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Il mercato del lavoro della Russia e la guerra di Ucraina

La guerra in Ucraina sta avendo pesanti conseguenze sul mercato del lavoro della Russia, aggravate della recente mobilitazione di 300mila riservisti e dall’emigrazione di svariate centinaia di migliaia di giovani, Riportiamo la preoccupata analisi di un affermato economista del lavoro, Direttore di un importante Istituto di ricerca moscovita, intervistato dal giornale economico-finanziario The Bell.

The Bell è un giornale moscovita specialista degli affari economici e finanziarie che, come altre pubblicazioni, ha deciso di non coprire la guerra di Ucraina per non incappare nelle sanzioni recentemente approvate dalla Duma. Riportiamo qui un estratto dell’intervista a Vladimir Gimpelson, un affermato economista del lavoro ben conosciuto internazionalmente, sulle conseguenze della guerra in corso sul mercato del lavoro russo, pubblicata lo scorso 5 ottobre1. Nelle ultime settimana hanno circolato stime non confermate di 700mila emigrati dall’avvio della “Operazione Speciale”, cifre debolmente smentite dal portavoce del Cremlino Peskov, mentre le nascite, nei primi 8 mesi del 2022 sono diminuite del 6% rispetto allo stesso periodo del 2021. La questione demografica, aggravata dalla guerra, desta serie preoccupazioni, cui Putin rivolge continua attenzione.  

Dalla fine di settembre, poco dopo la pesante sconfitta delle forze russe nella regione di Kharkiv, la Russia si sta mobilitando. Secondo le autorità, 300.000 “riservisti” devono essere arruolati nell’esercito, ma numerose testimonianze affermano che le cartoline-precetto vengono spesso consegnate anche a coloro che mai hanno tenuto le armi in mano nella loro vita. Ciò ha provocato il panico nella società: centinaia di migliaia di persone hanno lasciato urgentemente la Russia. Quali perdite costeranno all’economia russa? Che ne sarà della disoccupazione? Quali conseguenze a lungo termine dovranno affrontare i mobilitati? Lo abbiamo chiesto a Vladimir Gimpelson, direttore del Centro per gli studi sul lavoro presso la Scuola superiore di economia.

THE BELL – È impossibile stimare quante persone, alla fine, andranno in guerra. Ma se prendiamo le 300.000 persone menzionate dal Ministero della Difesa, cosa significherebbe la perdita di un tale numero di uomini di età compresa tra i 20 e i 55 anni per il mercato del lavoro russo?

GIMPELSON – Per rispondere a questa domanda, dobbiamo iniziare con i dati demografici. In alcune fasce d’età ci sono enormi vuoti, una eco sovrapposta di molti eventi drammatici dell’intero XX secolo – un’eco della rivoluzione, della Grande Guerra Patriottica [NdR la seconda guerra mondiale], del cambiamento del sistema nel 1990. Nella fascia di età 20-29 anni ci sono meno di 8 milioni di persone, un grande vuoto demografico [rispetto agli 11 milioni tra i 30 e i 39 anni] …. Cioè, l’età più produttiva risulta essere la più disastrata sotto il profilo numerico. E tutte le disgrazie si abbattono su di loro: dallo scorso febbraio alle morti in combattimento e alle invalidità di guerra, si aggiunge, l’emigrazione provocata dalla mobilitazione, . Non ci sono ancora cifre esatte su quante persone se ne sono andate, ma è chiaro che tra queste prevalgono gli uomini nelle età più produttive.
Questo è un grave shock per la demografia e per il mercato del lavoro del nostro paese.  Se prendiamo solo la cifra di 300 mila mobilitati, allora questa è una perdita di circa lo 0,5% di tutti gli occupati. Sembra non essere una cifra critica, ma se partiamo dalla premessa che la partecipazione di tutti gli occupati alla produzione del PIL durante tutto l’anno è approssimativamente la stessa, allora questo è un regresso dello 0,5% del PIL. Naturalmente, non sappiamo quanto questa guerra durerà. Ma il problema non è solo la mobilitazione degli uomini, ma anche quello della emigrazione di molti giovani, già avvenute prima della mobilitazione, nonché dello stato di estrema incertezza che tutti soffrono. Le persone smettono di lavorare, tutti sono inquieti nel pensiero di cosa possa succedere domani. E questo vale non solo per i mobilitati, ma anche per le loro famiglie, mogli e genitori. Tutto questo insieme crea un effetto negativo molto più forte del semplice ritiro temporaneo di 300 mila persone dalla normale vita economica. 

THE BELL – E se si procedesse alla mobilitazione di un maggior numero di persone? Ad esempio, il milione di cui hanno scritto i media? Dovremmo moltiplicare gli effetti negativi per tre?

GIMPELSON –  Sì, dobbiamo moltiplicare, ma con un coefficiente superiore a tre. Si considerino gli effetti sul sistema sanitario, più sono i mobilitati, maggiori sono le perdite, i feriti, i malati e se il sistema sanitario si occuperà di queste persone, non riuscirà ad occuparsi degli altri. Questo è ciò che abbiamo già visto durante la pandemia, quando la riallocazione delle risorse sanitarie per combattere il COVID ha portato a trascurare i malati oncologici e i cardiopatici.
Parlando di previsioni per il futuro, non è nemmeno necessario parlare dell’effetto della mobilitazione. Basti ricordare le previsioni demografiche pre-Covid di Rosstat [Ufficio Federale di Statistica] che hanno mostrato che entro l’inizio degli anni 2030 il numero di persone occupate nella fascia di età 20-39 anni dovrebbe diminuire di circa un quarto rispetto al 2017-2019. Questa è una colossale compressione della forza lavoro, lo shock più forte per l’economia. E non si tratta solo della sua semplice riduzione quantitativa, ma del fatto che si tratta della fascia di età che esprime la maggiore produttività.
Gli eventi di cui stiamo parlando riguardano questo gruppo più giovane, che si trova sul tratto crescente della curva di produttività. 

