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Cure transfrontaliere: tra Unione della salute e turismo sanitario

La Direttiva n. 24 sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, approvata dall’Unione Europea nel 2011, prevede che, con l’autorizzazione dello Stato di origine, il paziente possa recarsi in un altro Stato membro che dovrà garantire un’assistenza sanitaria adeguata e di qualità.

Una rete sanitaria Europea

Lo Stato di provenienza si farà carico del rimborso del paziente assicurato, a condizione che il trattamento erogato faccia parte delle cure previste dalla legislazione nazionale, e potrà prevedere un successivo rimborso per le spese di vitto e alloggio sostenute durante il ricovero. Essenziale è il Punto di Contatto Nazionale[1] dove si dovranno trovare tutte le informazioni sulle strutture sanitarie, ricette, rimborsi, tariffe, procedure ed eventuali autorizzazioni preventive dello Stato di provenienza. Oltre a promuovere una maggiore chiarezza sui sistemi sanitari nazionali, uno degli obiettivi della norma è quello di rafforzare la cooperazione sanitaria tra gli Stati Membri instaurando vere e proprie reti transnazionali per la cura di alcune patologie rare come per lo scambio delle nuove tecnologie (Commissione Europea, 2014).

La libera circolazione delle persone e il principio della parità di trattamento tra cittadini UE e i residenti sono assicurati da qualche anno all’interno della legislazione europea[2], ma questa Direttiva compie un ideale passo in avanti, pur non introducendo nessun nuovo diritto. Tenendo conto della mobilità degli operatori sanitari e dei pazienti, li considera entrambi parte della stessa assistenza sanitaria, erogata a livello di Unione e non più di singolo Stato, e pone il paziente e la trasparenza delle informazioni al centro del sistema (WHO, 2011).

Una grande occasione per l’Italia?

I Paesi dell’Unione hanno provveduto a conformarsi alla Direttiva, ma solo lentamente. Nonostante diverse commissioni di studio e iniziative mirate, alla fine del 2013 la Commissione Europea lamentava di non essere ancora in grado di produrre una reportistica sullo stato di adeguamento dei Paesi.

Con il decreto legislativo di recepimento del 28 febbraio scorso, l’Italia si è adeguata alla Direttiva anche se con diversi limiti rispetto alla ratio originaria. L’accessibilità alle cure è stata parificata a quelle previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il rimborso delle spese sostenute è soltanto di tipo indiretto (il paziente deve pagare di tasca sua e poi chiedere il rimborso) e deciso sulla base delle tariffe regionali di provenienza, ma si è decretata la sua obbligatorietà per l’assistenza fruita nell’ambito dei sistemi sanitari nazionali. Restano, invece, esclusi i servizi per l’assistenza di lunga durata, i trapianti e le vaccinazioni, e la pre-autorizzazione regionale si rende necessaria anche quando si tratta di cure che prevedano il ricovero anche di una sola notte.

Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha parlato di una grande occasione per l’Italia in termini di rilancio delle proprie “eccellenze”. Tuttavia, andando a guardare nel dettaglio i termini della mobilità sanitaria europea, il quadro appare piuttosto complesso. Nel Grafico 1, che riportata la percentuale di non residenti sul totale dei pazienti nei ricoveri ospedalieri (Patient Mobility Indicator), emerge per l’Italia un trend in linea con la media dei paesi UE, almeno a partire dal 2004 anno in cui i dati per l’Italia iniziano ad essere disponibili .

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Il nostro Paese conferma, quindi, un’attrattiva significativa in termini sanitari per quanto la distribuzione dei posti letto risulti decisamente al di sotto della media europea (Grafico 2). Negli anni 2009-2011, in media, a fronte di 50 milioni di euro di entrate si sono comunque sostenute spese per 75 milioni di euro, per curare i cittadini italiani all’estero, di cui più di 42 per cure specialistiche (Gobbi e Magnano, 2013).

Come rilevato anche da Active Citizenship (2013), se il rimborso delle spese sostenute non è diretto, gioverà dei benefici effettivi delle cure transfrontaliere soltanto chi potrà sostenere la spesa e affrontare eventuali ritardi della PA nella liquidazione. Immaginando il frammentato mosaico europeo, la differenza di costo dei trattamenti sanitari tra lo Stato Membro di provenienza e quello di cura avrà bisogno di un denominatore comune al fine di evitare pratiche di dumping nel mercato sanitario.

