Italia e politiche sull’immigrazione: breve resoconto delle (non) novità del 2023
Il 2023 si è chiuso con poche novità per quanto riguarda la politica migratoria del nostro Paese, sprovvista di efficacia reale. È questa la valutazione di Roberto Soncin circa l’attività legislativa del Governo in carica, dal decreto Cutro alle intese con la Tunisia e al protocollo con l’Albania, dal Piano Mattei per l’Africa agli accordi in sede UE. E, sul piano interno, i provvedimenti attuati depotenziano il contributo che i migranti che già sono nel nostro paese, potrebbero dare al suo sviluppo.
Quali sono le novità che il 2023 ci ha riservato in materia di politiche sull’immigrazione, propaganda a parte?
La risposta, purtroppo, non è diversa da quella dello scorso anno: le novità sono state talmente modeste che, possiamo dire, non hanno cambiato nulla. E in mancanza di una politica efficace le migrazioni si evolvono unicamente sulla spinta delle dinamiche proprie e dei contesti economici e sociali in cui avvengono. Vanno per la loro strada.
Il controesodo degli sfollati di Ucraina
Facciamo un primo esempio: il controesodo degli sfollati ucraini. Ne sono rimasti ben pochi in Italia, come può desumersi dall’esperienza dei soggetti attivi sul fronte dell’assistenza: volontariato, qualche ente locale, singoli funzionari della Pubblica Amministrazione, rispetto alle domande di protezione presentate (Tabella 1). Infatti, il Ministero dell’Interno ha rinunciato a controllare i movimenti delle persone che hanno ottenuto il permesso di protezione temporanea a seguito della emergenza Ucraina.
Questi permessi sono stati rinnovati per ben due volte in modo automatico (l’ultimo con un comma della legge di Bilancio 2024), senza alcuna verifica della effettiva presenza nel territorio nazionale. Il motivo di questa scelta è semplice: l’impossibilità di caricare anche questa incombenza sulle spalle degli sguarniti Uffici Immigrazione delle Questure. Non è nemmeno disponibile, il dato aggiornato di coloro che sono ospiti delle strutture pubbliche.
Sappiamo comunque che la gran parte (sicuramente più della metà) ha lasciato l’Italia, sia per tornare in patria che per migrare verso altre nazioni, non solo europee, che si sono dimostrate più ospitali nei loro confronti.
La debole politica di accoglienza offre a questi migranti un’assistenza miserevole, che si sostanzia in un contributo economico solo per i primi tre mesi di presenza in Italia – come confermato dall’ultima legge di Bilancio – per chi trova un’autonoma sistemazione, mentre chi è ospite di strutture pubbliche deve confrontarsi con regole e procedure fortemente limitanti dei diritti riconosciuti dalla UE. L’unica novità prevista per il 2024 è la possibilità di trasformare i permessi temporanei in permessi di lavoro: andrà controllato il risultato di questa disposizione, anche alla luce delle disposizioni ministeriali attuative.
Le politiche sull’immigrazione continuano ad affondare sulla linea del bagnasciuga
Va riconosciuto che lo sforzo politico-legislativo del governo in carica sul tema immigrazione è stato notevole: il decreto Cutro, gli accordi con la Tunisia, il protocollo con l’Albania, il Piano Mattei per l’Africa, gli accordi in sede UE. Uno sforzo però tutto centrato sulla labile linea del bagnasciuga e finalizzato unicamente a ridurre o contenere gli sbarchi quotidiani e, possibilmente, a non doversi tenere questi migranti in casa.
In sostanza si è proceduto sui binari della logica della “emergenza invasione” e di “difesa dei confini nazionali” senza lontanamente delineare/deliberare azioni per migliorare l’accoglienza/integrazione di chi, comunque e nonostante, in Italia ci ha messo piede.
Nulla si è fatto, ad esempio, per adeguare i posti di accoglienza nei SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) e nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) ripristinando, almeno in parte, i numeri precedenti ai tagli messi in atto negli ultimi anni (tabella 2).
È avvenuto che per far fronte ai nuovi arrivi, dalla scorsa estate le Prefetture – su input del Ministero dell’Interno – hanno dato il via ad un disumano turn over nei Centri di Accoglienza. Forzando le norme (come sentenziato dai TAR di molte Regioni) del D.Lgs n.142 del 2015 ) sono stati espulsi e messi letteralmente per strada centinaia di ospiti, così da liberare altrettanti posti per i nuovi arrivi.