THE BELL – Cosa accadrà alla domanda di lavoro? Ora i datori di lavoro comprendono i rischi che i loro dipendenti maschi possano essere portati all’ufficio di reclutamento militare in qualsiasi momento. Assumeranno invece solo donne?

GIMPELSON – In primo luogo, mi aspetto una riduzione delle assunzioni. Questa è sempre la prima e più rapida reazione a una crisi. L’intensità dei licenziamenti sta crescendo molto più lentamente perché i lavoratori sono protetti in un modo o nell’altro, dalle leggi sul lavoro o dalle loro competenze. Ma per bloccare le assunzioni, rimuovendo tutti i posti vacanti, è questione di un minuto. Questo è esattamente ciò che è avvenuto nel 2020, quando nel secondo trimestre non solo ci sono stati più licenziamenti rispetto agli anni precedenti, ce ne sono stati meno. La contrazione dell’occupazione è stata proprio dovuta a una riduzione delle assunzioni.
In secondo luogo, se avessimo un numero enorme di donne disoccupate, i posti vacanti disponibili potrebbero essere coperti da loro. Tuttavia le donne hanno tassi di occupazione molto alti; inoltre, molti posti di lavoro disponibili sono prevalentemente maschili. Ad esempio, i tassisti. Certo, ci sono donne tassiste, ma sono assai poche. Ma se si pensa agli autisti di autocarri con cassone ribaltabile, ai gruisti, ai saldatori e così via, allora queste professioni possono diventare “femminili” solo in misura limitata.
Ma anche la domanda di lavoro è sotto attacco. Gli investimenti sono congelati, molte imprese sono distrutte. Molti imprenditori, manager, quadri, fuggono o vengono mobilitati, di conseguenza, molte aziende si trovano in una situazione difficile. E chi assumerà? Nessuno.

THE BELL – La scorsa settimana, le autorità hanno annunciato ufficialmente l'”annessione” di nuovi territori alla Russia. Secondo gli analisti di Renaissance Capital, questo potrebbe aggiungere circa 5 milioni di persone alla popolazione del paese – il 3% della sua popolazione. È possibile che queste persone possano compensare le perdite della popolazione dovute alla mobilitazione?

GIMPELSON – Certo che no. Innanzitutto, è importante capire che tipo di persone sono. Se si tratta di anziani e bambini che non potevano andarsene dalla zona di guerra, allora questa non è un’aggiunta, ma un onere aggiuntivo. Le aree che ora sono controllate dall’esercito russo sono state distrutte e ci vorranno molti soldi e enormi risorse umane per ripristinarle in qualche modo. Pertanto, questi territori non daranno una “aggiunta” alla forza lavoro del principale territorio russo, ma, al contrario, assorbiranno la forza lavoro da lì. Inoltre, le ostilità continuano in quelle regioni, quindi ci dobbiamo limitare a mere congetture.

THE BELL – E cosa accadrà al mercato del lavoro a lungo termine? Dopotutto, prima o poi le persone (purtroppo non tutte) che sono andate al fronte torneranno a casa, ma non tutte potranno tornare al loro lavoro. La disoccupazione aumenterà in questo caso?

GIMPELSON – Se parliamo di conseguenze a lungo termine, la disoccupazione è l’ultima cosa che preoccupa. Lasciamo da parte le perdite irreparabili. Ma vale la pena ricordare una conseguenza a lungo termine, come la perdita di salute. Qualcuno tornerà con ferite, qualcuno, lo sappiamo dall’esperienza di precedenti conflitti militari, con sindrome post-traumatica, il che significa un colpo molto forte alla psiche. Un’altra conseguenza a lungo termine è costituita dalla perdita di capitale umano per coloro che sono andati al fronte e coloro che sono rimasti. Perché alcuni perdono competenze, mentre altri non le riproducono e non investono nelle nuove. Perché il capitale umano si accumuli, ci devono essere investimenti in tecnologia e quindi investimenti nelle competenze che queste tecnologie servono. E in tali condizioni – quali investimenti? Quindi, nel lungo periodo, tutto ciò significa un calo della produttività e quindi una perdita di salari e redditi.
Si devono all’economista e premio Nobel Joshua Angrist una serie di contributi sui veterani della guerra del Vietnam. Secondo le sue stime, le perdite per i mobilitati in termini di reddito sono stimate a circa il 15% rispetto a coloro che non sono stati arruolati nell’esercito e inviati in Vietnam. La ragione di queste perdite è approssimativamente correlata a ciò di cui abbiamo parlato: salute minata, sindrome post-traumatica, perdita di competenze, perché le persone sono uscite dalla vita civile e dalle loro professioni per alcuni anni. E queste sono solo perdite individuali, perché più persone sono in questo tritacarne, maggiori sono le perdite totali.

THE BELL –  Le tendenze del mercato del lavoro di cui stiamo parlando possono influenzare significativamente il sostegno della società alle autorità e alle loro decisioni?

GIMPELSON –  Mi sembra che in questa situazione, l’atteggiamento della società nei confronti delle autorità non dipenda dal mercato del lavoro nel suo complesso. Dipende dalla percezione che si ha di ciò che sta accadendo. Dopo tutto, ci sono già sondaggi che mostrano un calo [della fiducia nelle autorità]

Note

1 L’intervista è stata riportata da Demoscope Weekly, Istituto di Demografia, Scuola Superiore “A. Vishnevsky”, nn. 961-962, 18-31 Ottobre 2022