Le strutture sanitarie private, inoltre, stanno lavorando da qualche tempo a una certificazione parallela ad hoc, così da inserirsi nel solco naturale già prodotto dalla Direttiva e poter attrarre un maggior flusso di pazienti. L’ampliamento dell’offerta non può che giovare a un mercato in eccesso di domanda per motivi demografici e tecnologici. Tuttavia, onde evitare il rischio di creare un mercato sanitario al ribasso e minare quello delle eccellenze pubbliche spesso deficitarie di un’adeguata promozione, bisogna sviluppare adeguate procedure di accreditamento e di monitoraggio delle strutture private e non-profit ammesse. Il sito governativo, che orienta il cittadino straniero nel recepimento delle informazioni, potrebbe colmare questa mancanza.

Preoccupandoci delle conseguenze producibili dall’adeguamento italiano, non possiamo però escludere ulteriori potenziali rischi di medio e lungo periodo.

Che cosa accade all’interno dei confini nazionali?

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I saldi migratori della mobilità sanitaria interregionale (Tabella 1) mostrano un quadro molto eterogeneo passando dal -13,5% della Calabria al +8.8% dell’Emilia-Romagna, comportando un costo compensativo pari a circa 3,7 miliardi di euro. Inoltre, alla luce della distribuzione dei posti letto per acuti, si noterà come il saldo migratorio regionale sia in parte ingiustificato laddove le strutture, già largamente presenti sul territorio, non godono probabilmente della fiducia dei pazienti nazionali. Ci domandiamo, quindi, sia perché dovrebbero godere di quella dei pazienti stranieri sia che ulteriori drammatici effetti produrrebbe l’“esportazione” di pazienti su di alcuni territori già adesso in sofferenza

Pur presentendo solamente le caratteristiche del caso italiano a paragone con il trend europeo, ben s’intuisce che il rischio di posticipare eccessivamente un’armonizzazione di procedure e burocrazia tra gli Stati membri non può che aumentarne il divario tra di essi a unico discapito dei cittadini e pazienti.

Dopo aver mandato “in pensione” l’E-111, l’E-128 e varia ridondante modulistica con l’introduzione della sola tessera sanitaria europea, è lecito interrogarsi sul percorso intrapreso. Ci stiamo, infatti, davvero muovendo verso una sempre più coesa Unione Europea sanitaria o stiamo altresì alimentando il fenomeno del turismo sanitario tra gli Stati membri, avvantaggiando i paesi con una consolidata tradizione sanitaria e svantaggiando quelli che, all’interno del loro territorio, non riescono già adesso a fornire una copertura adeguata e uniforme ai propri cittadini?

Per saperne di più

Active Citizenship (2013), The right to information and free choice in a European perspective: Patients’ Rights Have No Borders,

Commissione Europea (2014), Assistenza sanitaria transfrontaliera: i diritti dei pazienti.

Gobbi B., Magnano R. (2013), “Cure transfrontaliere: conto alla rovescia verso il 25 ottobre. Ministero e Regioni in affanno sulla direttiva UE”, Il Sole 24 Ore Sanità, 9 luglio.

Ministero della Salute (2010), Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale.

WHO – European Observatory on Health and Policies (2011), Cross-border health care in the European Union. Mapping and analysing practices and policies.

ISTAT – Noi Italia, Sezione Sanità e Salute .

[1] Il National Contact Point per l’Italia è rappresentato dal portale bilingue che fornisce informazioni ai potenziali pazienti sulle strutture italiane.

[2] Come già sancito dalla giurisprudenza europea – sentenze Kohll e Decker del 1998 – i cittadini UE possono beneficiare delle cure erogate in uno Stato membro anche se non preventivamente decise, e qualora sostenuta una spesa, ottenere un rimborso della stessa. Inoltre, come previsto dal Regolamento n.883 del 2004, i cittadini UE e i residenti hanno pari dignità per quanto riguarda i diritti e gli obblighi previsti dalla legislazione nazionale.

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