Unione Europea: flussi migratori interni e fabbisogno strutturale di lavoro
In uno scenario tendenziale, nei prossimi trenta anni tutti gli stati membri della UE avranno un fabbisogno di lavoratori stranieri che per la UE sarà pari a 117 milioni. Gli stati che offrono condizioni lavorative migliori attrarranno lavoratori anche dagli altri stati membri, un fenomeno già evidente per il nostro paese. Ciò provocherà inevitabilmente un pari aumento del nostro fabbisogno di lavoratori extracomunitari. Michele Bruni suggerisce quindi che per ridurre il fabbisogno di lavoratori stranieri le prime misure da adottare dovrebbero mirare a migliorare le condizioni salariali e lavorative del nostro paese.
Di quanti lavoratori avrà bisogno l’Unione Europea nel prossimo trentennio?
Nei prossimi trenta anni i 27 paesi UE saranno tutti caratterizzati da una carenza strutturale di manodopera che genererà inevitabilmente flussi migratori ad essa proporzionali. Possiamo stimare il fabbisogno di lavoratori stranieri come la somma di due componenti, una componente demografica ed una componente economica. La prima è dovuta al calo della popolazione in età lavorativa (PEL), la seconda alla variazione del livello occupazionale. Queste due componenti possono essere stimate in maniera approssimata:
1) La prima come il numero di persone necessarie per mantenere inalterato il livello della popolazione in età lavorativa (PEL) e quindi l’offerta di lavoro, supponendo che il loro tasso di attività totale sia almeno uguale a quello della popolazione autoctona.
2) La seconda come il numero di persone necessarie per coprire i posti di lavoro aggiuntivi creati nell’intervallo considerato, ipotizzando che il loro tasso di attività sia dell’80%.
I flussi migratori attivati dalla carenza strutturale di lavoro risulteranno pertanto maggiori del numero di posti di lavoro che le forze di lavoro locali non potranno ricoprire in quanto le precedenti ipotesi ipotizzano, credo realisticamente, che essi siano accompagnati da una percentuale del 25, 30 % di famigliari.
Ricordo anche che i posti aggiuntivi sono stati stimati assumendo che il numero degli occupati vari al tasso medio annuo registrato nel periodo 2002-2022.
La Tabella 1 riporta i risultati delle stime per la UE, per i 5 stati membri più popolosi e per gli altri 22 presi congiuntamente. Nei prossimi 30 anni la PEL della UE diminuirà di 63,5 milioni e, in uno scenario tendenziale, il fabbisogno economico dovrebbe essere di 53,8 milioni. Ciò porta ad un fabbisogno complessivo di circa 117 milioni di immigrati.
Il fabbisogno totale dei 5 grandi paesi è pari al 71% del fabbisogno UE con la Germania che pesa per quasi un quarto (22,4%), la Spagna per il 14,5 e gli altri tre per valori compresi tra il 12,1% dell’Italia e il 10,9% della Polonia, e la Francia in una posizione intermedia (11,6%).
Il ruolo delle due componenti varia notevolmente da paese a paese. Se a livello UE la componente demografica pesa per il 54,1% e nei piccoli paesi per il 58,2%, nei cinque grandi paesi il suo peso è massimo in Italia dove tocca 81,1% e minimo in Francia dove spiega solo il 30,6%. In Germania e in Polonia le due componenti hanno quasi lo stesso peso, mentre i valori della Spagna sono in linea con la media europea. Si noti che un peso prevalente della componente demografica rende più problematico risolvere il problema della carenza strutturale di lavoro, in quanto richiede necessariamente un aumento della fecondità, cosa non solo difficilissima da realizzare, ma i cui primi effetti sul mercato del lavoro si possono avvertire non prima di 20-25 anni.
Flussi migratori tra paesi UE e fabbisogno di lavoratori extracomunitari: il caso Italia
Se la UE rappresenta un formidabile attrattore per i giovani di paesi con un eccesso strutturale di lavoro, è altresì evidente che i singoli paesi dell’Unione possono attrarre anche i giovani di paesi membri nei quali esistano eccessi relativi di offerta dovuti, come in Italia, alla presenza di una domanda di lavoro insufficiente per certe professioni o che comunque si esplica con condizioni non competitive a livello europeo. Tali flussi lasciano immutato il fabbisogno dell’Unione, ma modificano quello dei singoli paesi.
I dati sulle iscrizioni e le cancellazioni utilizzati dall’Istat per valutare i flussi migratori da e per l’Italia stimano per il decennio 2012-2021 un saldo migratorio dei cittadini italiani negativo, e pari ad una media annua di 58.000 unità. Sempre secondo la stessa fonte, i giovani andati all’estero sono in possesso di un titolo di studio medio per il 31% e di almeno la laurea per il 23%.
Vi sono tuttavia forti evidenze che il numero di italiani espatriati nell’ultimo decennio sia stato molto più elevato. Un progetto ISTAT, basato su un utilizzo integrato dei dati amministrativi per individuare quella parte delle iscrizioni e cancellazioni “per altri motivi” che potrebbero essere considerate come movimenti migratori con l’estero2, giunge ad una stima del saldo migratorio negativo medio annuo di 72,000 persone per il periodo 2012-2020. Ancora più drastiche le conclusioni raggiunte da un recente studio della Fondazione Nord Est2. Incrociando i dati dell’ISTAT con quelli degli uffici statistici degli altri paesi dell’UE, lo studio giunge alla conclusione che gli espatri di giovani tra i 20 ed i 34 anni sarebbero stati tre volte quelli stimati dall’ISTAT3.
Le informazioni disponibili non sono sufficienti per formulare proiezioni affidabili del saldo migratorio verso gli altri paesi della UE per il prossimo trentennio. Tuttavia, esse giustificano l’ipotesi di un saldo migratorio negativo medio annuo con il resto della UE di 50.000 giovani, il che comporterebbe una crescita del nostro fabbisogno demografico di 1,5 milioni nel prossimo trentennio.
In sostanza, in un contesto nel quale tutti i paesi della UE saranno caratterizzati da una massiccia carenza strutturale di lavoro, sarà inevitabile che i giovani dei paesi nei quali stipendi e condizioni di lavoro non sono competitivi, vengano attratti dai paesi che offrono condizioni di gran lunga migliori, provocando così un aumento della carenza strutturale di lavoro extracomunitario dei loro paesi.
Sembrerebbe quindi ragionevole che il governo italiano, prima di cercare di aiutare in maniera del tutto velleitaria i paesi africani a casa loro, aiutasse l’Italia a casa sua con misure volte ad aumentare la produttività e sperabilmente i salari, oggi tra i più bassi d’Europa, così da ridurre il nostro fabbisogno di immigrati.
Note
1 Tucci E., L’emigrazione dall’Italia attraverso l’integrazione e l’analisi di rilevazioni statistiche e fonti ufficiali, Tesi di dottorato, Roma (2019); Di Fraia G., Tucci E., Tomeo V., Basevi M., Corsetti G., Licari F., Simone M., Bonifazi C., Strozza S., Una misura delle emigrazioni italiane attraverso l’integrazione e l’analisi di dati amministrativi, (2022); Enrico Tucci, Corrado Bonifazi e Gennaro Di Fraia, Una nuova misura delle migrazioni italiane, Neodemos, 21 Marzo 2023.
2 Latmiral L., Paolazzi L., Rosa B, Lies, Damned Lies, and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani, Fondazione Nord Est, ottobre 2023
3 Le cause della sottostima sarebbero da individuare nelle diverse motivazioni che i giovani hanno nel cancellarsi in Italia ed iscriversi all’estero.