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Iran: il paradosso demografico

Tra i grandi paesi di fede islamica, l’Iran spicca per la sua bassa fecondità, abbondantemente sotto il livello di rimpiazzo, e il cui declino è stato perfino più rapido di quello della Cina dopo l’introduzione della legge sul figlio unico. Steve Morgan ripercorre la storia delle contraddittorie politiche seguite dal governo e osserva che le donne iraniane, anima delle diffuse ribellioni in atto, hanno preso in mano il pieno controllo della propria riproduttività

Tra i paesi di fede islamica, l’Iran rappresenta un caso assai particolare e di grande interesse sotto il profilo demografico. Alla fine della prima guerra mondiale, il regime demografico del paese non era dissimile da quello tipico di altre popolazioni della regione, e della maggioranza dei paesi poveri del mondo. Nel 1950, 17 milioni di iraniani avevano una speranza di vita alla nascita inferiore ai 40 anni, minore tra le donne rispetto agli uomini. Il controllo delle nascite vi era quasi sconosciuto, e il numero medio di figli per donna era attorno a 7, e si conservava su tali livelli fino agli anni ’70. In quel trentennio la popolazione cresceva a tassi compresi tra il 2,5 e il 3%. È attorno al 1980 che inizia la modernizzazione demografica del paese, la sopravvivenza si rafforza, la natalità inizia una precipitosa diminuzione (Figura 1). Nel 2022, con 88 milioni di abitanti – il quintuplo del 1950 – una fecondità inferiore al livello di rimpiazzo, e una sopravvivenza pari a quella dell’Italia degli anni ’80, l’Iran è un paese demograficamente moderno, a dispetto delle repressioni tiranniche e delle buie ideologie.

Una storia schizofrenica

Il regime dello Scià, sotto l’influenza anglo-americana, aveva lanciato nel 1967 un programma di pianificazione delle nascite che però ebbe solo deboli risultati. La rivoluzione komeinista del 1979 pose fine a questo programma e abbracciò una politica pro-natalista, e di sostegno al matrimonio precoce e alle famiglie numerose. Simbolicamente, l’età al matrimonio fu ridotta a 9 anni per le bambine e 12 per i bambini. “La guerra con l’Iraq [1980] alimentò il clima pro-natalista: le famiglie vennero incoraggiate ad avere più figli per ottenere un “esercito di venti milioni”, come proposto dall’Ayatollah Khomeini…La politica venne continuata anche dopo il rilascio dei risultati del Censimento del 1986 che, con grande soddisfazione del Governo, rivelò un forte incremento rispetto a quello precedente del 1976”1.

Questi entusiasmi si raffreddarono presto e la politica pro-natalista venne abbandonata. La guerra con l’Iraq e le profonde difficoltà economiche e sociali del paese, suggerirono l’adozione di nuove politiche a favore del controllo delle nascite. “Col Governo Rafsanjani, i Ministeri della Sanità e dell’Istruzione collaborarono con il Ministero dell’Economia e delle Finanze per disegnare, promuovere, finanziare e implementare un nuovo programma decentrato di pianificazione familiare. Nelle vaste aree rurali questi servizi vennero offerti tramite una rete di “case della salute” locali finanziate dallo stato e gestite da personale femminile specializzato, nonché dalle farmacie e dai medici”2. Il Governo Khatami (1997-2005) sostenne efficacemente questo nuovo programma, e nel 2005, oltre le più ottimistiche aspettative, la fecondità scese al livello di rimpiazzo. 

Le capriole non erano finite, perché con l’avvento del Governo Ahmadinejad (2005) l’impianto del Governo precedente venne demolito e rovesciato. “L’Ayatollah Ali Khamenei – l’uomo più potente dell’Iran – incoraggiò nuovamente la procreazione e definì le misure favorevoli al controllo demografico “un errore”…”possano Dio e la storia perdonarci”3. I programmi di contraccezione gratuita vennero aboliti, la vasectomia proibita, vennero reinseriti i sussidi di natalità, i matrimoni precoci furono incoraggiati. 

