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Crisi non scaccia crisi: l’’ostinata persistenza delle fragilità italiane (*)

Il nostro paese è entrato nell’attuale fase di recessione globalizzata con il fiato più corto rispetto al resto d’Europa. Sono oramai vari anni, del resto, che la nostra economia fatica a mantenere il passo con la media degli altri paesi occidentali.
Lo stesso benessere materiale della popolazione, reale e percepito, si trovava da tempo in sofferenza: negli ultimi 15 anni il reddito medio pro capite italiano si collocava di 4 punti percentuali sopra la media dell’UE15, mentre ora si trova 10 punti sotto. Aggrava poi la situazione italiana anche l’ormai cronico maggior rischio di povertà delle famiglie con oltre due figli (1).
Gli squilibri che frenano la crescita
A penalizzare il benessere delle famiglie e la crescita economica sono soprattutto tre grandi squilibri dei quali soffre da troppo tempo il nostro paese e che potremmo sintetizzare con tre “G”: di genere, generazionale e geografico (2). È difficile trovare un’altra nazione sviluppata che presenti, nel complesso, disuguaglianze tra donne e uomini, iniquità nei rapporti generazionali e disparità territoriali comparabili a quelle osservate in Italia.
Tutto questo non solo penalizza i singoli, ma comprime le possibilità di sviluppo del Paese. Alcuni studi della Banca d’Italia e il recente Terzo rapporto Luiss “Generare classe dirigente”, mostrano, del resto, come un aumento dell’occupazione femminile e una migliore valorizzazione delle risorse più giovani e dinamiche avrebbe effetti decisamente positivi sul Pil e sulla sostenibilità del sistema sociale italiano. Inoltre, come da più parti viene sottolineato, se il nostro paese nel suo complesso cresce meno del resto d’Europa è anche perché il Sud continua ad essere un nodo insoluto dello sviluppo italiano. In quest’area pesano poi ancor più le difficoltà di donne e giovani di essere una risorsa attiva e adeguatamente valorizzata.
Le donne
In particolare, a mantenere bassa l‘occupazione femminile è soprattutto il non avere investito per tempo e in modo consistente in misure di conciliazione tra lavoro e famiglia. Quella della conciliazione è una strada che dovrebbe essere imboccata con convinzione e determinazione. Da considerare una priorità assoluta per molti buoni motivi: perché consente a) alle donne di spendere meglio i loro talenti sul mercato, b) alle coppie di realizzare i propri desideri riproduttivi e difendere il benessere (soprattutto in tempo di crisi e di instabilità occupazionale) contando su un doppio reddito, c) al paese di contenere la denatalità e i costi dell’invecchiamento. Il fatto di essere, su questi aspetti, ancora molto lontani dagli obiettivi di Lisbona (solo in Emilia Romagna l’occupazione femminile è al 60%), costituisce uno dei limiti maggiori del nostro sviluppo.
Su questo punto cruciale, nel recente Libro Bianco del ministro Sacconi si afferma che “La divaricazione tra il desiderio di maternità e la sua realizzazione è spesso attribuita alla carenza di servizi per l’infanzia o ai bassi tassi di occupazione femminile. Ciò può essere vero solo in parte. Se si esaminano le percentuali di natalità nelle Regioni in cui vi è il numero più alto e la migliore qualità di asili nido, non si notano significative differenze di percentuale nelle nascite” (pag. 36). Un esempio interessante del modo statico e sbrigativo della lettura dei dati da parte di chi deve operare scelte di policy. Se si va a vedere dove è aumentata la fecondità, anche al netto delle nascite straniere, dal minimo del 1995 sino ad oggi, si trova invece una forte correlazione positiva con l’occupazione femminile e la presenza di asili nido (Figura 1). Una relazione certo da approfondire, ma coerente con il fatto che nei paesi occidentali dove maggiore è l’investimento sui servizi di conciliazione più alta tende anche ad essere la fecondità. Eclatante è il caso del Mezzogiorno, una delle aree più prolifiche dell’Europa occidentale che sta diventando ora una della aree più depresse, non più solo dal punto di vista economico ma anche demografico. Al punto che, per la prima volta, le previsioni Istat (base 2007) delineano uno scenario di maggior denatalità meridionale rispetto al resto del paese. Cosa del tutto impensata solo dieci anni fa.
I giovani
Negli ultimi anni lo squilibrio generazionale si è poi, sotto vari punti di vista, addirittura accresciuto. Siamo entrati nell’attuale fase di crisi economica con tassi di occupazione giovanile sensibilmente più bassi rispetto alla media europea, salari d’ingresso più bassi, protezione sociale più carente (con una spesa fortemente sbilanciata sul lato pensioni), debito pubblico più elevato. Stona quindi ancor più il reiterato invito del ministro Sacconi ai giovani di accettare ora qualunque lavoro. Chiedere di fare un ulteriore sforzo, ribassando ancor di più le già ribassate aspettative e prerogative (3), suona quasi come beffardo da parte di una politica che sinora è stata incapace di permettere alle nuove generazioni italiane di raggiungere almeno i livelli medi delle opportunità e della protezione dei rischi che godono i coetanei europei.
Per far crescere il paese il talento dei giovani andrebbe, all’opposto, fatto moltiplicare, incentivato e sostenuto. Anziché invitare i giovani a fare un passo indietro, dovrebbe essere il governo a cogliere l’occasione della crisi per fare un passo avanti verso riforme strutturali, che rendano il paese meno squilibrato e quindi anche più dinamico e competitivo.
Nel frattempo, i dati più recenti Istat, riferiti al primo trimestre del 2009 (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20090619_00/testointegrale20090619.pdf) dicono che la crisi sta peggiorando soprattutto l’occupazione giovanile. Colpa dei laureati che non si accontentano di fare gli imbianchini? Il ministro Sacconi si è detto rassicurato vedendo i dati: “poteva andar peggio”. Al peggio, però, non c’è mai fine.
NOTE:
(1) Antonio Frenda, Povera Italia!, www.lavoce.info (18.06.09).
(2) D. Del Boca, A. Rosina (2009), Famiglie sole. Sopravvivere con un welfare inefficiente, il Mulino, Bologna.
(3) M. Livi Bacci (2008), Avanti giovani alla riscossa. Come uscire dalla crisi giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna.

(*) articolo presente anche su www.nelmerito.com

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