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500 mila nascite annue sono un obiettivo possibile?

Invertire il trend della natalità italiana è difficile, ma non impossibile. Come ci spiega Gianpiero Dalla Zuanna non esiste una bacchetta magica: è necessario piuttosto un ragionevole mix fra politiche di sviluppo, politiche migratorie e misure di welfare indirizzate ai giovani e alle famiglie.

Nel 2022 sono nati in Italia 393 mila bambini, a fronte dei 522 mila del 2012. Gli Stati Generali della Natalità – appena svoltisi a Roma, alla presenza del Papa e di molti esponenti politici – vogliono invertire questa tendenza, arrivando a 500 mila nascite nel giro di dieci anni. Con saldi migratori nulli, per realizzare questo obiettivo il numero medio di figli per donna dovrebbe passare dagli attuali 1,25 a 1,7 (come oggi in provincia di Bolzano, un po’ meno della Francia e un po’ di più della Germania). Per arrivare nel 2033 ad avere in Italia 500 mila nascite è necessario intervenire su tre punti.

Aumentare il saldo migratorio con l’estero

Bisogna aumentare il denominatore, ossia il numero di donne e di uomini in età fertile. Oggi in Italia risiedono otto milioni di donne di 20-44 anni. Se non ci saranno migrazioni, fra dieci anni saranno 800 mila in meno: quindi, anche se la propensione ad avere figli restasse quella di oggi, i nati sarebbero 40 mila in meno, solo a causa della diminuzione delle potenziali madri. Per incrementare il numero di potenziali genitori è necessario agire su due fronti. 

Innanzitutto, andrebbero ridotte le emigrazioni dei giovani oggi residenti in Italia, creando situazioni lavorative più favorevoli: stipendi migliori, accesso più rapido all’assunzione a tempo indeterminato, carriere determinate più dal merito che dall’età: tutte cose che i nostri giovani vanno oggi a cercare all’estero. 

Inoltre, andrebbero favorite le immigrazioni regolari, perché sono quelle che più rapidamente si trasformano in nuove coppie con figli: già oggi un quinto dei nuovi nati in Italia sono figli di genitori stranieri o di origine straniera: senza di loro, nel 2022 sarebbero nati 320 mila bambini in luogo di 400 mila.

Una spinta forte alle nascite potrebbe venire da saldi migratori con l’estero positivi simili a quelli del primo decennio del 21mo secolo, quando i giovani italiani che emigravano erano pochi, i nuovi immigrati erano più numerosi di oggi, e di conseguenza il saldo migratorio con l’estero era positivo ogni anno per 300-400 mila unità, quasi tutti in età 0-39 anni. I dati degli ultimissimi anni sono incoraggianti: il saldo migratorio anagrafico con l’estero (e per “altri motivi”, sostanzialmente migrazioni registrate in ritardo) azzeratosi nel 2019 e nel 2020, è risalito a +47 mila nel 2021 e a +142 mila nel 2022. Siamo ancora lontani dai dati di inizio secolo, ma la tendenza è positiva, e potrà consolidarsi se l’economia e la richiesta di nuovi lavoratori continueranno a crescere, come effettivamente accaduto nel biennio post-Covid.

Accelerare la formazione di nuove coppie conviventi

I giovani che lo desiderano vanno aiutati a metter su famiglia. Nell’ultimo decennio la propensione a vivere in coppia dei 20-34enni è diminuita in misura sensibile, sia fra gli uomini sia fra le donne. Poiché il 95% dei nati in Italia viene al mondo all’interno di una coppia eterosessuale convivente, la diminuzione delle coppie è responsabile di larga parte del declino complessivo delle nascite. In Italia nuove coppie di giovani in età fertile si formano di continuo, ma spesso il fidanzamento non dà luogo a una convivenza o a un matrimonio, oppure questi due eventi si realizzano in età relativamente tardiva.

L’età avanzata in cui le persone vanno a convivere o si sposano spinge verso l’alto la quota di persone senza figli, di cui l’Italia ha oggi il record mondiale: era del 10% per le donne nate nel 1945 del 18% per quelle nate nel 1965, del 28% (stima) per le donne italiane nate nel 1985. Le ricerche mostrano che tratta in larga parte di donne childless (senza figli per costrizione) piuttosto che childfree (senza figli per scelta). Questa “sindrome del ritardo” è dovuta anche a motivi culturali perché – specialmente per le donne – la coppia e la maternità sono sempre meno spesso un destino naturale e sempre più spesso un’opzione fra le diverse possibili, in cui la vita di famiglia si intreccia con altri percorsi di studio, di lavoro, di realizzazione personale. 

