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COVID_19 in Italia: una o tante epidemie?

L’andamento dei decessi per coronavirus traccia l’itinerario dell’epidemia. Mauro Maltagliati ritorna sull’argomento mostrando come tale itinerario, a livello nazionale, dipenda dagli anticipi o ritardi con cui si sviluppa il fenomeno epidemico nelle diverse regio

Mai come nelle ultime settimane siamo stati inondati di dati, curve e proiezioni, con segnali talvolta confortanti, talvolta meno. Positivi, guariti, deceduti, dati giornalieri e cumulati, valori espressi in termini assoluti e relativi, picchi e asintoti delle curve sono tutti termini entrati ormai nel quotidiano di tutti noi. E, come spesso accade, la mole di informazioni e di informazioni sulle informazioni rischia di disorientare e confondere, soprattutto chi con l’uso dei dati ha minor dimestichezza.

Già un paio di settimane fa, in un articolo apparso su Neodemos, suggerivo di concentrare l’attenzione soprattutto sul dato dei deceduti, ritenendolo quello maggiormente affidabile. E su questo concentrerò anche questa nuova analisi.

Uno dei pochi segnali confortanti che si trae dai dati è che il numero complessivo di deceduti con covid-19, inizialmente cresciuto in modo esponenziale, va fortunatamente rallentando la sua evoluzione, almeno in termini relativi. Lo si vede bene dalla Figura 1, in cui sono sovrapposte le curve settimanali dei deceduti complessivi dal 2 al 29 marzo, in scala logaritmica. I parametri evidenziati in rosso (le inclinazioni delle rette) ci dicono che nelle ultime 4 settimane, l’aumento percentuale (giornaliero) del numero dei deceduti è passato dal 30,8% della settimana 2-8 marzo, al 22,0%, al 15,7%, fino al 9,6% della settimana scorsa.

La regolarità delle quattro linee è sorprendente, e il calo delle pendenze chiaro e confortante. Eppure, se consideriamo lo stesso fenomeno sotto un altro punto di vista, c’è qualcosa che non torna.

Se cerchiamo di prevedere con la curva logistica il livello che sarà raggiunto da questo triste fenomeno, ovvero l’asintoto verso il quale la curva logistica tende, ci accorgiamo che, ogni giorno, questo sembra spostarsi più in alto. Il 19 marzo, nel mio articolo su Neodemos azzardavo una previsione di 5.571 deceduti finali. Pochi giorni dopo, Neodemos ha inaugurato una rubrica giornaliera che, utilizzando lo stesso modello, riporta la stima dei deceduti finali, ottenuta sulla base dei dati diffusi, giorno per giorno, dal Bollettino della Protezione civile. Le stime che si sono succedute indicano uno spostamento costante: si passa da 12.005 deceduti totali previsti al 38° giorno (23 marzo) a 16.804 previsti al 46° giorno (30 marzo).

E dunque? Cosa sta succedendo? Probabilmente la risposta consiste in questo: non possiamo considerare l’epidemia come un fenomeno nazionale nel suo complesso ma dobbiamo trattarlo come una somma di epidemie che si propagano, con intensità e velocità differente, nelle varie zone del Paese. In altri termini, l’analisi deve essere condotta a livello regionale.

Perché un’analisi regionale?

Per renderci conto dell’utilità di “frammentare” l’analisi nazionale in tante analisi regionali, si immagini una nazione con due sole regioni, A e B, nelle quali un certo fenomeno evolutivo ha un andamento descrivibile dalla stessa curva (logistica), ma con una differenza: nella regione B il fenomeno inizia quando in A si è ormai praticamente esaurito (Fig. 2).

Fino al tempo t*, la curva nazionale è la rossa: chiunque provasse a stimare l’evoluzione del fenomeno prima di t* riterrebbe che il livello finale possa arrivare solo fino al Livello 1. Ma poi, dopo il tempo t*, allorché inizia l’evoluzione della regione B, si riparte (dal Livello 1) con la curva blu, e si scopre che il vero livello finale (per l’intera nazione) è il Livello 2, cioè esattamente il doppio di quanto si pensava fino al tempo t*.

