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Ripresa delle nascite dopo il Covid-19? Sì, ma non per tutti

Uno studio americano sfrutta nuovi dati per mettere in risalto le diseguaglianze nei concepimenti durante il Covid-19. Nicolò Cavalli ci spiega in questo articolo che le donne istruite e nate negli Stati Uniti hanno avuto più figli con la pandemia, mentre hanno sofferto i numeri delle madri immigrate. 

Chi ha avuto figli durante la pandemia, e chi invece no? A questa domanda comincia a rispondere uno studio pubblicato lo scorso ottobre sulla serie di working paper del National Bureau of Economic Research (NBER), intitolato “The Covid-19 Baby Bump: The Unexpected Increase in US Fertility Rates in Response to the Pandemic”. Per analizzare la risposta della fecondità alla pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti, gli autori ricostruiscono la serie delle nascite tra il 2015 e il 2021 grazie all’accesso a microdati del National Center for Health Statistics. Degna di nota è la ricostruzione, inedita, delle serie di nascite differenziate per gruppi sociali, non solo da un punto di vista etnico e razziale ma anche distinguendo tra parità, età, e livelli di istruzione. 

‘Gentrificazione’ della fecondità durante il Covid?

Nel 2020 negli Stati Uniti, il tasso di natalità (totale delle nascite sul totale della popolazione) è stato di circa 2% più basso rispetto a quanto atteso sulla base della tendenza estrapolata come proiezione lineare della natalità tra il 2015 e il 2019. Questo equivale a circa 76mila nascite in meno rispetto alle attese. Una stima, questa, non lontana da quella di altre ricostruzioni simili pubblicate di recente1. Ma, al di là dell’esercizio di contabilità pandemica, i nuovi dati a cui hanno avuto accesso gli autori permettono un’analisi più approfondita, a partire dalla ricostruzione dell’andamento delle nascite da madri di origine straniera, cioè nate al di fuori del Paese, che rappresentavano nel 2019 il 22,7% delle nascite totali registrate negli Stati Uniti (cresciute da circa il 16% nel 19902). La Figura 1 mostra l’andamento delle nascite dal gennaio 2015 al dicembre 2021, distinguendo tra madri nate negli Stati Uniti e straniere. Vi si nota come il calo nelle nascite abbia riguardato disproporzionatamene le madri nate all’estero (linea verde), mentre non si notano deviazioni significative dalla tendenza degli anni 2015-2019 per i figli da madri nate negli Stati Uniti (linea blu). 

La Figura 1 mette inoltre in luce che la riduzione delle nascite da madri straniere avviene sin dai primi mesi nel 2020, e non solo a nove mesi dall’inizio della pandemia come sarebbe ragionevole attendersi se la riduzione fosse stata causata direttamene dallo shock pandemico. Oltre ai cambiamenti nei comportamenti riproduttivi associati alla pandemia, in questo caso sembrano pesare le restrizioni ai viaggi internazionali e la stretta alle frontiere. Ad esempio, le nascite da madri nate in Cina sono calate di quasi il 60% nel corso del 2020, mentre al gennaio del 2021 le nascite da madri nate in paesi dell’America Latina erano calate del 17%, a causa della chiusura dei confini voluta dal presidente Trump nel Marzo 2020.  Com’è noto, in un’ottica di corso di vita il fenomeno dell’emigrazione si associa a effetti tempo sulle nascite, con transizioni posticipate fino all’evento migratorio e poi realizzate in intervalli temporali brevi, immediatamente successivi allo stabilirsi nel paese di destinazione. La chiusura dei confini ha avuto l’effetto di precludere questo canale, finendo per avere un impatto immediato e negativo sulla crescente fetta della fecondità totale riconducibile a genitori stranieri. In totale, le nascite da madri straniere nel periodo 2020-2021 sono calate di circa il 5,2% rispetto alla tendenza 2015-2019, per un totale di circa 91,000 nascite in meno, contro il -1% per le nascite da madri nate negli Stati Uniti. 

