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Il Censimento del 2011: progressi e interrogativi

Il XV censimento della popolazione, eseguito nell’Ottobre del 2011, ha adesso un volto definitivo, grazie alle rapide ed efficienti procedure informatiche messe in campo dall’Istat. Secondo il comunicato emesso il 19 dicembre scorso, la popolazione “legale” ammontava, a quella data, a 59,4 milioni: come vuole la legge, i dati sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale il 18 Dicembre e sulla loro base sarà conteggiata la distribuzione dei seggi tra le circoscrizioni per la Camera, e tra le regioni per il Senato, nelle prossime elezioni politiche. I dati del Censimento offrono innumerevoli occasioni di analisi e ricerca sulle caratteristiche della società italiana e costituiscono una solida base per le indagini campionarie di natura sociale, demografica ed economica. E ci auguriamo che Neodemos possa ospitare – nei prossimi mesi ed anni – numerosi contributi che dall’analisi del Censimento traggano spunti per meglio comprendere l’evoluzione dell’Italia in pieno XXI secolo.

In queste brevi pagine desideriamo tuttavia fare alcune osservazioni e riflessioni problematiche sulle quali sarebbe interessante aprire una discussione. Queste riguardano la natura del Censimento; il significato dei dati raccolti; la definizione di popolazione; alcune implicazioni politiche dei risultati. Le sottoponiamo ai lettori e agli specialisti, sperando di aprire la strada ad altri contributi, alcuni già preannunciati da noti studiosi.

Il XV Censimento: un’operazione circolare?

La filosofia del censimento, nell’Ottocento e per lunga parte del Novecento era lineare: un’operazione di “setacciamento” quanto più accurata possibile delle famiglie e degli individui sul territorio, opportunamente suddiviso, con una suddivisione dei censiti in “de jure” e “de facto”. Le dimensioni delle maglie del setaccio, la capacità dei rilevatori, la conoscenza del territorio erano i fattori determinanti della riuscita del censimento. Sappiamo bene come le condizioni siano profondamente mutate nel secolo scorso, per la crescente mobilità delle persone, il ridursi delle dimensioni delle unità familiari, l’accresciuta sensibilità verso l’intrusione pubblica nella vita privata. In Italia, dove esistono le anagrafi comunali da più di un secolo, il Censimento serviva all’inizio per il controllo e la pulizia di queste, spesso inquinate da una sorta di “clientelismo demografico”; in seguito le anagrafi hanno costituito l’essenziale base della rilevazione, che comunque, restava (almeno in linea di principio) un’operazione “indipendente”. Con l’ultimo Censimento si è fatto un passo ulteriore: il Censimento è saldamente fondato sulle anagrafi, anzi è – in pratica – un “censimento” delle anagrafi, con l’obbiettivo di cancellarne chi non risulta – dal controllo – effettivamente dimorante e di aggiungere chi non è iscritto, ma dovrebbe esserlo.

C’è dunque una evidente circolarità: la rilevazione censuaria si alimenta dell’informazione fornita dalle anagrafi e restituisce loro la precisione e la rispondenza alla realtà perduta nel decennio trascorso dal censimento precedente. Ma non è più un’operazione “indipendente”.

E’ cresciuto il divario tra Censimento e anagrafe. Perché?

Il cuore delle operazioni censuarie, costituito dal cosiddetto Sistema di Gestione della Rilevazione (SGR), ad elevato grado di informatizzazione, aveva contabilizzato, alla data del censimento (9.10.2011) 61,249 milioni di iscritti nella anagrafi, contro un dato definitivo del Censimento di 59,434 milioni, con una differenza pari al 3%. I controlli hanno accertato che 2,380 milioni erano iscritti nelle anagrafi, ma risultavano irreperibili; è stato anche accertato però che 0,682 milioni di persone non risultavano iscritte in anagrafe, ma avendo accertato la loro dimora abituale nel comune di riferimento, avrebbero dovuto trovarvisi. L’Istat spiega con dettaglio la complessità delle operazioni di verifica, alle quali rimandiamo. Diciamo solo che l’eccesso delle iscrizioni è imputabile – come è ovvio – alle aree ed ai settori di popolazione più mobili: il divario è relativamente assai più elevato per gli stranieri che non per gli italiani; per le persone nelle fasce di età centrali che non per i bambini e per gli anziani; per gli uomini rispetto alle donne; per le grandi città rispetto ai piccoli comuni; nel Mezzogiorno rispetto al resto del paese. Sono aspetti assai noti, ben verificati anche in passato.

