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Gian Carlo Blangiardo – Due anni in trincea. La pandemia e la società italiana

Il primo e più evidente effetto demografico di Covid-19 si ricava dal dato sulla consistenza numerica della popolazione: in ventidue mesi, tra il 1° marzo del 2020 e il 31 dicembre del 2021, mancano all’appello in Italia 606 mila residenti. Per ritrovare qualcosa di simile occorre tornare indietro di oltre un secolo: al bilancio demografico di quel drammatico 1918 caratterizzato da ben 1.324.000 morti (su 37 milioni di abitanti), circa metà dei quali attribuiti proprio alla pandemia passata alla storia come “la spagnola”. 

Ma se si può correttamente sottolineare come anche in questa circostanza il ruolo della mortalità sia stato determinante nel provocare il calo della popolazione – gli oltre 700mila decessi annui sia nel 2020 che nel 2021 non hanno infatti precedenti nelle statistiche del secondo dopoguerra – non vanno però sottovalutati gli altri importanti fattori che hanno agito, anche direttamente, nel segnare il cambiamento demografico durante la fase acuta della pandemia e che, verosimilmente, lasceranno un segno anche nei futuri sviluppi della popolazione italiana nei prossimi decenni.

Innanzitutto va messo in luce il significativo impatto della pandemia sul fronte della natalità. 

D’altra parte non è sorprendente scoprire che “nove mesi dopo” la grande paura dettata dalla novità inattesa, si siano osservate le conseguenze dei molti concepimenti “sospesi” in attesa di tempi migliori. Un comportamento, questo, che si è sviluppato con una cadenza che ha ben seguito, a distanza fisiologica, le fasi dettate dalla “prima ondata”, dalla “illusoria stasi di primavera-estate”, così come dalla più diffusa, e altrettanto impetuosa, “seconda ondata”. Si è così assistito a un “effetto shock da Covid-19” sulla frequenza di nascite che richiama alla mente l’analogo crollo nove mesi dopo la nube tossica di Chernobyl che comparve a maggio 1986 – per altro rientrato in tempi brevi – o finanche induce a ricordare la ben più remota variazione di nascite osservata nel 1941, riconducibile al calo dei concepimenti appena dopo l’entrata in guerra nel giugno del 1940. 

La conseguenza di tutto ciò è stata quella di stabilire nel 2020 (con 405 mila nascite) il nuovo record della più bassa natalità di sempre, e di procedere a un suo ritocco al ribasso, nel corso del 2021, con il passaggio sotto la soglia simbolica del 400 mila nati annui (399mila secondo le più recenti risultanze). 

A completamento del quadro resta solo da verificare se i segnali in controtendenza che emergono dai dati sulle nascite nel bimestre novembre-dicembre 2021, prossimi ai corrispondenti valori pre-pandemici (e largamente superiori al dato del 2020), stiano ad indicare la fine/attenuazione del trend regressivo. Una dinamica che ha certamente risentito anche del pesante crollo dei matrimoni accertato nel 2020 (-47,4%), di cui nel 2021 si è avuto un recupero solo parziale: nei primi nove mesi siamo infatti ancora a un livello inferiore del 5,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. 

In ogni caso, nulla vieta di sperare che la confortante dinamica delle nascite di fine 2021 vada oltre alcuni attesi recuperi dei progetti di maternità – alquanto verosimili per le donne meno giovani – e sia invece il segnale dell’attivazione, anche grazie ad alcune interessanti misure messe in campo recentemente, di una vera e propria inversione di tendenza.

Un altro campo che ha subito pesanti contraccolpi a seguito della pandemia e che attualmente mostra ancora solo deboli segnali di ripresa è quello della mobilità territoriale, entro e fuori i confini nazionali. 

Dopo il blocco nel corso del 2020, allorché durante la prima ondata i movimenti tra comuni hanno subito un calo nell’ordine di un terzo e quelli da e verso l’estero si sono ancor più ridimensionati, durante il 2021 i movimenti di popolazione hanno parzialmente ripreso vitalità. Gli spostamenti tra comuni segnano nel complesso dell’anno un +5,9% rispetto al 2020 e un +3,9% sulla media 2015-2019. In particolare, durante la seconda ondata dell’epidemia (gennaio-maggio) i movimenti sono stati più contenuti, a causa delle limitazioni alla mobilità tra regioni, mentre durante la fase di transizione (giugno-settembre) si è avuta una ripresa e nel corso dell’ultimo trimestre la mobilità è tornata ad essere più contenuta. 

Rispetto ai movimenti migratori internazionali le ripercussioni della pandemia sono state molto più rilevanti. Nonostante nel 2021 il saldo migratorio con l’estero abbia mostrato segnali di ripresa (+156 mila, quasi il 79% in più rispetto al 2020), i movimenti migratori internazionali sono rimasti largamente al di sotto della media 2015-2019. Le iscrizioni dall’estero sono crollate nei primi cinque mesi dell’anno rispetto alla media dello stesso periodo per gli anni 2015-2019 (-17,7%), per poi recuperare lievemente terreno, pur restando sempre al di sotto della media del quinquennio pre-Covid. 

In conclusione, si può dire che quasi due anni di pandemia ci consegnano in Paese che ha visto indebolirsi una demografia era già di per sé debole. Il forte calo della popolazione italiana, certamente sospinto da un pesante eccesso di mortalità – che ha persino superato il prezzo di vite umane pagato nel corso del secondo conflitto mondiale -riflette anche un accrescimento di quella perdita di vitalità e di attrattività che già ci caratterizzava in epoca pre-pandemica. 

E se si può sostenere legittimamente che Covid-19 non abbia arrestato – bensì solo attenuato – il processo di invecchiamento demografico, è indubbio che la pandemia ha accentuato la fragilità della condizione giovanile nel nostro Paese, ha significativamente frenato le scelte di autonomia e di costituzione delle unità familiari e ne ha rallentato lo sviluppo.