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Dieci anni di immigrazione in Lombardia: lettura di alcuni aspetti quantitativi

La Lombardia ha messo a segno, a metà dello scorso anno, il superamento del confine simbolico dei dieci milioni di abitanti[1]. Il complesso dei presenti sul territorio regionale -ottenuto sommando ai residenti anche coloro che vivono in ambito lombardo senza risultare iscritti in anagrafe- ha raggiunto al 1° luglio 2009 dieci milioni e 28mila unità, di cui ben un milione e 70mila relative a cittadini dei così detti “Paesi a forte pressione migratoria” e pertanto riconducibili (seppur in termini grezzi) alla popolazione straniera immigrata. Una componente, quest’ultima, che è stata il vero motore della crescita demografica lombarda nel XXI secolo: basti considerare che gli italiani, pur con l’aggiunta del modesto gruppo di residenti con cittadinanza dell’Europa dei 15, del Nord America o di altre Nazioni a sviluppo avanzato, erano otto milioni e 712mila al 1° gennaio 2001 e sono solo pochi in più (otto milioni e 858mila unità) secondo le risultanze al 1° luglio 2009.
Se dunque la presenza di immigrati stranieri ha fortemente segnato nell’ultimo decennio la crescita demografica nella realtà lombarda va però detto che lo ha fatto seguendo un percorso caratterizzato da alcuni importanti cambiamenti, che sembrano far emergere numerosi segnali di maturazione e di radicamento nella società ospite.
 
Segnali di cambiamento
Un primo segnale proviene dalla crescente disseminazione sul territorio, che ha portato al superamento della assoluta centralità dell’area metropolitana milanese (Milano città accentrava un terzo dei presenti nel 2001 ed è scesa ad un quinto nel 2009), per favorire una localizzazione degli insediamenti che, anche nelle province più periferiche, insegue le opportunità offerte sul piano del lavoro e dell’abitazione.
Altri segnali che sembrano andare nella direzione di una presenza “più matura” provengono sia dal riequilibrio della composizione per genere (dal 57% di maschi nel 2001 al 53% nel 2009), sia dall’aumento dell’età mediana, alzatasi di circa due anni a partire dall’inizio del secolo. Ancor più significativo, nella medesima direzione, appare l’incremento dell’anzianità migratoria: la quota di presenti da almeno cinque anni è infatti passata dal 37% del 2001 al 62% del 2009 e l’anzianità mediana è salita, nello stesso periodo, da 4,5 a 7,7 anni. Anche il panorama familiare mostra un diffuso orientamento verso strutture tendenzialmente più radicate: si accentua nel tempo la superiorità dei coniugati rispetto ai celibi/nubili (era di 5 punti percentuali nel 2001 ed è salita a ben 25 nel 2009) ed in parallelo va rafforzandosi il peso relativo degli immigrati che risultano in coppia con figli (dal 25,3% al 39,4%), per lo più a scapito della convivenza con parenti e/o amici (dal 27,8% al 15,6%) e del vivere soli (dal 14,5% al 12,3%).
Nel resoconto sulla dinamica e sullo stato della presenza straniera in Lombardia non mancano naturalmente due importanti aspetti, spesso oggetto di dibattito e fonte di preoccupazione: la forte velocità di crescita delle presenze (il cui passaggio da 420mila a un milione e 170mila in soli nove anni evoca la prospettiva di uno sviluppo esponenziale difficilmente governabile) e, soprattutto, la persistenza del fenomeno dell’irregolarità (fig. 1). Circa quest’ultimo punto, i 153mila irregolari stimati a metà del 2009, benché siano solo 5mila in più rispetto ai dodici mesi precedenti (a fronte di un aumento di 110mila presenze), confermano l’esistenza di una realtà non marginale. Un mondo in cui trovano spazio situazioni di sfruttamento dei lavoratori e di evasione degli obblighi contributivi e in cui risultano più frequenti taluni comportamenti che rientrano nella sfera della criminalità. E’ ben vero che i tassi di irregolarità in Lombardia sono in discesa nell’ultimo triennio e sembrerebbero aver raggiunto, con il 13% stimato al metà del 2009, livelli “quasi fisiologici”, non va tuttavia dimenticato che, pur se si è lontani dalle punte del 30% registrate poco prima della “Bossi-Fini”, il tasso di irregolarità del 2009 riflette pur sempre una media: mette cioè insieme il valore nullo dei neocomunitari con quello di altre nazionalità, ad esempio egiziani, boliviani, ucraini, peruviani e moldavi, per le quali l’incidenza del fenomeno resta tuttora prossima al 20%.
 
Sempre più integrati
Se dunque l’irregolarità rappresenta un punto tuttora meritevole di attenzione, non si può non rilevare come l’analisi dei dati statistici fornisca anche segnali confortanti sul piano della mobilità sociale della popolazione straniera immigrata in Lombardia. Ci si riferisce sia agli indicatori che sinteticamente ne misurano il livello di integrazione – ovunque contraddistinti da un’intensità di crescita mediamente nell’ordine del 50% durante il decennio – sia ai dati sul lavoro e sull’abitazione, due ambiti fondamentali nell’organizzazione della vita dei migranti.
In tema di casa è certamente significativo osservare come, tra il 2001 e il 2009, ben 257mila immigrati stranieri in più abbiano avuto accesso ad una abitazione in affitto con regolare contratto e altri 153mila ad una casa in proprietà. In altri termini, è come dire che si è data risposta ad una domanda aggiuntiva di abitazioni pari a più del totale di quella attualmente espressa dal complesso degli abitanti, rispettivamente, delle città di Brescia e di Bergamo. Il che, in una regione a forte tensione abitativa, com’è da sempre la Lombardia, non è certo cosa da poco.
Rispetto al lavoro emerge con estrema chiarezza “l’effetto anzianità”, come fattore positivo che determina sia forme di stabilizzazione del rapporto (fig. 2), sia incrementi di remunerazione. Non a caso, dal reddito netto mediano di 1300 euro mensili che caratterizza gli immigrati stranieri giunti in Italia prima del 1991, si passa progressivamente ai circa 900 euro medi per coloro che sono giunti nel corso dell’ultimo quinquennio.
In conclusione, dalla lettura dei dati si può ritenere che mentre alcuni importanti risultati sono già stati ottenuti, altri vanno ancora visti unicamente come obiettivi auspicati. L’esperienza di questi anni ha confermato che per governare al meglio e per condividere in positivo la realtà migratoria nella società lombarda è necessaria una “conoscenza oggettiva” del fenomeno, che renda possibile valutarne le dinamiche e prevederne per tempo sviluppi e problematiche. Nella capacità di leggere con realismo gli eventi e poter così rispondere con giusto equilibrio alle istanze del cambiamento, risiede la via per far sì che “il mezzo bicchiere pieno” – che i dati statistici consegnano oggi alla riflessione – possa in futuro risultare sempre più colmo.
 


[1] Gian Carlo Blangiardo (a cura di), L’immigrazione straniera in Lombardia. La nona indagine regionale, Fondazione ISMU, Milano, 2010
 

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