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I decessi non evitati nel Veneto durante la seconda ondata di Covid-19

Utilizzando semplici dati settimanali e mensili sulla mortalità per Covid-19, sulla mortalità generale, e sui ricoverati Covid-19 in terapia intensiva, Enrico Rettore stima la super-mortalità verificatesi nel Veneto durante la seconda ondata di Covid-19, a causa delle mancate restrizioni del periodo novembre-dicembre 2020. Se in questi due mesi fossero state adottate misure restrittive analoghe a quelle lombarde, nel Veneto si sarebbero potuti evitare almeno 3.200 decessi.

La commissione di indagine della Regione Veneto sulla pandemia

Il consiglio regionale del Veneto ha istituito con la delibera 52/8, giu. 2021, una commissione di indagine sull’andamento della pandemia nella regione. La commissione ha concluso i suoi lavori con una relazione di maggioranza e una relazione di minoranza, depositate a fine gennaio di quest’anno1. Secondo il mandato ricevuto, l’attenzione della commissione si è concentrata in particolare su quanto è avvenuto nel corso della seconda ondata, autunno 2020 e successivo inverno.

Nel corso della seconda ondata la regione Veneto ha adottato misure di contenimento del contagio molto più blande – la ‘zona gialla’ – rispetto alla confinante regione Lombardia – che ha fatto ampio ricorso alla ‘zona rossa’ – e in minore misura, anche rispetto alla confinante regione Emilia Romagna – che ha fatto ricorso alla ‘zona arancione’. La fig. 1 sintetizza le differenze tra le tre regioni (e per confronto anche rispetto alla Provincia Autonoma di Trento).

Dalle due relazioni depositate alla fine dei lavori emergono rilevanti differenze di valutazione delle conseguenze della mancata adozione della ‘zona rossa’ da parte della regione Veneto. La relazione di minoranza attribuisce alla mancata ‘zona rossa’ l’eccesso di mortalità da COVID-19 riscontrato nel Veneto nei mesi di dicembre 2020 e gennaio 2021. La relazione di maggioranza nega alla radice che in Veneto vi sia stato un eccesso di mortalità da COVID-19 e attribuisce le differenze tra regioni ad una ‘…scansione temporale diversa [della seconda ondata], nel senso che nel Veneto si è manifestata nel periodo ottobre-dicembre 2020, mentre in altre Regioni si è verificata a novembre-dicembre 2020 protraendosi fino a gennaio-febbraio 2021…’ (p. 121).

La ‘zona rossa’ ha avuto effetti sul numero di decessi da COVID-19?

Il punto del contendere è se nei mesi da novembre 2020 a gennaio 2021 la ‘zona rossa’ abbia o meno fatto la differenza per il numero di decessi da COVID-19 (nei mesi successivi l’analisi risulta più complicata, perché iniziano a manifestarsi anche gli effetti della campagna vaccinale). La questione va molto al di là della vicenda specifica del Veneto perché – quali che fossero le intenzioni degli autori – le considerazioni svolte nella relazione di maggioranza accreditano l’idea che l’intensità delle misure di contenimento del contagio non abbia fatto la differenza per il tragico conto dei decessi. Fosse così, resterebbe nella memoria collettiva che le sofferenze patite durante i mesi di lockdown sono state più o meno inutili. Soprattutto per questo motivo vale la pena di discutere con cura il caso della ‘zona gialla’ veneta.  

L’imposizione di misure severe di limitazione dei movimenti – se applicate in modo rigoroso – dà luogo meccanicamente ad una immediata riduzione dei contatti tra le persone e quindi ad una riduzione dei contagi. Stando a quanto risulta dai documenti dell’Istituto Superiore di Sanità, nel corso della prima ondata il tempo intercorrente tra il contagio e l’eventuale decesso è stato circa pari a tre settimane. È quanto si è osservato a marzo 2020 a seguito dell’imposizione del lockdown, iniziato il giorno 8/3 in Lombardia e in altre 14 province del nord Italia ed esteso al resto del paese il giorno 11/3: si osserva un repentino crollo del numero dei decessi a partire dalla quarta settimana successiva (fig. 2).

