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Il 9 febbraio gli elettori svizzeri hanno approvato la proposta referendaria di reintrodurre il sistema delle quote nella gestione dell’immigrazione dall’Unione europea, abolito con gli accordi del 2002 tra Berna e Bruxelles. Al di là degli effetti diretti, questo risultato rischia di alimentare le campagne contro l’immigrazione da parte dei partiti della destra populista in vista delle prossime elezioni europee, ma dimostra anche come sia importante il consenso popolare nella gestione delle politiche migratorie.

Il referendum svizzero

Per meno di 20 mila voti i sì hanno prevalso nel referendum proposto dal partito populista dell’Unione Democratica di Centro per la reintroduzione di limiti ai flussi di immigrazione provenienti dall’Unione europea, liberalizzati con l’accordo del 2002. Lo scarto è risultato minimo, i sì rappresentano infatti appena il 50,3% dei votanti contro il 49,7% raccolto dai no, ma la contemporanea vittoria in più della metà dei cantoni ha consentito l’approvazione di una proposta che vedeva contrari il governo, gli imprenditori e i sindacati, tutti preoccupati delle conseguenze negative di questa scelta sulle relazioni con l’Unione. Nonostante l’appoggio di questa ampia, ma forse poco determinata compagine, la proposta è stata approvata con un esito per altro identico a quello che nel 1992 bocciò il referendum sull’integrazione della Svizzera nello Spazio economico europeo.

Al momento risulta impossibile stabilire le conseguenze pratiche della votazione, visto che il testo proposto assegna al governo tre anni di tempo per definire i criteri operativi e vista anche la decisa reazione da parte dell’Unione europea. Quest’ultima ha infatti immediatamente chiarito che una limitazione alla circolazione delle persone avrebbe conseguenze dirette anche sui movimenti di merci, servizi e capitali liberalizzati anch’essi con gli accordi del 2002. Tali limitazioni avrebbero evidenti e dirette conseguenze negative per l’economia elvetica, strettamente connessa con quella dell’Unione, effetti che però non risparmierebbero neanche i partner della Svizzera.

Il voto referendario rischia però di avere conseguenze politiche più dirette ed immediate alimentando, in prossimità delle elezioni europee, le campagne dei numerosi partiti populisti che hanno fatto della lotta all’immigrazione uno dei loro principali cavalli di battaglia. Dichiarazioni in tal senso non sono mancate, neanche nei casi, come quello italiano, in cui più direttamente colpite dalle limitazioni dovrebbero essere proprio le zone di confine dove più numeroso è l’elettorato della Lega.

Il contesto migratorio svizzero

Per valutare appieno i risultati del referendum appare però necessario inquadrare il caso elvetico nelle sue reali dimensioni quantitative. Infatti, la Svizzera è in termini relativi, escludendo il piccolo Lussemburgo, il maggior paese d’immigrazione del continente (Fig. 1): quasi il 23% della popolazione residente è composto da stranieri e un residente su quattro è un immigrato di prima generazione nato all’estero. Sono valori decisamente superiori a quelli che si registrano negli altri paesi d’immigrazione del continente: la quota di nati all’estero, ad esempio, si ferma al 9% in Italia, all’11,3% in Francia, al 12,1 in Germania, al 14,2 in Spagna e al 15,8% in Austria. Agli 1,8 milioni di stranieri residenti (di cui il 60% è comunitario) vanno poi aggiunti i 277 mila frontalieri, tra cui 57 mila sono i tedeschi, 65 mila gli italiani e 145 mila i francesi.
Non bisogna poi sottovalutare che dalla crisi in poi la Svizzera è diventato il paese con il saldo migratorio più elevato all’interno dell’area di libera circolazione (Fig. 2), scalzando decisamente i paesi dell’Europa meridionale in forte calo e sopravanzando decisamente anche Germania e Regno Unito.   

Politiche migratorie e consenso

È inevitabile che processi sociali di queste dimensioni determinino, oltre a un generale beneficio economico, anche conseguenze negative, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione dei paesi d’arrivo. Nel caso svizzero, ad esempio, è stato evidenziato l’impatto negativo dell’immigrazione sul sistema di welfare e i casi di dumping salariale. In generale, è chiaro che in tempi di globalizzazione e di crisi economica la presenza di potenziali o effettivi concorrenti nel mercato del lavoro e nell’uso dei servizi sociali può creare preoccupazioni più o meno fondate. Il risultato del referendum svizzero dimostra che in un paese democratico queste preoccupazioni non vanno sottovalutate o peggio ignorate, ma vanno invece affrontate con determinazione, intervenendo sui problemi reali e rimuovendone le cause. Anche per le politiche migratorie è infatti fondamentale raccogliere un ampio consenso tra la popolazione, se non si vuole correre il rischio di lasciare troppo spazio alle iniziative di populisti e demagoghi.             

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