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L’immigrazione nei programmi elettorali

Questione divisiva quanto mai altre, l’immigrazione è da qualche decennio al centro del dibattito politico italiano. Corrado Bonifazi e Salvatore Strozza esaminano come questa materia è affrontata nei programmi dei principali partiti.

L’immigrazione è al centro del dibattito politico italiano dagli anni Novanta del secolo scorso e in campagna elettorale le posizioni dei partiti tendono a radicalizzarsi, evidenziando gli elementi identitari che hanno un grosso peso su molte delle questioni legate alle migrazioni. Nel nostro esame sono stati considerati quattro temi specifici: la gestione dell’immigrazione regolare, i processi di integrazione, la normativa sulle acquisizioni di cittadinanza e il controllo dell’immigrazione irregolare. 

La gestione dell’immigrazione regolare

In un paese avviato lungo la china del declino demografico una normativa efficiente in tema di immigrazione regolare dovrebbe essere una necessità. Anche perché il volume degli ingressi regolari ha comunque riguardato 192 mila persone nel 2020 e quasi 265 mila nel 2019, cifre ben più consistenti di quelle degli sbarchi. Su questo aspetto il Centrodestra nel suo Accordo di programma punta su una “gestione ordinata dei flussi legali”; a questo Fratelli d’Italia (FdI) aggiunge l’utilizzo del Decreto flussi come strumento di cooperazione internazionale, come è del resto prassi da diversi anni. La Lega sottolinea la necessità di riaffermare i principi della Bossi-Fini, valutando un decreto flussi “che consentirà di avere solo una immigrazione di qualità, specializzata e stagionale”. Per Forza Italia (FI) vanno invece migliorate le vie legali per avere una immigrazione meglio regolamentata.

Interventi sui flussi regolari non sono previsti del programma del Movimento 5 Stelle (M5S), mentre il Partito Democratico (PD) punta a dar vita a un’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie che si occupi di tutti gli aspetti del fenomeno e coinvolga tutti gli attori istituzionali e non, attivi su questi temi. Altro punto previsto è l’abolizione della Bossi-Fini, con una nuova legge per la gestione dei flussi regolari e la “costruzione di una vera politica europea”. Il programma del Terzo Polo (TP) inserisce l’immigrazione nel quadro della crisi demografica italiana e prevede un insieme di interventi per governare i flussi. In particolare, si punta al contrasto dell’immigrazione clandestina per favorire quella regolare, attraverso accordi di cooperazione con i paesi d’origine e di transito, distinguendo tra migranti forzati (tutelati dagli accordi internazionali) ed economici e reintroducendo la figura dello sponsor. Inoltre, viene prevista una nuova procedura per l’asilo, con il superamento del trattato di Dublino e la distribuzione dei richiedenti asilo tra gli stati membri e l’istituzione di un Ministero per l’immigrazione.

L’integrazione degli immigrati

In un paese in cui risiedono oltre 6,5 milioni di persone di cittadinanza straniera (più di 5 milioni) o naturalizzate italiane (almeno 1,5 milioni), che corrispondono all’11% della popolazione, è evidente che i processi di integrazione acquistano una grossa rilevanza. Anche in questo caso il programma del Centrodestra e quello di FdI sono scarni, limitandosi alla generica indicazione di “favorire l’inclusione sociale e lavorativa degli immigrati regolari”. La Lega, invece, dedica alla questione una sezione del suo programma, con interventi in materia di sicurezza (rafforzamento delle azioni di polizia, maggior ricorso alle espulsioni, potenziamento dei servizi sociali e monitoraggio dell’integrazione), lavoro (estensione dei permessi in caso di disoccupazione, formazione professionale per le seconde generazioni), istruzione (diritto allo studio per i minori, ore aggiuntive per l’insegnamento dell’italiano), diritti delle donne (politiche attive per le donne musulmane della seconda generazione) e lotta alla radicalizzazione. Le maggiori preoccupazioni sono rivolte agli immigrati musulmani, in particolare a quelli arabi, e alle seconde generazioni. Un approccio che mette insieme interventi tipici delle politiche di integrazione e misure di ordine securitario con una caratterizzazione etnico-religiosa difficilmente giustificabile sul piano giuridico. Senza contare che nel caso della seconda generazione si è spesso in presenza di giovani divenuti ormai italiani, con il rischio di creare tra i cittadini una discriminante legata al background migratorio. Da notare che nella lotta alla radicalizzazione viene fatto riferimento al reclutamento “da parte di organizzazioni radicali di estrema sinistra e anarco-insurrezionaliste”, ma non si fa menzione ad analoghe organizzazioni di estrema destra e neo-fasciste.

