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La Cina apre la gabbia …ma non troppo

E’ assai difficile, e spesso dannoso, anche per i regimi avvezzi ad irreggimentare i loro cittadini, governare i fenomeni demografici, imponendo obbiettivi numerici e rotte forzate da seguire. Lo strepitoso successo conseguito dalla Cina nel ridurre la natalità e la crescita demografica ha fatto sorgere altri gravi problemi. Per esempio, l’invecchiamento rapidissimo, che ha distrutto il tradizionale sistema di welfare che – per gli anziani – si appoggiava sulla solidarietà dei figli verso gli anziani genitori: figli che in buona parte sono “unici” e migrati lontano dai loro genitori. Oppure la sproporzione allarmante nel rapporto dei sessi alla nascita, che oggi incide fortemente nel mercato matrimoniale, con una forte prevalenza dei giovani uomini sulle giovani donne. O, ancora, un ordine sociale basato sulla netta divisione tra popolazione urbana e popolazione rurale, tenuto in piedi nonostante la travolgente trasformazione economica degli ultimi decenni. La dirigenza cinese sta prendendo atto con lentezza dei problemi emergenti, e recenti direttive emesse dal Governo affrontano il tema della migrazione interna che ha spinto centinaia di milioni di contadini verso le città, in stato di illegalità formale e di emarginazione sostanziale. Una situazione insostenibile per un paese moderno.

Il sistema hukou e il controllo delle migrazioni
La registrazione dei nuclei familiari, per verificare l’identità la titolarità della residenza ed altre prerogative dei componenti, è una pratica secolare in Cina, in Giappone e in altre aree dell’Asia orientale. Nel 1958 la Cina popolare, ha rinnovato questa antica pratica per renderla funzionale alle finalità di controllo sociale ed economico. Hukou si riferisce allo stato di residente di ogni cittadino in un’area determinata ed include le caratteristiche anagrafiche quali il nome, la data di nascita, i genitori, il coniuge, i figli. Hukou designa anche la registrazione del nucleo familiare, delle sue caratteristiche e dinamiche (matrimoni, divorzi, nascite e morti).  In generale, il sistema fu utilizzato per assegnare i lavoratori allo status rurale o a quello urbano, e per limitare e regolare la migrazione verso le città, rendendo assai difficile e selettivo per un migrante il cambio di hukou, da rurale ad urbano. La residenza urbana, nell’ultimo mezzo secolo, ha significato prerogative e welfare negate ai residenti delle aree rurali (incluso un regime alimentare privilegiato durante la grande fame del 1959-61), approfondendo  la divisione tra i due mondi. Le riforme promosse da Deng Xiaoping a partire dal 1978, attrassero forti investimenti nelle grandi metropoli (Beijing, Shanghai, Guangzhou) e nelle città costiere, stimolati da potenti incentivi. Il travolgente sviluppo urbano richiedeva abbondanza di manodopera e determinò crescenti flussi di immigrazione dalle campagne. Flussi irregolari, ma tollerati, di persone sprovviste di residenza ed esclusi dai benefici legati al possesso di hukou urbano: bassi salari, pessime condizioni abitative, esclusione dall’istruzione, emarginazione. “Nei 30 anni dal 1979, la popolazione urbana della Cina è cresciuta di 400 milioni…dei quali 340 milioni dovuti alla migrazione netta e alla riclassificazione dei centri urbani…Anche qualora solo la metà di questa cifra fosse dovuta alla migrazione, saremmo di fronte al fenomeno di migrazione rurale-urbana più straordinario nella storia dell’umanità”1

Secondo le stime del Census Bureau cinese, i migranti irregolari (floating population, o popolazione fluttuante) che vivevano in una provincia diversa da quella di residenza, ammontavano, a fine 2012, a 236 milioni, circa un sesto della popolazione totale e un terzo della popolazione urbana, un numero raddoppiato rispetto al 20002. La Figura 1 riporta l’andamento della popolazione urbana e di quella rurale, e la percentuale della prima costituita dalla “popolazione flottante”. Quest’ultima costituisce oramai circa un terzo del totale della popolazione urbana, e una popolazione ancora più alta della forza di lavoro. Si può ben dire che la straordinaria crescita dell’economia cinese – analogamente a quanto avvenne per l’industria pesante in Unione Sovietica negli anni ’30 – abbia gravato in misura sproporzionata sulle spalle della popolazione rurale.