Analogo andamento si osserva in Lombardia nell’autunno 2020. La ‘zona rossa’ viene introdotta a partire dal 6 novembre.  I decessi – già in aumento nelle settimane precedenti – continuano ad aumentare rapidamente nelle quattro settimane successive, nelle quali gli effetti della ‘zona rossa’ non potevano ancora manifestarsi. Poi crollano bruscamente: nella sola settimana del 13 dicembre si riducono del 43% rispetto alla settimana precedente, e si riducono ulteriormente del 38% nelle due settimane successive. Non così nel Veneto. A partire dal 6 novembre viene introdotta la ‘zona gialla’, mantenuta fino alla vigilia di Natale, quando è stata introdotta la ‘zona rossa’ nell’intero paese. I decessi continuano ad aumentare fino a inizio gennaio, segue una lieve riduzione nelle prime settimane di gennaio. La riduzione drastica compare solo nell’ultima settimana di gennaio: quattro settimane dopo l’introduzione della ‘zona rossa’. In linea con quanto osservato a marzo per l’intero paese e a dicembre in Lombardia: forte riduzione dei decessi 3-4 settimane dopo l’introduzione di restrizioni importanti.

Nel Veneto i decessi per Covid-19 sono stati rilevati in modo più accurato che altrove?

Nell’interpretare questi dati, un dubbio legittimo riguarda i criteri di classificazione dei decessi dovuti a COVID-19. È un dubbio espresso anche nella relazione di maggioranza della commissione di indagine veneta: ‘In sintesi tale dato evidenzia come in Regione Veneto … si sia riusciti ad attribuire correttamente al COVID-19 un numero di decessi molto più completo rispetto a molte altre realtà’ (p. 111).  E’ chiaro che se nel Veneto la diagnosi delle cause di decesso fosse stata più accurata che altrove, il numero dei decessi attribuito a COVID-19 potrebbe essere risultato superiore rispetto alle altre regioni solo a causa di questa maggiore accuratezza.  

Per sciogliere questo dubbio, oggi abbiamo a disposizione i dati forniti dall’Istat relativi al totale dei decessi – quale che ne sia stata la causa – al dettaglio mensile, per le singole regioni. Comparando il numero di decessi nei mesi da luglio 2020 a gennaio 2021 con il numero medio di decessi negli stessi mesi degli anni pre-pandemia si ottiene la cosiddetta mortalità in eccesso: le anomalie osservate nei mesi di pandemia rispetto ai normali mesi pre-pandemici. Questa stima del numero di decessi attribuibili alla pandemia ha il pregio di essere esente da eventuali errori di classificazione della causa di decesso. La fig. 4 mostra che in entrambe le regioni da luglio a settembre 2020 i decessi sono in linea con quelli osservati negli anni pre-pandemia. A ottobre e ancora più a novembre – cioè, nelle settimane nelle quali gli effetti delle restrizioni sui decessi non potevano ancora manifestarsi – la mortalità in eccesso è cresciuta più in Lombardia che in Veneto. A partire dal mese di dicembre 2020, il mese nel quale si sono manifestati gli effetti della ‘zona rossa’ introdotta a inizio novembre, la mortalità in eccesso crolla in Lombardia e a gennaio 2021 si azzera. Non così in Veneto: a dic. 2020 la mortalità in eccesso è aumentata; a gennaio si è in parte ridotta, ma è risultata ancora largamente positiva.

Prendendo come riferimento il dato di fonte Istat relativo alla mortalità in eccesso, e tenuto conto che la Lombardia ha un numero di abitanti doppio rispetto al Veneto, nei mesi di dicembre 2020 e gennaio 2021 il Veneto ha avuto circa 3.200 decessi in più rispetto alla Lombardia:

Mortalità in eccesso in Lombardia, dic. 2020 e gen. 2021/2 = (11.577 – 8.997 + 11.081 – 10.572)/2 = 1.545

Mortalità in eccesso in Veneto, dic. 2020 e gen. 2021 = 7.632 – 4.419 + 6.697 – 5.122 = 4.788

3.200 è dunque la stima del numero di decessi che si sarebbero evitati in Veneto nei due mesi detti se fossero state adottate misure restrittive analoghe a quelle lombarde. 

