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Com’è cambiata la distribuzione dei redditi in Italia durante l’anno del COVID-19?

Molto si è scritto sugli effetti distributivi della drammatica crisi economica causata dalla pandemia di COVID-19, ma come ci spiega Andrea Brandolini*, da poco iniziamo a disporre dei dati statistici per una valutazione più affidabile. Questi dati mostrano come, grazie all’imponente sostegno pubblico ai bilanci familiari, l’aumento della disuguaglianza dei redditi nel 2020 sia stato complessivamente modesto, se raffrontato alla dimensione della contrazione economica.

Una recessione e un intervento pubblico “senza precedenti”

Il crollo del prodotto interno lordo (PIL) nel 2020 è stato di gran lunga il più forte, in un solo anno, della storia dell’Italia repubblicana: in termini reali, il 9%, rispetto al 5,3% nel 2009 (crisi finanziaria globale) e al 3% nel 2012 (crisi dei debiti sovrani). Come nelle altre economie avanzate, la caduta del PIL si è però trasferita solo in parte ai redditi familiari. Sia i sussidi monetari pubblici (quelli esistenti e quelli introdotti durante l’emergenza) sia il minore ammontare dovuto per imposte e contributi sociali hanno molto sostenuto il reddito disponibile delle famiglie, contrastando il notevole calo dei redditi da lavoro e di quelli da proprietà. Nel 2020 il reddito reale delle famiglie è diminuito in termini pro capite dell’1,8% rispetto al 2019, ma sarebbe caduto del 6,8% senza l’accresciuto intervento redistributivo del bilancio pubblico1.

L’ingente intervento pubblico ha anche attenuato gran parte dell’allargamento nelle disparità di reddito tra le famiglie. Secondo l’Indagine dell’Istat sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc), nel 2020 l’indice di Gini2 del reddito disponibile equivalente è aumentato rispetto all’anno precedente di 0,4 punti percentuali, al 32,9%, mentre sarebbe (contabilmente) aumentato di 2 punti escludendo dal reddito i trasferimenti sociali non pensionistici3 (Fig. 1). A prezzi costanti, il reddito equivalente medio è diminuito dell’1%; è aumentato per il 10% di popolazione più povero, per effetto dei trasferimenti pubblici, e per il 20% più ricco, mentre è sceso per i decimi di popolazione intermedi (Fig. 2).

Gli andamenti eterogenei del rischio di povertà

La quota di individui a rischio di povertà è rimasta praticamente ferma sul livello del 2019 al 20%; anche in questo caso, è stato determinante il ruolo delle prestazioni sociali monetarie non pensionistiche, senza le quali la quota di individui poveri sarebbe cresciuta di oltre 3 punti percentuali (Fig. 3). La stabilità dell’incidenza del rischio di povertà può apparire sorprendente, considerata la gravità della crisi, ma è il risultato che solitamente si osserva quando si usa una soglia di povertà relativa. Poiché è pari a una frazione del reddito mediano, questa soglia tende a diminuire durante le recessioni, riducendo così lo standard rispetto al quale viene valutata la condizione di povertà. Prendendo invece uno standard fisso, aggiornato solo per le variazioni dei prezzi, nel 2020 la quota di individui a rischio di povertà sarebbe salita di 1,4 punti percentuali. Un’analoga differenza si osserva nelle stime dell’Istat basate sulla spesa per consumi, secondo le quali l’incidenza della povertà tra gli individui è aumentata nel 2020 di 1,7 punti con la soglia assoluta, mentre è addirittura diminuita di 1,2 punti con quella relativa.

La stabilità della quota di persone a rischio di povertà (relativa) rappresenta una media di andamenti assai diversi tra i vari gruppi socio-demografici (Fig. 4). Un sensibile aumento nelle regioni del Nord è stato compensato da una riduzione in quelle del Sud, in linea con la diffusione geografica della pandemia nel 2020. L’incidenza della povertà è aumentata solo nelle piccole città e nei sobborghi, mentre si è ridotta nelle città e nelle zone rurali, una divaricazione molto netta che meriterà ulteriori approfondimenti. L’incidenza è anche diminuita di 0,8 punti percentuali tra le famiglie senza figli a carico, mentre è aumentata di 0,7 punti tra quelle con figli a carico (tra le quali sarebbe cresciuta di 5 punti in assenza dei trasferimenti sociali non pensionistici). Non stupisce quindi che la quota di individui poveri sia salita di 0,9 punti tra i minori e 0,3 punti tra gli adulti, mentre è diminuita di 1,2 punti tra gli anziani. Considerando le sole persone in età da lavoro (18-64 anni), il rischio di povertà è cresciuto quasi esclusivamente tra chi ha un titolo di scuola media superiore; inoltre, è aumentato solamente tra i cittadini stranieri, in misura molto accentuata, mentre è rimasto stabile tra i cittadini italiani.

Conclusioni

Grazie all’eccezionale sostegno pubblico, nel 2020 l’aumento della disuguaglianza dei redditi familiari è stato complessivamente modesto se raffrontato alla dimensione della contrazione economica. L’aumento dell’indice di Gini è per esempio pari a quello registrato tra 2011 e 2012, nonostante una caduta del PIL pari a tre volte quella avvenuta allora. Anche il rischio di povertà (relativa) non è sostanzialmente cresciuto a livello nazionale, pur variando in misura diversa tra i gruppi socio-demografici. In gran parte le variazioni hanno confermato la stratificazione esistente delle disuguaglianze di reddito, colpendo maggiormente le famiglie con figli a carico, i giovani e i cittadini stranieri, con la significativa eccezione dei divari regionali, che si sono invece mossi in controtendenza.

Per valutare appieno gli effetti della pandemia sulla distribuzione dei redditi occorrerà attendere i dati per il 2021, quando la crescita economica è stata robusta. Dal 2022, attenuatasi la pandemia, l’attenzione andrà rivolta alle conseguenze del brusco aumento dell’inflazione4.

* Le opinioni qui espresse sono personali e non riflettono necessariamente quelle della Banca d’Italia.

Per saperne di più

Brandolini, A. (2022), “La pandemia di COVID-19 e la disuguaglianza economica in Italia”, Politiche sociali/Social Policies, vol. 9, n. 2.

Brandolini, A. (2022), “Pandemia, recessione e distribuzione dei redditi”, Il Mulino, n. 4.

Curci, N., M. Savegnago, G. Zevi, R. Zizza (2022), “The redistributive effects of inflation: a microsimulation analysis for Italy”, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.

Note

1 Questa è una valutazione puramente “contabile”, perché non tiene conto di come le altre componenti dei redditi familiari si sarebbero modificate in assenza dell’intervento pubblico.

2L’indice di Gini è una misura di disuguaglianza che varia tra 0 e 1 (per valori positivi).

3 I redditi “equivalenti” sono valori opportunamente deflazionati per essere resi comparabili, in termini di tenore di vita, tra famiglie differenti per numerosità e composizione. I redditi sono espressi a prezzi costanti dividendoli per il deflatore della spesa per consumi finali delle famiglie residenti.

4 Per alcune valutazioni, si veda il recente studio di Curci e coautori.