Una riforma inevitabile
Nessun paese, quale che sia il suo regime politico, può resistere a lungo alla pressione delle migrazioni interne, bloccandone i flussi, e all’approfondirsi del solco tra ceti urbani e ceti rurali, senza pagarne un caro prezzo. Nemmeno la Cina, il cui regime è certo poco attento ai diritti umani, ma assai sensibile alle convenienze economiche, ha potuto evitare pesanti conseguenze negative. Il rallentamento e la prossima inversione della crescita demografica determinerà una scarsità di manodopera e implicherà la formazione di una forza di lavoro di migliore qualità e capacità e una minore domanda di manodopera generica. Agli irregolari – prima che divengano un intrattabile problema sociale – occorre concedere fondamentali prerogative sociali, rendendoli partecipi di un modesto welfare. I flussi migratori non possono essere più frenati da una legislazione creata in un’epoca di povertà abissale, di ferreo controllo centrale, di difficili  comunicazioni. Il paese si è modernizzato. E’ in questo contesto che si pongono le direttive emesse dal Consiglio di Stato (cioè dal Governo) alla fine dello scorso mese di Luglio.

Le linee della riforma del Governo
Le linee direttive emanate dal Governo il 30 Luglio sulla riforma del sistema hukou si inseriscono in un contesto di sviluppo e potenziamento dell’economia legato alla previsione di un afflusso di 100 milioni di migranti dalle aree rurali a quelle urbane nei prossimi 6 anni. Nel 2020, la quota della popolazione cinese nelle aree urbane raggiungerebbe il 60% circa, dall’attuale 53% (2014). Per facilitare questo flusso che nelle aspettative dovrebbe rafforzare le capacità produttive del Paese, sostenere i consumi, contrastare la carenza di manodopera, si propone la fine della differenziazione tra hukou rurale e hukou urbano, e delle discriminazioni che esso comporta. Si passerà ad un concetto di residenza, svincolato da benefici e prerogative. Allo stesso tempo si consentirà la graduale attribuzione ai contadini trasformatisi in migranti lavoratori (formalmente illegali) della residenza nelle città nelle quali lavorano, cancellando le discriminazioni che oggi li colpiscono. Naturalmente, perché tutto questo avvenga – e in uno spazio ridotto di anni – occorrerà che le aree urbane (le megalopoli, le città, ma soprattutto i centri più piccoli che dovrebbero – questi ultimi – assorbire quote crescenti di migranti) si dotino di risorse abitative, di infrastrutture, di servizi pubblici (istruzione, salute, previdenza) adeguati a fare dei nuovi residenti dei veri cittadini urbani. L’azione pubblica sarà diretta a selezionare e guidare i flussi dei nuovi migranti, rafforzando soprattutto i centri minori e riequilibrando così il gigantismo delle megalopoli3. A questo proposito, la concessione della residenza urbana avverrà sulla base di requisiti via via più stringenti al crescere delle dimensioni delle aree urbane. Ad esempio, per le piccole città basterà che il migrante sia in possesso di un’abitazione conveniente, mentre per le città tra mezzo milione e un milione di abitanti, sarà necessario avere anche un lavoro stabile e contribuire al fondo locale di previdenza; per le città più grandi si prevedono altre condizioni via via più restrittive, con particolari limitazioni per le megalopoli come Beijing, Shanghai e Guangzhou (Canton)4.

Questo piano – osservano molti commentatori – potrà realizzarsi solo con molta gradualità, non fosse altro perché i suoi maggiori oneri ricadranno sulle comunità locali molte delle quali sono assai riluttanti  a sobbarcarsene il peso. I numeri coinvolti sono giganteschi: 100 milioni di migranti urbani nel giro di 6 anni, circa 17 milioni all’anno, che rapportati alla popolazione sono pari all’1,2 per cento. Proporzionalmente, in Italia un tale movimento riguarderebbe oltre 700.000 migranti all’anno, più del triplo dell’accrescimento annuo dei 15 maggiori comuni italiani tra il 1951 e il 1961, il periodo di massima urbanizzazione. La Cina è il paese dei grandi numeri ma anche della grande rapidità del mutamento sociale.

 
1 – Kam Wing Chan,  China, Internal Migration, in Immanuel Ness e Peter Bellwood (a cura di), The Encyclopedia of Global Human Migration, Wiley Blackwell, Oxford, 2013

2 – National Bureau of Statistics of China, Chinas’s Statistical Yearbook 2013

3 – China Daily, Vision for hukou reform, 31 Luglio 2014

4 – Wall Street Journal, China’s Hukou Reform, 4 Agosto 2014

 

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