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11 luglio 2024: WPP

L’11 luglio è, da svariati anni ormai, la giornata mondiale della popolazione. Fin troppe ricorrenze affollano ormai i nostri calendari, ma a questa, sostiene Gustavo De Santis, può valer la pena dedicare qualche riflessione. Per l’impatto (negativo) che sulle nostre vite possono avere sia la crescita sia il troppo rapido declino della popolazione, e perché in contemporanea è anche stata pubblicata l’ultima edizione del World Population Report delle Nazioni Unite.

No, WPP non sta per “Viva la pappa col pomodoro”, anch’essa peraltro degna di attenzione, sia come canzone che come prodotto alimentare. Sta invece per World Population Prospects, la biennale pubblicazione della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite sulle stime e le previsioni della popolazione mondiale che, come tradizione, esce in corrispondenza del WPD – il World Population Day.

La giornata mondiale della popolazione 

Facciamo un passo indietro. La giornata mondiale della popolazione è stata istituita nel 1989 per ricordare che (intorno al) l’11 luglio 1987 gli abitanti della terra avevano raggiunto quota cinque miliardi, … and counting, come direbbero gli anglosassoni, e cioè stavano continuando a crescere. In termini di tassi di incremento, a dire il vero, il picco si era già toccato prima, probabilmente intorno al 1963 (+2,3% circa), ma nel 1987, o lì vicino, si raggiunse la massima crescita assoluta, con un’aggiunta annua di circa 93 milioni di persone, e la data meritava quindi di essere ricordata (Figura 1).

Quella fase, che tanti timori aveva destato, è ormai alle nostre spalle: la figura 1 mostra chiaramente, oltre ai segni che la pandemia da COVID-19 ha lasciato sulla popolazione mondiale nel 2020/21, anche, più in generale, il deciso rallentamento del crescita demografica complessiva, che è ormai ben avviato, in termini non solo di tassi ma anche di numeri assoluti. Tale rallentamento dovrebbe proseguire, fino a portare un arresto della crescita verso il 2080, seguito poi da un declino. (Le previsioni delle Nazioni unite arrivano fino al 2100, ma si tratta di un orizzonte temporale tanto remoto e circondato da tanta incertezza, per esplicito riconoscimento della stessa Divisione della Popolazione, che in questa sede si è preferito fermarsi al 2080).

Pur se rallentata però, la crescita continua, e la popolazione mondiale, pari oggi a circa 8,1 miliardi di persone, potrebbe arrivare a 9 miliardi verso il 2037 e poi a 10 miliardi verso il 2060 (figura 2).

Certo, gli esperti delle Nazioni Unite potrebbero sbagliare: del resto non hanno la sfera di cristallo e, ad esempio, non avevano previsto la pandemia da COVID-19. Ma è improbabile che la realtà si discosti di molto da questo scenario, per due motivi. In primo luogo perché gli andamenti demografici si caratterizzano per una notevole inerzia e questo consente di azzardare previsioni su orizzonti temporali incomparabilmente maggiori di quelli che possono permettersi gli analisti politici o economici, ad esempio. E, in secondo luogo, perché, in passato, le previsioni delle Nazioni Unite si sono nel complesso rivelate azzeccate, e cioè sono poi risultate molto vicine al valore vero (tabella 1). OK, OK: “valore vero”, va fra virgolette, perché sempre di stime si tratta, che contengono quindi errori e approssimazioni (non tutti i paesi del mondo hanno sistemi di conteggio della popolazione che siano al tempo stesso buoni e tempestivi), ma insomma, ci siamo capiti.

Tutto bene quindi?

Per molti aspetti, le cose vanno davvero bene. Se parliamo di sopravvivenza, ad esempio, la durata media della vita per maschi e femmine ha raggiunto 73 anni (era solo a 46 nel 1950), grazie anche, se non soprattutto, al fortissimo calo della mortalità giovanile (nei primi cinque anni di vita), scesa nello stesso periodo dal 227 al 36 per mille. Se parliamo di fecondità, il numero medio di figli per donna è passato da 4,9 a 2,3, e (pur se in questi dettagli il WPP non si addentra, ma ne parlano altre pubblicazioni UN) ciò è avvenuto grazie a una forte riduzione della fecondità non desiderata e di quella adolescenziale. Globalmente, le diseguaglianza tra paesi si stanno riducendo sotto entrambi i profili (mortalità e fecondità), e anche sotto tanti altri: calano le distanze relative in termini di reddito, urbanizzazione, accesso all’istruzione, …

Molti problemi però restano sul tappeto. Le diseguaglianze, pur se in calo, sono ancora molto forti; la pressione demografica sul pianeta, pur se a ritmi rallentati, continua a aumentare, e non è di grande consolazione sapere che ormai, più che la crescita demografica, a “far danno” è il cambiamento degli stili di vita, per cui tutti vogliamo più di quel che la terrà può offrire (in termini di consumo materie prime) e produciamo più scarti di quel che il pianeta può assorbire. La fecondità è in calo, sì, ma mentre resta ancora troppo alta in certe aree, soprattutto dell’Africa Sub-Sahariana, è scesa pericolosamente in basso in altre – Italia compresa (circa 1,2 figli per donna invece dei 2 necessari per il rimpiazzo demografico), e il nostro non è il caso peggiore. 

Certo, in un mondo ideale i flussi migratori potrebbero contribuire a alleviare l’eccessiva pressione demografica di alcune aree (di nuovo, soprattutto dell’Africa sub-sahariana) e a attenuare le conseguenze negative della troppo bassa fecondità di altre (tipicamente, i paesi ricchi), portando anche, di passaggio, non trascurabili benefici economici per tutte le parti coinvolte. Ma il mondo è lontano dall’essere ideale: le migrazioni internazionali esistono e agiscono nel senso indicato (si stima che ci siano globalmente circa 300 milioni di migranti, cioè persone che risiedono un in paese diverso da quello di nascita), ma la libertà di movimento internazionale è, semmai, venuta diminuendo negli ultimi anni, e il clima politico spinge, ovunque, verso la creazione di ulteriori ostacoli, fisici e burocratici. Chi, nonostante tutto, decide di provare a migrare paga spesso un prezzo altissimo, economico e umano, sia durante il viaggio sia una volta giunto a destinazione. E nel frattempo, pur se di questo il WPP non parla, crisi politiche e climatiche stanno facendo crescere rifugiati (internazionali) e sfollati (interni).

Concludendo

Insomma, il quadro complessivo è, come spesso avviene, caratterizzato da luci e ombre. Ma, grazie al lavoro della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite si può almeno dire che, riguardo ai dati e alla conoscenza dei fenomeni, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre.

Questa messe di dati dovrebbe guidare le scelte di individui e governi, e indurre comportamenti più responsabili, negli uni e negli altri. Questo non sempre avviene, diciamocelo, ma la pubblicazione periodica del WPP e la celebrazione della giornata mondiale della popolazione, l’11 luglio, fanno quello che possono, e danno il loro piccolo contributo nella giusta direzione. Il resto dovremmo (dovremo) metterlo noi.

Per saperne di più

UN-DESA (2024) World Population Prospects 2024  population.un.org

*Fonte tabella 1: ourworldindata.org (con dati tratti da WPP 2022)