelle piccole imprese (*)

Come varie ricerche hanno ripetutamente dimostrato, da noi, più che altrove, la nascita di un bambino riduce fortemente, soprattutto per la componente femminile della coppia, la possibilità di fornire un proprio contributo attivo anche oltre le mura domestiche. Le ricadute negative sono molteplici e su vari livelli. Sul piano individuale, per la frustrazione nel non poter raggiungere quegli obiettivi che a parità di qualifiche e competenze le donne di altri paesi e gli uomini del proprio paese riescono più facilmente ad ottenere. Sul piano familiare, perché le coppie monoreddito con figli sono quelle a maggior rischio di povertà. Sul piano sociale, perché il potenziamento dell’occupazione femminile è una delle principali risposte all’invecchiamento della popolazione. L’utilizzo efficiente del capitale umano femminile è cruciale per la crescita economica e la sostenibilità dello stato sociale, anche a compensazione del progressivo deterioramento del rapporto tra anziani inattivi e forza lavoro.

 

In questa direzione, le donne imprenditrici sono una delle realtà più interessanti e dinamiche. Lo spaccato che esce da varie analisi fornisce, fortunatamente, un ritratto molto vivace: negli ultimi decenni è cresciuto notevolmente il numero di donne che, soprattutto nel terziario, hanno fondato in prima persona un’azienda creando lavoro per sé e per altre persone.

Molti rilevanti ostacoli continuano, però, a comprimere la valorizzazione dell’intraprendenza femminile oltre le mura domestiche. Come indica una recente ricerca della Confartigianato (1), uno dei limiti principali “al lavoro autonomo e imprenditoriale delle donne in Italia risulta senza ombra di dubbio la questione della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura per la famiglia: l’82% del campione di imprenditrici intervistate ha infatti indicato la conciliazione come il problema principale (…)”. Al secondo posto, a grande distanza, “viene indicata la cultura dominante tendenzialmente maschilista” (38%).

Sempre dalla stessa ricerca emerge da un lato una forte consapevolezza e stima di se: il 95% ritiene che le donne siano una fonte costante di innovazione economica, l’85% ritiene che se si risolvesse la questione della conciliazione, lavorerebbero più donne e circolerebbe più ricchezza per tutti. D’altro lato emerge in modo netto la carenza nel paese di servizi adeguati per poter rendere più compatibile il ruolo di madre con quello di imprenditrice: il 91% pensa che il primo modo per facilitare la conciliazione sia quello di aumentare gli asili nido. Servizi per l’infanzia quindi, con adeguata qualità e con orari particolarmente flessibili, visto anche che il tempo dedicato da una donna imprenditrice al lavoro è del 25% maggiore rispetto alle dipendenti.

Altri punti dolenti sono il fatto che per una donna a capo di una piccola azienda, assentarsi dal lavoro per dedicarsi ai figli o delegare un sostituto in periodo di maternità è quasi impossibile.

 

Assieme alla promozione dell’intraprendenza femminile è cruciale, quindi, potenziare il sistema di strutture e misure che consentono di rendere compatibile imprenditoria e impegni familiari. Oltre al miglioramento dell’offerta di servizi per infanzia e per la non autosufficienza, va ripensato, in generale, il trattamento sotto il profilo della tutela della maternità. Questo riguarda sia aspetti specifici, quali la necessità di un sistema di agevolazioni “a regime” che consenta alla titolare di una piccola o media impresa di farsi sostituire, sia un adeguamento con i principi di tutela previsti per le lavoratrici dipendenti, come l’astensione obbligatoria dal lavoro prima e dopo il parto (potendo indicare, però, in modo flessibile il periodo), con relativa indennità di maternità.

E’ evidente che la realizzazione pratica delle possibilità di conciliazione è più complessa per le lavoratrici autonome. In assenza però di adeguati strumenti in tale direzione rischia di rimanere più difficile per un’imprenditrice diventare madre e per una madre diventare o rimanere imprenditrice. Il superamento di molte resistenze verso un’azione politica sensibile e lungimirante su questi temi richiede anche un cambiamento culturale, che a sua volta però può essere favorito da un aumento della presenza femminile nel mercato del lavoro, nella classe dirigente e in particolare in quella politica. Potremo dire di essere sulla buona strada quando al Ministero delle Pari opportunità ci sarà un uomo e a quello dell’Economia ci sarà una donna.

 

Nota

(1) Ufficio Studi Confartigianato, Imprenditrici tra crisi e ripresa. I divari con l’Europa e la rappresentatività, 6° Osservatorio Confartigianato Donne Impresa sull’Imprenditoria Femminile Artigiana in Italia, Roma, Ottobre 2009.

(*) Articolo presente anche su www.nelmerito.com

 

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