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La longevità degli italiani: primi segnali della ripresa di un percorso favorevole

Il Covid è stato solo una parentesi, per quanto fortemente negativa, nel miglioramento continuo della longevità italiana degli ultimi decenni? L’analisi dell’evoluzione della speranza di vita e della distribuzione per età alla morte dal 2019 al 2021 realizzata da Margherita Moretti, Viviana Egidi e Graziella Caselli sembra indicare che la grave crisi di mortalità sia destinata ad essere superata senza gravi conseguenze sulla longevità futura.

Ancora oggi l’epidemia di Covid-19 che ha segnato l’Italia così pesantemente nell’ultimo biennio non è ancora superata. Il numero di contagiati è tuttora molto elevato e i decessi imputabili alla malattia – seppure a livelli nettamente più bassi degli anni precedenti – non accennano a essere definitivamente debellati. La vita sociale ha ripreso da poco ritmi e modalità quasi normali, non più condizionati dalle stringenti misure di prevenzione. Si può iniziare a guardare al futuro per domandarsi quali prospettive si aprano alla sopravvivenza del nostro paese, tra i più colpiti dalla pandemia. È possibile che quella che stiamo vivendo, sia solo una parentesi in una storia evolutiva che – se si escludono gli anni delle due grandi guerre – non ha conosciuto inversioni di tendenza? Una parentesi che, per quanto fortemente negativa, sia destinata a essere riassorbita rapidamente per tornare a sperimentare i miglioramenti continui ai quali eravamo abituati in passato?

Perdite e recuperi, contrazione e dispersione

Considerata l’eterogeneità territoriale con la quale il virus si è diffuso nel paese, è opportuno indagare gli esiti della pandemia nelle diverse aree geografiche, da quelle più colpite a quelle relativamente risparmiate nella prima ondata epidemica.

Il campo di indagine può essere ristretto ad alcune regioni rappresentative di comportamenti territoriali diversi: Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia per il nord, Lazio e Umbria, per il centro, e Puglia, Campania e Sardegna, per il Mezzogiorno. È interessante considerare anche la provincia di Bergamo dove l’impatto iniziale del Covid-19 è stato elevatissimo e i suoi effetti sulla durata della vita ricordano quelli prodotti da altre gravi epidemie della storia. I confronti sono condotti facendo riferimento alle tavole di mortalità dell’Istat degli anni 2019 e 2020 e alle prime stime pubblicate per l’anno 2021.

Un primo risultato che accomuna l’Italia e le regioni considerate è un maggiore impatto della mortalità sulla speranza di vita degli uomini rispetto alle donne (tabella 1): nel 2020 rispetto al 2019 gli uomini perdono più di un anno di durata media di vita (1,27 anni) mentre per le donne la riduzione è inferiore all’anno (0,89 anni). In Veneto e in Friuli-Venezia Giulia la riduzione è per entrambi i generi inferiore alla media italiana, mentre in Lombardia, arriva a 2,5 anni per gli uomini e a 1,9 anni per le donne. Bergamo accusa perdite eccezionali, con una diminuzione della durata della vita degli uomini di oltre 4 anni e delle donne di oltre 3 anni che l’ha fatta retrocedere ai livelli del decennio precedente. Molto limitato, per contro, l’impatto della malattia per le donne del Lazio, dell’Umbria e della Campania, dove nel primo anno di pandemia la riduzione della durata della vita rispetto al 2019 è inferiore a mezzo anno. Anche per gli uomini, nelle regioni del centro e del Mezzogiorno la riduzione è meno importante e inferiore alla media italiana. Fanno eccezione solo la Puglia e la Campania dove la sopravvivenza media si contrae di un anno. 

Un’altra conseguenza determinata dall’impatto dell’epidemia si è avuta sulla dispersione dell’età alla morte, al netto della struttura per età della popolazione, che ha accompagnato l’andamento della durata della vita, con differenziali territoriali del tutto simili. Le caratteristiche per età della mortalità provocata dal Covid-19, molto concentrata nelle età avanzate, ha provocato ovunque una riduzione della variabilità delle età alla morte, maggiore per gli uomini rispetto alle donne. L’impatto per la media italiana è piuttosto contenuto (la standard deviation dell’età al decesso della tavola di mortalità passa da 12,4 anni a 12,1 anni per le donne e da 13,6 anni a 13,3 anni per gli uomini) ma è ben più consistente laddove l’epidemia ha prodotto più vittime (per gli uomini di Bergamo diminuisce di oltre un anno). Altrove le modificazioni della variabilità sono molto contenute (Fig. 1).

2021. Arrivano i vaccini

Nel 2021, quando è stato finalmente possibile contrastare la letalità del virus con l’immunizzazione della popolazione – e soprattutto di quella più anziana e vulnerabile – inizia il recupero degli anni di vita e della variabilità delle età alla morte nelle aree precedentemente più colpite. Nella media italiana, donne e uomini recuperano 3-4 mesi di durata di vita e la variabilità aumenta di circa 2 mesi per entrambi, ma in Lombardia le donne recuperano quasi un anno e mezzo e gli uomini quasi due anni (Tab.1) e la variabilità torna a valori solo di poco inferiori a quelli ante-pandemia. La provincia di Bergamo è protagonista di un eccezionale recupero: donne e uomini nel 2021 recuperano quasi lo stesso numero di anni che avevano perso nel 2020 e la curva dei decessi torna a sovrapporsi a quella del 2019 (Fig.1). Nel resto del paese, e soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, raggiunte più tardivamente dall’epidemia, la mortalità nel 2021 continua ad aumentare, sebbene l’incremento lasci praticamente inalterata la variabilità delle età alla morte. La sola eccezione in quest’area è rappresentata dalla Sardegna che nel 2021 sperimenta una riduzione della mortalità, recuperando per le donne più della media italiana in termini di durata della vita.