Sul tema dell’integrazione il programma del M5S si limita a proporre il “rafforzamento delle politiche di inclusione e integrazione”. Quello del PD demanda la gestione delle politiche di integrazione alla costituenda Agenzia che dovrebbe operare in collaborazione con i soggetti attivi in questo campo. Per il TP, infine, le politiche di integrazione rappresentano una delle gambe dell’intervento in tema di immigrazione e dovrebbero prevedere corsi obbligatori di lingua per i neo-arrivati e la regolarizzazione degli irregolari con un lavoro.

La concessione della cittadinanza

All’inizio del 2020 i nuovi italiani maggiorenni erano poco meno di 1,24 milioni. Un numero che avrebbe potuto essere più ampio se la normativa fosse stata meno restrittiva: dieci anni di residenza ininterrotta per i cittadini dei paesi terzi e residenza continuativa fino alla maggiore età per i nati in Italia da genitori stranieri. La modifica in senso liberale della legge è da quasi un ventennio al centro del dibattito con forti contrapposizioni, confermate dai programmi. Le forze di centro-destra si oppongono fermamente alla riforma adottando due distinte strategie: trascurando completamente la questione nei loro programmi, come fanno FdI e FI; oppure esprimendo in modo netto la propria contrarietà come fa la Lega, che dichiara “Nessuna concessione verso il principio dello Ius Soli e declinazioni similari quali lo Ius Scholae, Ius Culturae o Ius Temperato”. Invece, le forze di centro-sinistra e il TP esprimono apertamente la necessità di ridurre per i figli degli immigrati stranieri i tempi necessari per diventare italiani attraverso l’introduzione dello ius scholae, cioè della possibilità di ottenere la cittadinanza dopo cinque anni di scuola per i nati nel paese e per quelli arrivati a meno di 12 anni. Si tratta di una riforma già proposta in passato che nell’ultima legislatura non ha potuto completare il suo iter parlamentare per la caduta del governo Draghi. 

Appare però emblematico come in nessuno dei programmi dei partiti che si contrappongono al centro-destra si faccia riferimento a una riforma che riguardi anche gli immigrati adulti, riducendo il numero di anni di residenza necessari per richiedere la naturalizzazione ordinaria. La forte contrapposizione tra Centrodestra e Centrosinistra si gioca tutta sui diritti di cittadinanza dei figli degli immigrati, una componente essenziale della società italiana su cui sarebbe stato auspicabile una maggiore convergenza.

L’immigrazione irregolare

In questi anni il volume degli sbarchi è stato di 67 mila unità nel 2021 e di 45 mila nella prima parte del 2022. Il contrasto all’immigrazione irregolare è l’aspetto centrale nel programma del Centrodestra, con nuovi Decreti sicurezza, la difesa dei confini nazionali ed europei con un patto per la migrazione e l’asilo, il controllo delle frontiere e il blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con i paesi del Nord Africa, i flussi irregolari. Viene inoltre prevista la creazione di hot-spot fuori dall’Europa, gestiti dalla UE per valutare le richieste d’asilo. Per FdI “l’immigrazione illegale minaccia la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini” e si dovrebbe procedere a un non meglio specificato “blocco navale”. Vengono inoltre previsti accordi della UE con stati terzi per la gestione dei rimpatri e il contrasto alle attività delle ONG che favoriscono l’immigrazione clandestina.

Il programma della Lega mette l’accento sui nuovi decreti sicurezza, con il restringimento delle forme di protezione e delle possibilità di conversione dei permessi, afferma la contrarietà a nuove sanatorie, punta al rafforzamento del Memorandum siglato nel 2017 dal Ministro Minniti, immagina pattugliamenti congiunti nelle acque territoriali libiche e tunisine in accordo con le rispettive autorità, nonché interventi sugli sbarchi e sulla gestione dell’accoglienza. Oltre alla difesa e alla sicurezza dei confini, FI pone invece l’accento sulla gestione dei flussi a livello europeo e su un piano, sempre della UE, di aiuti per l’Africa e per i paesi con conflitti in corso.

