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I nidi nella crisi (*)

In Italia, il peggioramento delle condizioni socio-economiche delle famiglie – nel 2013 quasi un quinto dei bambini vive in nuclei familiari al di sotto della soglia di povertà – ha reso l’accesso al nido ancora più indispensabile[1]. La crisi economica dal 2008 in poi ha infatti esacerbato le difficoltà delle famiglie, aggravandone i problemi strutturali sia in termini di reddito ottenuto che di opportunità di impiego e di risparmi.
Nel biennio 2008-2010 l’occupazione femminile è diminuita mentre è cresciuta l’occupazione non qualificata rispetto a quella qualificata. Nel secondo biennio della crisi, quello tra il 2011 e il 2012, l’occupazione femminile è tuttavia aumentata anche in risposta alla forte diminuzione della partecipazione maschile e alla riduzione dei risparmi familiari. Dai dati più recenti emerge che sono le donne nelle famiglie a più basso reddito e istruzione nelle regioni del Sud ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro nonostante le peggiori condizioni dei servizi offerti[2].
L’aumento dell’importanza dei servizi dell’infanzia in contesto di crisi economica, non è stato sufficiente ad impedire che le entrate dei comuni subissero una drastica diminuzione a causa dei tagli e della riduzione dei fondi regionali distribuiti tramite le Province.
Sono in diminuzione anche le entrate derivanti dalle rette delle famiglie, come conseguenza della riduzione delle rette medie e di una maggiore concentrazione di utenti nelle fasce ISEE più basse.
L’obiettivo primario è bilanciare un alto livello di qualità del servizio offerto con un rapporto di entrate/costi che consenta la sostenibilità del servizio stesso. Nella maggior parte dei comuni si assiste a un razionamento dell’offerta di posti nido: tale numero risulta infatti inferiore alla domanda. Il razionamento del servizio avviene tramite la predisposizione di criteri di accesso che assegnano diversi punteggi alle varie caratteristiche del nucleo famigliare. La scelta dei criteri di accesso determina pertanto una selezione delle famiglie e conseguentemente il contributo versato da quest’ultime, le entrate del Comune, e la sostenibilità del servizi medesimo.
Ogni città adotta criteri e tariffe differenti, rendendo possibile un confronto in termini di popolazione “selezionata” e contributo economico fornito dalla collettività.
La Figura 1 mostra la disponibilità di nidi (rapporto nidi/popolazione 0-2 anni) e la variabilità a livello di tariffe medie applicate per una famiglia con ISEE di 20.000 euro[3]. La copertura media è più alta nelle città emiliane mentre Torino e Reggio Emilia e Bologna registrano tariffe medie all’incirca molto più alte che in città come Roma e Napoli.

Per capire il legame tra criteri, composizione delle famiglie che utilizzano il nido e contributi al comune, abbiamo analizziamo l’impatto dei criteri e delle tariffe utilizzate dal Comune di Torino sulla composizione della popolazione e sul contributo economico delle famiglie “selezionate”. Tale simulazione che utilizza come base la popolazione del capoluogo piemontese,  ci permette di verificare cosa succederebbe in termini di composizione della popolazione e di entrate derivanti dalle rette pagate dalle famiglie a Torino, se venissero applicati criteri di selezione scelti in altri contesti quali, ad esempio, quelli di altre cinque città italiane come Milano, Reggio Emilia, Bologna, Roma e Napoli.
Come emerge dalla Figura 2, le caratteristiche delle famiglie “selezionate” cambiano a seconda dei criteri di accesso applicati. Ad esempio, a Torino vengono privilegiate le famiglie con disagio, disoccupate, e numerose; in altre città le famiglie dove entrambi i genitori  lavorano.
La scelta di privilegiare una determinata caratteristica comporta ovviamente conseguenze rilevanti dal punto di vista delle entrate.
La Figura 3 evidenzia il contributo delle famiglie al variare dei criteri di accesso e delle tariffe, mettendo a “100” la città di Torino. In blu è indicato il contributo delle famiglie, a parità di tariffe (torinesi) ma variando i criteri di accesso: si nota come in media le entrate nella altre città  presentino almeno 20 punti percentuali in più. In rosso è indicato il contributo delle famiglie, a parità di criteri (torinesi) ma variando le tariffe. Infine, in verde, vengono simulati sia i criteri sia le tariffe, per mostrare come i due aspetti tendano a compensarsi, tranne che a Reggio Emilia. Con l’applicazione di criteri di selezione e tariffe propri della città di Bologna e  Reggio Emilia si otterrebbe un aumento dell’entrate di circa 80 punti percentuali rispetto al caso torinese. Un aumento che risulterebbe sia da una diversa composizione dell’utenza selezionata che da un diverso schema tariffario applicato.
Da questa simulazione emerge come la scelta di diversi criteri d’accesso (e di tariffe) da parte dei comuni  sia determinante nel processo di selezione di un mix di famiglie che:
a) siano in grado di mantenere tutti e due gli importanti ruolo del nido pubblico: la conciliazione famiglia lavoro e il ruolo educativo.
b) siano in grado di garantire la sostenibilità dei servizi comunali e di contribuire a ridurre lo svantaggio nei confronti di chi invece è un genitore lavoratore;
c) mantengano una eterogeneità nelle caratteristiche dei bambini e delle loro famiglie in modo da non incentivare episodi di completa segregazione
Questi risultati sono importanti per un ragionamento sul ruolo dei nidi in una fase di grave crisi economica. Una crescente letteratura anche su dati Europei e  Italiani dimostra che l’ impatto positivo del nido è più importante per le famiglie più svantaggiate ma solo nei casi in cui il nido sia di alta qualità e una composizione eterogenea dei bambini[4].

(*) Articolo pubblicato anche su www.lavoce.info e www.ingenere.it


[1]Italia: il 17% dei bambini sotto la soglia di povertà. L’Italia si colloca al 22° posto su 29 paesi nella classifica generale sul benessere dei bambini. Alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia, prima di Estonia, Slovacchia e Grecia. Secondo i dati ISTAT sui consumi la povertà colpisce innanzitutto famiglie con minori.
[3] Cittadinanzattiva (2012), Asili nido comunali Dossier a cura dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva.

[4]Datta Gupta, N.  e Simonsen, M. (2010), ‘Non-Cognitive Child Outcomes and Universal High Quality
Child Care’, Journal of Public Economics, 94(1-2):30-43. Havnes, T. e Mogstad, M. (2010), ‘Is Universal Childcare Leveling the Playing Field? Evidence from Non-Linear Difference-in-Differences’, IZA DP. 4978. Brilli Y., Del Boca D.,  e Pronzato C. “Exploring the role of Child Care in Italy “ IZA WP 5918, Carlo Alberto Notebook 214

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