Un bilancio complessivo dei due anni di pandemia

Confrontando le prime stime della sopravvivenza del 2021 a quella del 2019 si evidenziano valori della durata della vita ancora inferiori a quelli precedenti l’epidemia ma con perdite che, per il complesso del paese, sono nettamente più contenute di quelle che hanno segnato il 2020 e pari a 0,67 anni per le donne e 0,93 anni per gli uomini. Nonostante il pessimo inizio, Lombardia e Veneto passano tra le regioni meno colpite rispetto alla media italiana, accanto regioni come il Lazio – o la Toscana -, dove il virus ha avuto un impatto più contenuto anche nell’anno precedente.  Con la sola eccezione della Sardegna, le regioni del Mezzogiorno, al contrario, risultano più penalizzate con riduzioni della durata della vita complessivamente superiori a un anno per gli uomini (la Puglia supera l’anno e mezzo) e uguali a un anno per le donne (Tab. 1). Se si escludono la Valle d’Aosta e il Molise, i cui valori possono risentire della scarsa numerosità della popolazione, le donne e gli uomini del Friuli-Venezia Giulia sono quelli che complessivamente, nei due anni di pandemia, hanno subito la più importante riduzione della durata della vita: 1,05 anni e 1,63 anni rispettivamente. Un minor numero di persone vaccinate – o un ritardo nella vaccinazione con ciclo completo – potrebbe aver influito su questo risultato. Per tutte le regioni, in particolare per gli uomini, permangono lievi anomalie nella distribuzione per età dei decessi e valori tuttora ridotti della variabilità delle età alla morte, più accentuate in alcune regioni sia del Mezzogiorno (Puglia), sia del nord (Friuli-Venezia Giulia) (Fig.1).

Prime valutazioni in corso di epidemia

La prima ipotesi del rapido recupero nelle aree del paese più colpite dall’epidemia è che questo sia effetto della selezione provocata dalla forte ondata di mortalità del 2020 che, eliminando precocemente gli individui più fragili, avrebbe modificato sostanzialmente la composizione per condizione di salute degli anziani nel 2021. Un’ipotesi che sembrerebbe confermata anche dalle modificazioni della struttura per età dei decessi (Fig.1). È anche vero, tuttavia, che la malattia provocata da questo virus produce conseguenze non trascurabili che rischiano di condizionare negativamente la salute e il rischio di morte dei guariti negli anni a venire. Altri elementi sembrano offrire maggiori garanzie per l’evoluzione della sopravvivenza futura. Da un lato, l’introduzione della vaccinazione si è dimostrata un potente strumento di prevenzione, se non del contagio, sicuramente della letalità della malattia. Dall’altro, le misure di distanziamento sociale hanno permesso di incidere positivamente sulla probabilità di contagio. Le diverse dinamiche sperimentate dalle regioni nel 2021 possono essere lette anche in quest’ottica: le regioni che erano state messe a più dura prova dalle prime ondate pandemiche si sono dimostrate in grado di mobilitare il loro Sistema sanitario regionale e di adottare le misure più efficaci di contrasto al virus. Contemporaneamente, le popolazioni di queste regioni, turbate e rese maggiormente consapevoli dei rischi dal confronto con il repentino aumento della mortalità subita nel 2020, hanno adottato comportamenti più prudenti (anche con una maggiore adesione alla campagna di vaccinazione).  Il caso del Friuli-Venezia Giulia sembra supportare questa ipotesi poiché è la sola regione del nord dove la mortalità degli uomini e delle donne continua ad aumentare anche nel 2021. Non è forse azzardato accostare questo andamento al fatto che, se si esclude la Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano, è questa la regione settentrionale dove la percentuale di vaccinati è più bassa, in particolare di quelli con ciclo completo (GIMBE/Ministero della Salute; dati online), e dove, in particolare a Trieste, si sono succedute durante tutto il corso dell’anno numerose manifestazioni contro le misure di prevenzione (green pass e vaccinazione) con partecipanti provenienti da tutto il paese che sono state occasione di ricorrenti focolai epidemici.  Tra i fattori che hanno concorso a rendere la situazione del secondo e, attualmente, del terzo anno di pandemia non va neppure trascurato il fatto che le nuove varianti del virus sono più contagiose ma meno letali di quelle che hanno segnato il 2020, come in un progressivo processo di adattamento all’ospite umano.

In definitiva, tutti gli elementi considerati sembrano indicare in modo concorde che, se nel corso dei prossimi mesi l’evoluzione della pandemia continuerà sul percorso seguito fin qui, la grave crisi di mortalità che ha investito l’Italia e le sue regioni in questi ultimi anni è destinata ad essere superata senza gravi conseguenze sulla longevità futura della popolazione riproponendo, in scala molto più ridotta in termini di intensità e di struttura per età alla morte, ma di durata molto simile, l’esperienza della grande epidemia di Spagnola che contrassegnò la storia sanitaria italiana negli anni del primo conflitto mondiale.

Per saperne di più

Caselli G., Egidi V. (2021). La pandemia che elimina i più anziani. Longevità in discussione? Neodemos, 9 Aprile.

Caselli G., Egidi V., Strozza C. (2021). L’Italia longeva. Dinamiche e diseguaglianze della sopravvivenza a cavallo di due secoli, Bologna, Il Mulino, Saggi, p. 178.