Il M5S auspica l’adozione di un meccanismo comunitario per la gestione dei flussi, le operazioni di primo intervento, l’accoglienza e la ridistribuzione dei migranti tra i paesi membri. Per il PD occorre sviluppare un nuovo modello di accoglienza basato su piccoli centri diffusi sul territorio, allargare i corridoi umanitari, superare il Regolamento di Dublino e costruire “una vera politica europea su migrazione e accoglienza”. Vanno escluse le politiche di respingimento e i blocchi navali, secondo il principio che “chi è in pericolo in mare va salvato e soccorso sempre”. Anche per il TP va superato il trattato di Dublino e creato un sistema europeo di asilo, aumentati i corridoi umanitari e garantito il salvataggio in mare coordinato e finanziato dall’UE. 

Tirando le somme 

I programmi elettorali delineano visioni diverse dell’immigrazione e del suo ruolo all’interno della società italiana. Per il Centrodestra l’immigrazione è un’emergenza che va gestita soprattutto come un problema di sicurezza, per evitare che i flussi irregolari contribuiscano al degrado del paese. Il PD e il TP partono, invece, da una lettura complessiva del fenomeno e propongono interventi su diversi aspetti del fenomeno. Le differenze di impostazione tra il Centrodestra, da un lato, e PD e TP, dall’altro, appaiono in effetti abbastanza nette. Nel primo caso, ad esempio, la gestione dell’immigrazione regolare va sostanzialmente lasciata agli strumenti attuali, nonostante gli evidenti limiti della normativa, e risulta subordinata al controllo dell’immigrazione irregolare; PD e TP propongono invece un adeguamento delle politiche, con un’ampia revisione degli strumenti di intervento e la creazione di apposite strutture amministrative di gestione del fenomeno. Parziali le proposte del M5S, anche se nell’insieme si avvicinano a quelle del PD e del TP. 

Anche in tema di integrazione il Centrodestra si limita a indicazioni molto generali e quando, come fa la Lega, vengono proposti interventi più specifici emerge anche sotto questo aspetto una linea securitaria che solleva diversi dubbi per la potenziale discriminazione etnica e religiosa. Relativamente alla normativa sulla cittadinanza le differenze appaiono nette tra i partiti del Centrodestra e il resto delle forze politiche considerate. I primi sono contrari a una riforma in senso liberale dell’attuale normativa che difendono strenuamente nonostante sia ormai vecchia di oltre trent’anni. I secondi sono compatti nel richiedere una modifica che riduca i tempi di accesso alla cittadinanza italiana ai figli degli immigrati stranieri nati sul territorio nazionale o arrivati prima dei 12 anni, attraverso lo ius scholae. Nessuno spazio è invece previsto per una riforma che riduca i tempi d’attesa per gli immigrati adulti dei paesi terzi.

Per quanto riguarda il controllo dei flussi irregolari, tutti puntano a un intervento europeo, anche se declinato con modalità diverse. Stranamente nessuno dei 4 programmi del Centrodestra fa esplicita menzione del regolamento di Dublino, che pure è lo strumento giuridico che scarica sull’Italia e gli altri stati di primo ingresso tutto l’onere dei cittadini di paesi terzi entrati irregolarmente nell’UE. Il Centrodestra punterebbe a una politica europea di blocco degli sbarchi attraverso accordi con i paesi di transito, la creazione di hot-spot fuori dei confini e uno stretto controllo delle attività delle ONG. Le altre forze politiche, con diverse sfumature e accenti, mirerebbero invece a un superamento del regolamento di Dublino e a una politica europea di gestione del fenomeno che garantisca sempre i salvataggi in mare. In entrambi i casi si tratta di linee di intervento da costruire in sede europea e il cui raggiungimento non è scontato; nel primo però si aggiungono le difficoltà determinate dalla mancanza di un interlocutore affidabile in Libia e quelle legate a un controllo degli sbarchi che non appare di semplice realizzazione né sul piano politico né su quello pratico.