Sorge però spontanea una domanda; per quali ragioni la “qualità” delle anagrafi è andata peggiorando nel tempo? Eppure adesso tutte le anagrafi sono informatizzate e tra loro collegate, cosicché risultano assai più facili ed efficienti eventuali controlli. L’Istat può dialogare col Ministero dell’Interno, dal quale dipendono le anagrafi; anormalità ed errori possono essere individuati in tempo reale ed eventualmente corretti. Se il lavoro dell’Istat è stato corretto – e certamente lo è stato – un divario del 3%, nell’ipotesi (certo irrealistica, ma che tuttavia dà idea delle dimensioni dei fenomeni in causa) che la produttività degli irreperibili fosse pari a quella del resto della popolazione – equivarrebbe ad altrettanti punti di PIL ed implicherebbe una sovrastima dello stesso di 60 milioni di euro…

I Censimenti del futuro….

Quello del 2011 è stato con tutta verosimiglianza l’ultimo censimento, a un secolo e mezzo dal primo, effettuato in quattro e quattr’otto all’indomani dell’Unità. L’obbiettivo dell’Istat è di introdurre il cosiddetto “censimento continuo” – essenzialmente lo sfruttamento delle anagrafi integrato da altre fonti amministrative e da indagini campionarie a rotazione – ottenendo così il triplice vantaggio di ridurre i costi, di contenere l’ “intrusione” nelle famiglie, di ottenere affidabili dati continui ed eliminare gli “scalini” decennali connessi con le correzioni della popolazione legale sulla base del censimento. Ottimi obbiettivi, verso i quali si stanno avviando quasi tutti i paesi avanzati, con affidabili sistemi informativi. Ma quanto è affidabile il nostro? Il forte divario tra risultanze del censimento e risultanze anagrafiche qualche dubbio lo solleva.

Per dissiparli, questi dubbi, attendiamo con interesse ulteriori analisi dell’Istat stesso e degli specialisti in materia. In primo luogo, un’analisi dettagliata delle caratteristiche delle 2,4 milioni iscrizioni anagrafiche corrispondenti a persone non censite che ci faccia risalire alle ragioni – comportamenti dei singoli, inefficienze amministrative ecc. – di questa forte divergenza. Che è maggiore che in passato, anche per l’accresciuta immigrazione. In secondo luogo, un’analisi delle caratteristiche delle 700.000 persone censite, ma non iscritte in anagrafe. Dove sono state individuate? Perché non erano iscritte in anagrafe? Si trattava solo di ritardi o erano vere e proprie omissioni? E, ancora, quanto sono state efficienti gli archivi e le liste integrative (LIFA, “altre fonti amministrative” come i permessi di soggiorno; RNC, lista dei numeri civici) nell’individuazione dei dimoranti abituali non iscritti in anagrafe? Le risposte a questi quesiti sono importanti, perché senza l’ausilio di fonti integrative che aiutino ad individuare chi, per varie ragioni, non è iscritto in anagrafe, il censimento continuo rischia di essere incapace di integrare la fonte anagrafica e rimane privo di fonti indipendenti.

Popolazione dell’Italia e popolazione di Italiani

A fini elettorali, la popolazione dell’Italia è quella “legale” del censimento iscritta in Gazzetta Ufficiale. Facciamo dunque dipendere la distribuzione dei seggi elettorali dalla dislocazione residenziale dei cittadini italiani (55,4 milioni)…ma anche da quella di qualche milione (4,0) di cittadini stranieri. Ai quali cittadini stranieri, però, neghiamo il diritto di voto, anche nelle elezioni locali. I legislatori, all’epoca della Costituente, probabilmente non immaginavano che gli stranieri sarebbero diventati milioni e che, per il semplice fatto di vivere in una determinata parte del paese anziché in un’altra, avrebbero influenzato la distribuzione dei seggi. Poi ci sono i visitatori – che vivono in Italia per qualche settimana o qualche mese, ma che consumano e usano servizi e strutture, e pagano imposte (indirette) – e che, in un certo senso, sono anch’essi popolazione dell’Italia. Ci sono anche gli stagionali e anche gli irregolari, che spesso passano anni nel nostro paese: anche questi sono popolazione dell’Italia.

I cittadini Italiani che risiedono all’estero (e spesso con una seconda cittadinanza) e sono iscritti all’AIRE (4,2 milioni) fanno invece parte della popolazione di Italiani, ma non della popolazione dell’Italia, anche se votano alle elezioni politiche. Ci sono poi anche cittadini Italiani, che risiedono all’estero, ma non sono iscritti all’AIRE: anch’essi fanno parte della popolazione di Italiani, anche se non sappiamo quanti siano. Infine ci sono milioni e milioni di discendenti di Italiani…non più cittadini del nostro paese, ma anch’essi, in qualche modo e in qualche grado – anche minimo – connessi con la popolazione di Italiani…

l’Istat, il Ministero degli Esteri, quello dell’Interno, e i tanti studiosi interessati all’argomento potranno fare molto per migliorare la nostra contabilità “nazionale”: ne sarà soddisfatta la nostra curiosità statistica ma – soprattutto – ne guadagnerà molto la conoscenza della nostra società.

 

Per saperne di più

Istat, Struttura demografica della popolazione. Dati definitivi

Istat, Esiti del confronto censimento anagrafe

Istat, Nota metodologica: il processo di produzione della popolazione legale

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