Questi fenomeni sono comuni a tutti i paesi a sviluppo avanzato, nell’ambito di quella che è stata definita la seconda transizione demografica: tuttavia, la situazione estrema dell’Italia è in larga parte dovuta agli stessi motivi che spingono molti giovani a emigrare: stipendi bassi, instabilità lavorativa, scarse possibilità di carriera per molti giovani capaci e meritevoli. A questo va aggiunto un mercato degli alloggi poco accessibile ai giovani, specialmente in ambito urbano, mercato ulteriormente “impazzito” negli ultimi mesi, con l’innalzamento dei tassi sui mutui. Se i percorsi lavorativi diverranno meno instabili, se il lavoro povero diverrà meno frequente, e se si disegneranno finalmente politiche abitative orientate alle giovani generazioni, anche convivenze e matrimoni potranno aumentare, e le persone senza figli diminuire.

Aiutare le coppie ad avere i figli che desiderano

Le ricerche più recenti mostrano che anche in Italia le coppie che hanno più di frequente il primo e il secondo figlio sono quelle in cui entrambe i partner hanno un lavoro stabile e l’uomo condivide con la donna una consistente quota di impegno lavorativo non retribuito a favore della casa e dei figli. Quindi, per avere figli le coppie devono disporre di ragionevoli quantità di soldi, di stabilità e di tempo.

Innanzitutto, le coppie con figli vanno aiutate fiscalmente, potenziando l’assegno unico e universale, che rispetto ad altre misure ha il vantaggio di essere una misura semplice e immediata, di non essere condizionato allo status occupazionale dei genitori e di garantire un cespite certo fino al 21mo compleanno del figlio ( neodemos – L’assegno unico e universale per i figli: un e-book sulla novità italiana e il contesto europeo) , anche se il suo ammontare è condizionato al reddito e alla ricchezza. Sono invece da evitare interventi basati su nuove detrazioni, deduzioni o bonus fiscali, che rischiano di ricreare le diseguaglianze e le discriminazioni preesistenti all’assegno unico.

Inoltre, alle coppie va “regalato” tempo, con estese politiche di conciliazione lavoro-famiglia-tempo libero (asili, scuole a tempo pieno, attività integrative per i figli a costo contenuto…). Nel contempo, l’uomo va spinto a dedicare tempo alle attività domestiche – potenziando ad esempio i congedi parentali maschili. Con questo tipo di politiche, entrambi i genitori potranno trascorrere una quantità maggiore del loro tempo con i figli, e la donna non sarà costretta a scegliere fra lavoro e maternità. Fra le misure attualmente in atto, andrebbe consolidato il bonus nido & babysitter, che ha il pregio di poter essere utilizzato in modo flessibile, sia in strutture pubbliche che in quelle private convenzionate. 

Copiare le buone pratiche

Non dobbiamo inventare (quasi) niente: si tratta per lo più delle politiche migratorie, per le famiglie e per i giovani messe in atto da 70 anni in Francia e da 15 anni in Germania, con buoni risultati in termini di incremento della natalità e della popolazione, e di freno all’invecchiamento. 

Forse l’elemento più difficile su cui intervenire in Italia sono gli stipendi netti dei giovani, assai più bassi rispetto a quelli di altri paesi OCSE, anche se gli stipendi lordi non sono poi molto diversi. È necessario intervenire sul cuneo fiscale, e specialmente sul cuneo contributivo, visto che in Italia nei primi dieci giorni del mese si lavora per pagare le pensioni agli attuali pensionati, contro i sette giorni della media OCSE. Non va scatenata una sorta di “guerra fra le generazioni”, ma bisogna essere consapevoli di questo problema, se si vuole mettere mano al sistema pensionistico.

La bassa natalità non è un destino. Nei paesi europei a sviluppo avanzato le nascite sono più numerose se: l’economia va bene; gli stipendi dei giovani permettono loro una vita autonoma; entrambi i genitori hanno un lavoro stabile; il welfare dedicato alle famiglie è generoso, flessibile e stabile nel tempo; madri e padri condividono l’impegno per la casa e per i figli; vengono messe in atto politiche atte a favorire consistenti saldi migratori regolari positivi. L’obiettivo di raggiungere le 500 mila nascite nel giro di un decennio, in Italia, è difficile, ma non impossibile, se la ripresa economica continuerà e se saranno attuate le opportune politiche – radicalmente riformiste – orientate ai potenziali genitori.