Popolazione mondiale:

Popolazione italiana:

Giovani (0-19 anni):

Anziani (64+ anni)

10, 100, 1000 indicatori? (*)

“Sono sufficienti 100 indicatori a rappresentare statisticamente l’Italia?”, si chiede Silvana Salvini (v. SISmagazine e Neodemos). Se si formula così la domanda, la risposta non può che essere negativa. Se l’intento della pubblicazione dell’Istat 100 statistiche per il Paese – Indicatori per conoscere e valutare (http://www.istat.it/dati/catalogo/20080507_01/) fosse quello di fare una fotografia dell’Italia, non ci sarebbe dubbio che una fotografia è tanto migliore quanto più è dettagliata e questo a sua volta dipende fisicamente dal numero e dalla densità degli elementi da cui è composta (le particelle dell’emulsione o i pixel o le tessere del mosaico). Ma non è questo l’intento della pubblicazione, e nemmeno più in generale della rappresentazione statistica. Silvana Salvini ne coglie bene un aspetto, quello della multi-dimensionalità, quando parla di “prisma a 100 facce”. Un secondo aspetto, altrettanto importante a parer mio, è quello della modellizzazione, cioè della scelta consapevole di ridurre la complessità di un fenomeno, mettendone in luce gli aspetti ritenuti rilevanti, al costo di trascurarne altri e di introdurre errori (di cui si dà conto e che si tengono per quanto possibile sotto controllo). Provo a sviluppare queste considerazioni e, al tempo stesso, a rispondere ad alcune critiche formulate dall’articolo di Silvana Salvini.

Per prima cosa, però, nella mia veste di curatore della pubblicazione (insieme a Sandro Cruciani e ad Alessandra Ferrara), sento il dovere di esprimere un ringraziamento, tanto per l’attenzione prestata a questa nuova iniziativa di diffusione dell’Istat, quanto per gli apprezzamenti e per le critiche, che ci aiuteranno a fare meglio e di più nelle prossime edizioni. Come recita un proverbio tedesco, Alles Anfang ist Schwer (ogni inizio è difficile).

Riprendiamo il discorso di carattere generale. Dopo aver osservato che le 100 statistiche sono un prisma a 100 facce della realtà italiana, si lamentano alcune lacune. Nulla da eccepire, naturalmente. Non penso, però, che – a differenza di quello che sarebbe possibile per una fotografia – la soluzione possa essere quella di aumentare a dismisura il numero delle facce del prisma. La strada che cerchiamo di percorrere con le 100 statistiche è un’altra.

Intanto, questo prodotto editoriale è una sintesi necessariamente ridotta delle informazioni diffuse dall’Istat. Nessuno degli indicatori presentati è diffuso qui per la prima volta: si tratta di statistiche presenti nella produzione corrente dell’istituto e, per quanto riguarda i confronti internazionali, nelle banche dati dell’Eurostat. La novità è piuttosto nel modo in cui sono presentate: ogni indicatore è riassunto in una scheda. A sua volta, ogni scheda ha una struttura omogenea: una breve introduzione corredata dalla definizione degli indicatori utilizzati; un commento sulla posizione dell’Italia nel contesto dell’Unione europea; una descrizione del fenomeno in Italia e dei più importanti differenziali territoriali; una lista di fonti e di riferimenti (“per saperne di più”) utili proprio ad arricchire e ampliare il quadro informativo per i più interessati; grafici e tabelle dedicati alla comparazione internazionale e ai confronti regionali all’interno del Paese. Di norma, ogni scheda è corredata da un cartogramma. Il modo che la stessa struttura della pubblicazione suggerisce per migliorare e approfondire l’informazione offerta è dunque quella, consentita dai legami ipertestuali, di utilizzare le 100 statistiche come porta di accesso al resto dell’informazione statistica ufficiale.

Pertanto, quello che caratterizza il prodotto e che ne qualifica l’uso è questo modo di presentare le informazioni, non i dati sottostanti, che sono disponibili anche altrove nei siti dell’Istat e dell’Eurostat. A mio parere, questo modo di presentare i contenuti è al tempo stesso un vincolo e un pregio. Permettetemi un paragone letterario: posso raccontare le sensazioni che provo all’imbrunire in prosa, oppure in poesia. Se scelgo di esporle in un sonetto, come fa Foscolo, mi impongo i limiti della forma: devono essere 14 endecasillabi, raccolti in due quartine e due terzine, e rimati in un certo modo. Progettando le 100 statistiche ci siamo imposti anche noi dei vincoli, con riferimento alla struttura delle schede, ma anche al loro numero, che non può superare di molto le 100 se non snaturando la pubblicazione, soprattutto per quanto attiene al suo utilizzo. Naturalmente, nelle prossime edizioni la selezione delle schede potrà e dovrà essere rivista, anche sulla base dei suggerimenti come quelli di Silvana Salvini.

La mia seconda osservazione riguarda l’equilibrio tra “impronte economiche” e “impronte sociali o demografiche”. Premetto che la distinzione a me non piace: per me, che forse sono più economista che altro, l’economia è una scienza sociale, e tanto dovrebbe bastare. Ma se vogliamo entrare nella contabilità spicciola, semmai è vero il contrario: utilizzando un criterio molto rozzo (cioè attribuendo all’economia il quadro macro, la finanza pubblica, le strutture produttive, l’energia, la scienza e la tecnologia, i trasporti e le infrastrutture – anche se su molte di queste voci sarebbero necessari dei distinguo), delle 103 schede due terzi fanno riferimento all’impronta demografica e sociale.

Ultima osservazione: le statistiche di genere. Sono stato il curatore anche dell’approfondimento sulle Statistiche di genere citato nell’articolo, pubblicato in occasione dell’8 marzo 2007. Chi ha la pazienza di andarlo a consultare, si accorgerà agevolmente che quella pubblicazione è stata – con una grafica meno accattivante e qualche ingenuità nella scelta dei testi, delle tabelle e delle figure – una sorta di prova generale delle 100 statistiche. Proprio gli impegni di quest’ultimo prodotto ci hanno impedito, nel 2008, di ripetere quell’esperienza. Ma è ferma intenzione mia e dell’Istituto riprenderla e ampliarla, con l’articolazione e la ricchezza di informazioni che merita. Non penso, invece, che sia agevole e appropriato introdurre nelle 100 statistiche anche la dimensione del genere, oltre a quella del confronto territoriale che resta preminente: si rischierebbe o di appesantire le singole schede, o di aumentare troppo la dimensione della pubblicazione, o di sacrificare altri aspetti importanti.

 

(*) Articolo presente anche su SIS-magazine

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