In realtà, si tratta di una stima prudente, perché non tiene conto del fatto che, come detto poco sopra, la Lombardia è partita da condizioni più sfavorevoli del Veneto: a novembre 2020 – prima che si manifestassero gli effetti delle restrizioni – la Lombardia ha avuto un eccesso di mortalità pari a 2.737, il Veneto pari a 1.862. Una stima che tenga conto anche delle differenze nelle condizioni di partenza porterebbe ad un numero di decessi evitabili sensibilmente superiore. Per avere un termine di paragone, in un mese normale del quinquennio 2015-2019 il Veneto ha avuto 4.130 decessi.

Queste morti nel Veneto si sarebbero potute evitare?

Fin qui quanto possiamo dire oggi, avendo a disposizione un quadro completo della mortalità per quei mesi. La domanda doverosa è se all’epoca dei fatti le informazioni disponibili consentissero già di capire ciò che stava succedendo, in tempo utile per correggere la rotta. La fig. 5 mostra l’andamento del saldo settimanale tra ingressi e uscite in terapia intensiva di malati con Covid-19, distintamente per Lombardia e Veneto (il dato lombardo è dimezzato per renderlo comparabile con quello veneto). In Lombardia il saldo inizia a diminuire già nella settimana del 15 novembre, cioè la settimana successiva all’adozione della ‘zona rossa’, e diventa negativo – cioè, il numero di ricoverati in terapia intensiva si riduce – nell’ultima settimana di novembre. In Veneto il saldo presenta una lieve flessione solo verso la fine di novembre, ma si mantiene positivo fino alla fine dell’anno – cioè, fino alla fine dell’anno in Veneto il numero dei ricoverati in terapia intensiva non ha dato segni di riduzione. Analogo andamento si osserva per il saldo tra ingressi e uscite nei reparti ordinari, qui omesso per brevità. Vale a dire che già prima della fine di novembre si erano manifestati chiari segni delle differenze tra ‘zona rossa’ e ‘zona gialla’, precursori degli effetti sui decessi che si sarebbero manifestati nelle settimane successive. 

Natura non facit saltus (G.W. Leibniz, 1704)

È credibile l’attribuzione dei maggiori decessi osservati in Veneto rispetto alla Lombardia al diverso regime di restrizioni adottato dalle due regioni? I punti di svolta osservati nell’andamento settimanale dei decessi (fig. 3) e degli ingressi netti in terapia intensiva (fig. 5) presentano uno sfasamento temporale rispetto alla data di introduzione della ‘zona rossa’ compatibile con quanto si sa sui tempi intercorrenti tra contagio, sviluppo dei sintomi, ricovero e decesso. Per smontare questa interpretazione, servirebbe trovare una spiegazione alternativa per le brusche variazioni osservate in Lombardia nell’andamento dei decessi e dei ricoveri. 

L’unica spiegazione alternativa nota a chi scrive è quella proposta nella relazione di maggioranza della commissione veneta, citata poco sopra: le differenze osservate tra le due regioni sarebbero dovute solo al diverso andamento temporale della seconda ondata, anticipata in Lombardia rispetto al Veneto.  Ma non è una spiegazione plausibile: l’evoluzione naturale dei contagi genera mutamenti che avvengono in modo graduale nel tempo, non i mutamenti bruschi osservati in questi grafici. C’è l’intervento umano dietro quei salti, non la natura.

A chi scrive pare difficile negare che la ‘zona rossa’ abbia svolto un ruolo importante per contenere il numero dei decessi durante la seconda ondata.  

Note

1Relazioni protocollate ai numeri, rispettivamente, 0001336.27-01-2023 e 0001337.27-01-2023, Consiglio Regionale del Veneto, Undicesima Legislatura. La relazione di maggioranza è alla pag. 3, la relazione di
minoranza alla pag. 3643
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