Le famiglie arcobaleno tra accettazione sociale e ostacoli giuridici
A fronte di una crescente accettazione delle famiglie arcobaleno e di una evidente domanda di riconoscimento, sul piano giuridico si registrano segnali di chiusura rispetto alla genitorialtà LGB e alla di tutela dei nuclei già formatisi. Ma quante sono le famiglie arcobaleno?
La faticosa approvazione della legge sulle unioni civili, c.d. legge Cirinnà –arrivata solo nel 2016 dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per il mancato riconoscimento giuridico dei nuclei familiari dello stesso sesso– ha reso evidente che la formazione delle famiglie arcobaleno non gode di una chiara tutela giuridica. L’adozione dell’istituto dell’unione civile ha dotato le coppie LGB di riconoscimento quanto alla relazione orizzontale tra adulti, ma ha escluso l’estensione alle coppie dello stesso sesso dei diritti relativi a qualsiasi rapporto di filiazione.
Quante sono le famiglie arcobaleno?
De Rose et al. definiscono le famiglie arcobaleno ‘invisibili… per legge’ (2022: 116): non solo la parola ‘famiglia’ non appare nel testo della legge Cirinnà, ma l’assenza di riconoscimento giuridico ne rende difficile la rilevazione statistica.
I dati Istat sulle unioni civili ci dicono solo che dal secondo semestre del 2016, quando sono entrate in vigore, al 2021 sono state celebrate oltre 15.500 unioni.
Dall’indagine europea FRA del 2019, promossa dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, emerge che in Italia, su un campione di 3.881 coppie dello stesso sesso, il 5% ha figli che vengono cresciuti dalla coppia o la cui responsabilità è condivisa dalla coppia e da un’altra persona. Nell’indagine del 1995-96 dei sociologi Barbagli e Colombo (2007), su un campione di 3.502 rispondenti non eterosessuali di 35+ anni, il 10% degli uomini e il 19% delle donne dichiarava di avere figli, prevalentemente nati da relazioni eterosessuali precedenti, o, per le donne, cercate intenzionalmente. Nell’indagine ‘Modi Di’ del 2005, invece, su un campione di oltre 650mila rispondenti LGBTQ+, il 6% delle donne e il 3.6% degli uomini in coppie LGB è genitore (Lelleri et al. 2008).
L’indagine ‘#contiamoci per contare’ promossa dal Centro Risorse LGBTQI (2017), ha stimato che nel 2016, su 1.391 nuclei familiari, sono presenti figli nel 28,6%. Nel 75% dei casi si tratta di coppie di donne, mentre il 4,7% degli intervistati è single con figli. Il 41% dei figli è stato concepito con il ricorso a tecniche di PMA, il 20% da precedenti relazioni eterosessuali, il 12% da gestazione per altri, il 7% da auto-inseminazione e l’1% tramite affido o adozione. Secondo questa indagine, dunque, in Italia le famiglie arcobaleno nel 2016 –anno di entrata in vigore della legge Cirinnà– erano almeno 328 e i bambini almeno 500.
Tutte queste indagini sono basate su campioni di convenienza, non rappresentativi della popolazione LGB. È quindi molto probabile che questi dati sottostimino ampiamente la diffusione di famiglie omogenitoriali in Italia; cionondimeno, forniscono almeno un limite inferiore per concludere che le famiglie arcobaleno non sono poche.
Le indagini ci forniscono un altro dato prezioso: il desiderio di genitorialità tra le persone LGB. Negli anni ’90, oltre un intervistato su due sotto i 30 anni, dichiarava di voler avere figli (Barbagli e Colombo 2007). Nel 2005, il 68.8% delle donne under 25 desidera avere figli, come pure il 71.2% delle donne tra i 25-29 anni e il 56% di quelle tra i 30-34 anni (Lelleri et al. 2008). Potendo scegliere, la maggior parte degli intervistati preferirebbe diventare genitore adottando. Le indagini qui descritte sono ormai datate ed è presumibile che nel tempo, anche in seguito all’introduzione delle unioni civili, sia aumentato il numero delle famiglie arcobaleno. D’altra parte potrebbe essere che recessione e pandemia abbiano ridotto il desiderio di genitorialità nelle coppie LGB, così come accaduto per le coppie eterosessuali. Guardando semplicemente ai dati sul numero di unioni civili, nel 2020 si è verificato in effetti un calo del 37% rispetto all’anno precedente (in ogni caso inferiore al calo dei matrimoni eterosessuali pari al 47%).
L’atteggiamento degli italiani sul tema della famiglie arcobaleno
La percentuale di italiani d’accordo o fortemente d’accordo sul fatto che coppie dello stesso sesso debbano avere il diritto all’adozione è aumenta nel tempo. Nel 1993 solo il 14% degli Italiani esprimeva accordo sull’adozione per le coppie dello stesso sesso (Barbagli e Colombo, 2007), mentre arriva a 36% nel 2020 (European Social Survey).
