Il congedo di paternità aiuta le madri nel lavoro? evidenze dalla Spagna
I congedi di paternità nascono per favorire la condivisione della cura e per ridurre le penalizzazioni delle madri nel mondo del lavoro. Funzionano realmente? Dalla Spagna, dove si registrano aumenti nei salari e nel tasso di occupazione delle madri, sembrerebbe di sì. È ora di avere più coraggio in materia anche in Italia? ce ne parla Thomas Osborn
Lo scorso 13 agosto è entrata in vigore in Italia la legge che prevede l’allungamento da 7 a 10 giorni del congedo di paternità obbligatorio e retribuito al 100%, di fatto stabilizzando la norma adottata nel 2021 che già prevedeva tali novità. Si tratta di un altro piccolo passo avanti in un campo in cui storicamente il nostro paese si è sempre dimostrato particolarmente timido, dopo quello del 2018, quando il congedo di paternità è passato da 2 a 4 giorni, e quello del 2019, da 4 a 7 giorni. Anche in questo caso, infatti, l’allungamento è stato fortemente voluto e sollecitato dall’Unione Europea, che ha inserito un minimo di 10 giorni di congedo retribuito ai neo-padri tra le misure della Direttiva Europea sul Work-Life Balance che ogni paese UE ha dovuto recepire entro l’aprile 2022.
I congedi nei nuovi modelli di welfare
In molti paesi i congedi di paternità sono da anni ritenuti centrali – al pari di altre politiche come quelle in favore di una maggiore diffusione degli asili nido o in contrasto dei licenziamenti per maternità – per favorire il graduale passaggio da un modello di famiglia “male earner – female carer” (ovvero la famiglia monoreddito, secondo molti studiosi tipica della cultura mediterranea, in cui il lavoro del padre è l’unica fonte di reddito) ad uno “dual earner – dual carer” in cui un riequilibrio dei doveri familiari e legati alla cura – non solo dei figli, ma anche della casa, dei genitori anziani, e della famiglia in senso lato – consentirebbe alle madri di entrare o rimanere nel mondo del lavoro senza penalizzazioni legate alla gravidanza. I congedi di paternità sono infatti pensati per rendere meno gravose le difficoltà legate alla conciliazione delle esigenze lavorative con quelle familiari dopo una una nascita, influendo non solo sul modo in cui i padri interagiscono all’interno dei contesti domestici, ma anche sui divari di genere nel mondo del lavoro retribuito.
Sebbene già prima della direttiva europea i congedi di paternità fossero presenti in gran parte dei paesi europei, sono ancora tante le differenze da paese a paese: non tutti offrono retribuzioni al 100%, alcuni tendono a preferire modelli parentali in cui il congedo può essere trasferito da un genitore all’altro, e, soprattutto, rimangono le grandi disparità per quel che riguarda la durata (Tabella 1). Il numero medio di giorni di congedo di paternità nell’UE aveva già raggiunto le 2 settimane nel 2020, ma mentre alcuni paesi stanno già viaggiando verso una sostanziale parità di lunghezza tra congedi di paternità e di maternità (in primis la Spagna, dal 2021, e più di recente la Finlandia), altri, tra cui l’Italia, avanzano ancora timidamente rendendo indispensabile l’intervento delle norme Comunitarie.
I congedi contrastano il gender gap lavorativo? dall’esperienza spagnola un messaggio per l’italia
Sono numerosi gli studi che dimostrano come le retribuzioni delle donne siano negativamente influenzate dalla maternità1 e che i guadagni maschili e femminili divergono maggiormente proprio in corrispondenza dell’inizio della genitorialità. In altre parole, le donne non solo lavorano meno degli uomini e, anche a parità di ore di lavoro, guadagnano meno. Se le donne sono anche madri, le condizioni diventano addirittura peggiori, mettendo in evidenza l’importanza di interventi di politica familiare nelle programmazioni di welfare contemporaneo (nella Figura 1 il caso della Spagna; Osborn T. 2021).