Queste ultime non solo non hanno subito una flessione significativa durante il Covid-19, ma hanno visto una forte crescita nel corso del 2021, quando le nascite da madri nate negli Stati Uniti sono aumentate di circa il 6,2% rispetto al 2015-2019. A fine 2021, si sono registrate circa 46,000 nascite in più rispetto alle attese sulla base della tendenza pre-pandemica. Tale aumento risulta spinto da donne al primo figlio e sotto l’età di 25 anni, così come nel gruppo 30-34 anni, a catturare sia effetti di anticipo che di recupero. Inoltre, la Figura 2 mostra che l’aumento di nascite da madri statunitensi è avvenuto quasi esclusivamente per le madri con un titolo di laurea. Meno soggette a licenziamenti e precarizzazione della situazione lavorativa, anche in quanto spesso impiegate in lavori possibili da svolgere da remoto, le laureate e non hanno vissuto destini completamente divergenti durante la pandemia.

Conclusione

Giunti all’anno tre dell’epoca Covid, è ormai lecito affermare che, almeno dal punto di vista demografico, anche questa volta non è diverso. Spariti velocemente i cantori del ‘baby boom’, l’accumularsi di dati sui mesi successivi alle fasi più acute della pandemia offre tuttavia una panoramica ben più complessa rispetto a quella di un ‘baby bust’. L’evidenza empirica suggerisce che una moderata diminuzione della fecondità è stata in parte riequilibrata da politiche di forte trasferimento fiscale e seguita da recuperi di fecondità successivi alle riaperture e alla fine delle restrizioni alla vita sociale. I piani di fecondità non sono stati spiazzati per tutti allo stesso modo: almeno negli Stati Uniti, donne altamente istruite e non immigrate hanno registrato più nascite rispetto alle attese, mentre il calo si è concentrato nelle fasce della popolazione meno istruite e straniere – una ‘gentrificazione della fecondità’ da pandemia, dove le transizioni appiano strettamente legate alla disponibilità di risorse materiali e no. A futuri studi il compito di caratterizzare questi cambiamenti con dati più consolidati e orizzonti temporali più lunghi.

Note

1Sempre in un working paper NBER, Melissa Kearney and Philippe Levine avevano calcolato l’impatto del Covid-19 in 62mila nascite in meno, un calo di circa il 4% (a testimoniare l’importanza del denominatore); Tomáš Sobotka dell’Istituto di Vienna e i suoi colleghi avevano invece calcolato una riduzione delle nascite del 3,5% durante il periodo pandemico; mentre l’autore di questo articolo su PNAS aveva, insieme ad Arnstein Aassve, Letizia Mencarini, Seth Sanders e Samuel Plach, stimato un più modesto calo del 2,8%.    

2Elaborazione dell’autore sulla base di dati del progetto Kids Count dalla Annie E. Case Foundation https://datacenter.kidscount.org

Per saperne di più

Aassve, A., Cavalli, N., Mencarini, L., Plach, S., & Sanders, S. (2021). Early assessment of the relationship between the COVID-19 pandemic and births in high-income countries. Proceedings of the National Academy of Sciences, 118(36), e2105709118.

Bailey, M. J., Currie, J., Schwandt, H. (2022). The COVID-19 Baby Bump: The Unexpected Increase in U.S. Fertility Rates in Response to the Pandemic. NBER Working Paper No. 30569

Kearney, M. S., & Levine, P. B. (2022). The US COVID-19 Baby Bust and Rebound (No. w30000). National Bureau of Economic Research.

Luppi, F., Arpino, B., Rosina, A. (2020). The impact of COVID-19 on fertility plans in Italy, Germany, France, Spain, and the United Kingdom. Demographic Research43, 1399-1412.

Plach, S., Aassve, A., Cavalli, N., Mencarini, L., Sanders, S. (forthcoming). COVID-19 Policy Interventions and Fertility Dynamics in the Context of Pre-Pandemic Welfare Support. Population and Development Review

Sobotka, T., Jasilioniene, A., Zeman, K., Winkler-Dworak, M., Brzozowska, Z., Galarza, A. A., Nemeth, L., Jdanov, D. (2022). From Bust to Boom? Birth and Fertility Responses to the COVID-19 pandemic. SocArxiv https://osf.io/preprints/socarxiv/87acb/