Eppure in Italia non mancano gli immobili di proprietà pubblica inutilizzati che, con poca spesa, potrebbero essere riattati e messi in condizione di ospitare dignitosamente queste (ma anche altre) persone. Il Nordest, ad esempio, pullula di palazzi che fino agli anni ’80 ospitavano militari delle vari Armi. Parliamo di centinaia di appartamenti in buono stato e non di caserme fatiscenti. Per averli disponibili basterebbe che i Ministeri interessati (Economia e Finanze/Agenzia del Demanio, Difesa e Interno) si parlassero tra di loro, senza bisogno di mediare con gli enti locali. Si è scelto invece di investire decine di milioni di euro in Albania.
I risultati di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: i confini nazionali sono stati raggiunti e varcati, per mare (rotte mediterranee), per terra (rotta balcanica) e per cielo (in aereo con i visti turistici ma con finalità migratorie) da un numero crescente di migranti senza permesso di soggiorno: da 67mila nel 2021 a 105mila nel 2022 e 158mila nell’anno appena concluso.
Nazione ed immigrazione sono incompatibili?
Molto ci sarebbe da fare per migliorare la gestione dell’immigrazione regolare: quella immigrazione che tutte le rappresentanze politiche e partitiche (escluso le frange xenofobe) dichiarano di accettare. Governo e Parlamento avrebbero la possibilità di produrre provvedimenti efficaci per migliorare la partecipazione della popolazione immigrata alla vita e al futuro della nazione. Ad esempio? Rendere effettivo il riconoscimento della cittadinanza dopo i 10 anni di residenza.
Invece nulla si fa per rimuovere gli ostacoli che rendono arduo il percorso per diventare cittadini italiani. Basta dire che la carenza del personale preposto a gestire le procedure è così pesante che oramai ci vogliono di media dai tre ai quattro anni per il completamento dell’iter burocratico; i 10 anni diventano così 13 o 14.
Ma non basta: dal 2018 si richiede che la concessione della cittadinanza sia subordinata alla conoscenza della lingua italiana (livello B1) ma ben poco è stato fatto per disporre una rete di servizi territoriali per il suo apprendimento. A ciò, dove possibile, sopperisce il volontariato.
Un altro esempio riguarda l’accesso al welfare. È difficile trovare nella montagna delle leggi e norme nazionali, regionali e comunali riguardanti il welfare (dai sostegni economici all’accesso ai servizi) un provvedimento in cui il legislatore (indipendentemente dalla sua opinione sull’immigrazione) non abbia inserito una limitazione ad hoc per i cittadini e le famiglie straniere. Molte di queste limitazioni sono state poi considerate illegittime da un Tribunale italiano, dalla Corte Costituzionale o dalla Corte di Giustizia Europea. Come avvenuto, ultimamente, per l’Assegno Unico Universale e per l’esclusione dal diritto dei titolari di permesso per lavoro autonomo, di protezione speciale, per lavoro stagionale, per le vittime di violenza domestica e perfino per i titolari di permesso di assistenza minori.
Ci saremo anche aspettati che, a fronte della “emergenza offerte di lavoro” che sta mettendo in ginocchio la tenuta, se non la crescita, di interi comparti economici di punta (tra cui l’agroindustria, le costruzioni, la logistica, la cantieristica, i trasporti, il turismo, la ristorazione e altri ancora) o dell’assistenza famigliare (lavoro domestico), sarebbero stati emanati decreti e circolari per facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro dei richiedenti asilo e per incentivare le regolarizzazioni, dando così una risposta seria alle ripetute richieste di personale straniero avanzate dalle principali associazioni datoriali, anche per poter contare sulla forza lavoro necessaria alla realizzazione dei progetti del PNRR.
A parte un insufficiente decreto flussi. il cui comporto è stato bruciato già nei primi minuti del primo giorno di presentazione delle domande (click day), nulla è stato fatto di utile allo scopo; piuttosto si è voluto creare ulteriori ostacoli, come con la cancellazione dei corsi di italiano per i richiedenti asilo ospitati nelle strutture pubbliche (per risparmiare meno di 80 centesimi al giorno pro capite). L’Italia sembra preda di una schizofrenia sul tema migratorio: si riconosce che il paese ha necessità di molti migranti, ma si concentrano le energie nell’impedire l’arrivo degli irregolari e dei richiedenti asilo, si pongono ostacoli alla regolarizzazione di chi è già nel paese e non rappresenta un pericolo per la società; si investe poco su chi è arrivato regolarmente e si rende arduo il loro accesso alla cittadinanza. Come se ci fosse incompatibilità tra immigrazione e nazione. Insomma, gli immigrati ci sono utili…ma non li vogliamo.
Fonte tabella 1: mappe.protezionecivile.gov.it