Nel caso a tre regioni, il profilo dei dati giornalieri potrebbe apparire come nella Figura 3.

Quindi, anche se in ciascun focolaio l’epidemia segue un andamento esponenziale, a livello complessivo, la “somma” delle epidemie può avere un’evoluzione diversa, e non regolare. Ed è proprio questo il motivo per cui conviene passare a un’analisi regionale.

Per capire l’evoluzione del fenomeno a livello nazionale si deve individuare anche il lag temporale che intercorre tra l’evoluzione del fenomeno nelle varie regioni. E per avere stime accurate bisognerà attendere che tutte le curve siano a uno stadio sufficientemente avanzato della loro evoluzione, perché la stima della curva di crescita di una regione che sia all’inizio del suo calvario avrà necessariamente un margine di errore elevato.

Tante regioni e un solo modello

Tenendo conto delle osservazioni precedenti, ho tentato di costruire un modello nazionale che consideri simultaneamente i dati delle varie zone del Paese, ciascuna con le sue peculiarità.

Le zone considerate nell’analisi sono le Regioni amministrative, o loro raggruppamenti: Lombardia, Piemonte & VdA, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Altre regioni del nord (TAA e FVG), Toscana, Marche, Altre regioni del centro sud (Umbria, Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria), Isole. Tale scelta è in parte forzata dalla disponibilità di dati e in parte giustificata dall’attribuzione alle Regioni delle competenze in materia di sanità.

Vi risparmio adesso i dettagli del modello, disponibili a richiesta. Si tratta in sostanza di una logistica modificata nella quale ho inserito un parametro per catturare il lag con cui si evolve la variabile chiave utilizzata Mpm (Morti per milione di abitanti), che ha il vantaggio di favorire il confronto tra le regioni.

Sulla base dei parametri del modello, può essere ricavata la seguente tabella 1, nella quale è riassunta la situazione per le dieci zone stimata con i dati aggiornati al 1 aprile.

Un breve esame dei risultati induce alcune osservazioni.

Colpisce la grande differenza tra gli asintoti stimati. La Lombardia supera 900 morti finali per milione di abitanti, mentre altre regioni si attestano su valori più bassi. In parte questa differenza è certamente dovuta al fatto che la Lombardia, essendo il battistrada, ha pagato il prezzo dell’incertezza iniziale, mentre le altre regioni, con una diffusione del virus ritardata, hanno beneficiato dei provvedimenti emanati dal Governo già nella fase iniziale della loro epidemia.

Ma anche a parità di grado di maturazione dell’epidemia, rimangono differenze che dovranno trovare in futuro una qualche spiegazione. L’Emilia Romagna, ad esempio, è partita insieme alla Lombardia, ma il suo asintoto stimato è la metà. E ancora più sorprendente è il dato del Veneto, che ha una partenza solo leggermente ritardata ma un asintoto finale di “soli” 145 Mpm finali. Nella figura 4 sono riportati i valori osservati e le curve stimate per quattro regioni.

Nel grafico sembra evidente lo spostamento in avanti delle Isole rispetto alla Toscana. L’asintoto finale è molto simile, ma al 31 marzo la Toscana sembra aver percorso buona parte della sua strada, mentre per le Isole l’evoluzione sembra solo all’inizio.

Purtroppo, il modello multiregionale porta ad una stima nazionale di Mpm finali più elevata di quanto non accada con un modello unico. La cosa non sorprende se si considera che dovranno entrare in gioco, si spera con minore intensità, le regioni che sinora sono all’inizio del loro percorso. Ma è comunque certo che il lag temporale più o meno elevato con cui le varie regioni sono entrate in gioco rende meno indicato adottare un modello che consideri l’Italia nel suo insieme.

Il modello “multi-regionale” ci indica anche che la sfida principale sarà al sud. in questa area, infatti, siamo agli albori dell’epidemia, e pertanto molto si può fare: le curve logistiche all’inizio sono sempre molto suscettibili di cambiamenti, anche radicali. Speriamo di approfittarne al meglio.

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