I limiti delle politiche

All’inizio degli anni ’80 il numero medio di figli delle donne iraniane era ancora pari a 6,5, nel 2004 era pari 1,8, un crollo rapidissimo nel giro di vent’anni, superiore a quello sperimentato da qualsiasi paese nel corso della transizione demografica; più veloce che in Cina e senza ricorrere a politiche restrittive come quella del figlio unico. Certo parte del merito sta nell’attuazione, durante quel periodo, di politiche demografiche e sociali efficaci collegate ad altrettanto efficaci politiche sanitarie; molto si deve anche alla rapida diffusione e crescita del livello di istruzione, soprattutto femminile, all’alto livello di urbanizzazione del paese, ai collegamenti con la diaspora iraniana e a un’apertura culturale a dispetto del regime restrittivo e oppressivo degli Ayatollah. Il capovolgimento delle politiche è risultato in una modesta ripresa (da 1,8 nella prima decade del secolo a 2,1 nel 2016-17) seguita negli ultimi anni a un ritorno a nuovi bassi livelli (1,7 nel 2020-21). 

Le indagini più approfondite degli ultimi anni hanno posto in luce interessanti aspetti del declino della natalità, che non si riscontrano in paesi con recenti, simili esperienze. La transizione iraniana si è diffusa in modo molto omogeneo nelle varie province del paese, non ha creato profonde divergenze tra città e campagna e tra gruppi etnolinguistici. Nella generalità dei paesi nei quali la natalità è scesa rapidamente – ma in nessun paese così velocemente come in Iran – la transizione ha generato forti disuguaglianze. I bassi livelli riproduttivi raggiunti difficilmente potranno essere invertiti, e appaiono fortemente radicati nei comportamenti delle generazioni più giovani.

Un’approfondita rassegna delle analisi scientifiche più recenti4 ha concluso  che le principali cause della bassa riproduttività, e del basso numero medio di figli ritenuto “ideale” (2,2), sono l’alto livello di istruzione femminile, l’aspirazione al lavoro, e l’alto costo dei figli, il conflitto tra il lavoro e la famiglia. Motivazioni del tutto simili a quelle delle donne del modo occidentale. D’altro canto è fortissimo il valore emotivo generato dai figli, l’aspirazione al matrimonio, la scarsissima frequenza delle donne che non desiderano figli. Caratteristiche, queste, che nell’opinione di molti studiosi, dovrebbe favorire una certa stabilità riproduttiva.

Qualche dato e qualche confronto

Sotto il profilo demografico, l’Iran appare un paese solido. La sua struttura per età (Figura 1) è relativamente equilibrata e propria di una popolazione che ha subito una transizione demografica rapida, ma senza eccessivi traumi. L’Iran presenta indici simili a quelli della Turchia, paese assai più ricco e più vicino all’occidente. Iraq, Pakistan e Egitto hanno una fecondità notevolmente più alta (Figura 2), speranza di vita sensibilmente più bassa, e alti tassi d’incremento della popolazione.

Tra il 2022 e il 2050 (variante media delle proiezioni UN) è previsto che Iran e Turchia aumentino del 13%, contro incrementi tra il 47 e il 60% di Egitto, Iraq e Pakistan, che non mancheranno di creare intralci allo sviluppo. I problemi dell’Iran – pure se il regime è scontento della bassa natalità – sono di natura politica e economica più che demografica. Il paese ha una popolazione bene istruita; un sistema sanitario relativamente robusto; i comportamenti demografici sono relativamente omogenei; la crescita si prospetta moderata. Ciò che preoccupa, semmai, è la forte diaspora di scienziati, tecnici, persone con buone capacità imprenditoriali. Ma la politica, non la demografia, ne è responsabile. Un’ultima osservazione: le donne iraniane non solo hanno preso in mano il pieno controllo della propria riproduttività, ma sono anche l’anima delle diffuse ribellioni in atto. Non si tratta, crediamo, di una pura coincidenza.

Note

1Mohammad Jalal Abbasi –Shavazi, The fertility revolution in Iran, “Population & Société” n. 373, Novembre 2001, p. 1. Tra il 1976 e il 1986 l’incremento fu del 44%.

2Richard Cincotta e Karim Sadjadpour, Iran in Transition. The Implications of the Islamic Repulic’s Changing Demographics, Carnegie Endowment for International Peace, 2017, p. 6

 3Ibidem, p. 6

4Hajiieh Bibi Razeghi Nasrabad e Mohammed Jalal Abbasi-Shavazi, Ideal Fertility in Iran: A Systematic Review and Meta-analysis, in “International Journal of Women’s Helath and Reproduction”, vol 8, No. 1, January 2020