Mentre molti studi economici sui congedi sono incentrati sul congedo di maternità, sono ancora pochissime le ricerche sugli effetti lavorativi derivanti dall’introduzione di congedi di paternità. La letteratura economica esistente è difatti per lo più focalizzata nel capire quali caratteristiche dei congedi garantiscono una maggiore adesione dei padri agli stessi, quali ad esempio retribuzioni più alte, coperture da parte dello stato e non a carico dei datori di lavoro, non trasferibilità alla madre. Tutte questioni di primaria importanza, ma che non forniscono evidenza sull’efficacia di tale misuri nel mondo del lavoro. Solo una nicchia di studiosi ha recentemente avviato ricerche sulle conseguenze a lungo termine nei mercati del lavoro, anche se in molti casi si tratta ancora principalmente di paesi scandinavi – realtà estremamente diverse, da tutti i punti di vista, dalla realtà italiana.
Uno spunto per l’Italia potrebbe però venire dalla Spagna, paese che negli ultimi anni ha accelerato considerevolmente le riforme in questi campi, diventando uno dei modelli più virtuosi d’Europa. Il coinvolgimento degli uomini spagnoli nella cura dei figli non era mai stato esplicitamente incoraggiato fino al 2007 quando furono introdotte per la prima volta nella storia del paese due settimane di congedo di paternità obbligatorio, non trasferibile e interamente retribuito.
In un recente studio (Osborn T., 2021) sono stati analizzati gli effetti derivanti da questo salto da 0 a 14 giorni di congedo sugli esiti lavorativi delle madri il cui marito poteva usufruire del congedo, confrontandoli con quelli delle donne senza figli e delle madri che avevano partorito prima della legge2.
I risultati suggeriscono che l’introduzione del congedo di paternità in Spagna abbia avuto, nel breve periodo, effetti positivi sulle madri: nello specifico, la possibilità per i padri di usufruire del congedo retribuito ha contribuito ad aumentare il salario medio delle madri, con un effetto significativo tra il +15,7% e il +18,2%, mentre le probabilità di essere occupate sono di circa il 22% più alte3.
Di grande interesse è anche notare che, contrariamente a ciò che viene suggerito dalla teoria economica, tutti questi miglioramenti non sembrano venire a discapito dei padri, i quali dati in termini lavorativi risultano in gran parte inalterati dall’introduzione dell’obbligo di congedo di paternità.
È difficile stabilire se un congedo paterno di sole due settimane (già più lungo di quello italiano!) sia stato sufficiente a determinare cambiamenti permanenti, ciononostante, i miglioramenti riscontrati nello studio sulla Spagna, sembrano suggerire che questo tipo di intervento ha contribuito, almeno in parte, a migliorare le condizioni lavorative delle madri nel breve termine. Questi risultati fungono da stimolo per studi analoghi in altri paesi mediterranei simili e all’approvazione in Italia di norme per allungare i congedi di paternità, visti anche i bassi tassi di occupazione femminili nel nostro Paese (Save the Children Italia, 2022).
Note
1Si veda ad esempio, Angrist e Evans, 1998
2Utilizzando modelli di regressione lineare e logistica, è stato costruito uno studio comparativo nell’ambito di una metodologia difference-in-difference, al fine di analizzare gli effetti della riforma sugli esiti in termini lavorativi (salario, ore di lavoro, tasso di occupazione) delle madri il cui marito poteva usufruire del congedo di paternità in contrasto con quelli dei gruppi di controllo (ovvero la popolazione non affetta dalla riforma, vale a dire le donne senza figli e le madri che avevano partorito prima dell’introduzione del congedo).
3Il campione di interesse comprende 16.261 donne sposate tra i 20 e i 45 anni del database del Luxembourg Income Study Database (LIS).
Per saperne di più
Osborn T. (2021). “Does paternity leave affect mothers’ labour outcomes? Empirical analysis of Spanish data (2000-2016)”.
Angrist, J. and W. Evans (1998): “Children and their Parents’ Labor Supply: Evidence from Exogenous Variation in Family Size”, American Economic Review 88(3), pp.450-77.
Save the Children Italia (2022): “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2022”.