Circa il 29% degli italiani si dichiara d’accordo o molto d’accordo con l’affermazione: “Le coppie omosessuali sono bravi genitori tanto quanto le altre coppie”, mentre il 23% non esprime una posizione netta, il 42,2% è in disaccordo o in forte disaccordo e la restante parte del campione si rifiuta di rispondere (World Value Survey).
Le famiglie arcobaleno sul piano giuridico
A fronte di un’accettazione crescente delle famiglie arcobaleno, non necessariamente estesa al tema della filiazione, e di una evidente domanda di riconoscimento, sul piano giuridico si registrano segnali di chiusura tanto rispetto alle richieste di accesso alla genitorialtà, quanto di tutela dei nuclei già formatisi. Per un verso la legge n. 40/2004 esclude le coppie omosessuali (e i single) dalla possibilità di usufruire di percorsi di PMA, dall’altro l’adozione del figlio del coniuge è stata prima discussa e poi espunta dal testo definitivo della legge sulle unioni civili. Quanto alle corti, la trascrizione degli atti di nascita stranieri dei bambini nati all’interno di una coppia lesbica è ormai consolidata, dopo una sentenza favorevole della Corte di Cassazione del 2013. E tuttavia, tale interpretazione favorevole alla trascrizione per le madri lesbiche è inquadrata come eccezione e non si applica alle coppie gay, né autorizza la formazione di analoghi certificati di nascita in Italia.
A ciò si aggiunge la recente tendenza verso l’annullamento dei riconoscimenti di rapporti di filiazione avvenuti, in assenza di una norma autorizzativa, tramite la registrazione degli atti di nascita di bambini nati in un nucleo omogenitoriale, da parte degli ufficiali di stato civile.
In ultimo, la possibilità di fare ricorso alla maternità surrogata sembra parimenti un vicolo cieco dal punto di vista giuridico. Il recente dibattito intorno alla legge volta a riconoscere tale pratica come “crimine universale” punibile indipendemente da dove sia occorso restituisce una immagine nitida dell’impraticabilità di questa pratica, altrove riconsciuta e legittima (ad es. in Portogallo, Canada, Stati Uniti, Georgia e Ucraina). Parimenti, la Corte costituzionale sembra aver precluso di recente la possibilità di ampliare l’accesso alla maternità surrogata tramite contenzioso costituzionale (nel 2017 e in termini non dissimili nel 2021) in quanto la maternità surrogata violerebbe in modo intollerabile la dignità della donna.
La mancanza del riconoscimento del diritto di essere genitori per entrambi i membri della coppia e il conseguente timore di subire maggiori ostacoli burocratici alla registrazione del proprio figlio/a, potrebbe rendere meno attrattiva la scelta di unirsi, soprattutto per le donne. In Svezia le unioni femminili infatti decollano solo dopo l’equiparazione dei diritti (Barbagli 2018).
L’attuale intreccio tra vuoti legislativi e realtà di fatto fa sì che, finora, solo i più abbienti siano riusciti a superare gli ostacoli giuridici alla genitorialità. Si perpetua così un doppio binario nell’accesso alla genitoriaralità tra coppie LGB che detengono risorse economiche e culturali per organizzare ‘viaggi procreativi’ all’estero e coppie prive di risorse.
Se osservata da questa prospettiva, la mappatura della realtà delle coppie omosessuali e del loro desiderio di genitorialità può restituire alla politica una fotografia del fatto (la realtà sociale) che non può essere ignorato dal diritto (il circuito democratico-rappresentativo).
Questo contributo fa parte del progetto ALFA – ‘Aligning Law with Family Arrangements: Non-traditional Families’ Contribution to Fertility and Parenting in Italy’, finanziato da Fondazione CARIPLO.
Per saperne di più
Barbagli, M. (2018). Gender Gap anche tra lesbiche e gay. Lavoce.info.
Barbagli, M., & Colombo, A. (2007). Omosessuali moderni: gay e lesbiche in Italia (Vol. 128). Il mulino.
Centro Risorse LGBTQI (2017). #Contiamoci! Famiglie LGBTQI.
De Rose, A., Ruiu, G., Joffre, V., Cialdea, L., & Di Leo F, N. N. (2023). Le famiglie” invisibili”. In Rapporto sulla popolazione. Le famiglie in Italia-Forme, ostacoli, sfide (pp. 115-141). Il Mulino.
Lelleri, R., Prati, G., & Pietrantoni, L. (2008). Omogenitorialità: I risultati di una ricerca italiana. Difesa sociale, 4(8), 71-83.