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Occupazione al 2030 e mutamenti demografici nel Centro e Nord Italia

Come sarebbe il mondo del lavoro del Centro-Nord Italia fra dieci anni, se improvvisamente le migrazioni si azzerassero e i tassi di occupazione rimanessero costanti per sesso ed età? Come ci spiegano Gianpiero Dalla Zuanna e Chiara Gargiulo, vi sarebbe una drammatica carenza di manodopera, mentre sia i colletti blu che i colletti bianchi invecchierebbero fortemente. È da questi numeri che bisognerebbe partire per stimare il fabbisogno di immigrati dall’estero dei prossimi anni. 

Un fabbisogno da svelare

La legge Bossi Fini del 2002 chiede che alla fine di ogni anno il Governo emani un decreto flussi, fissando il numero di immigrati cui permettere di entrare nel nostro paese nell’anno successivo. Il numero viene fissato con criteri non definiti a priori, su suggerimento del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio istituito dalla stessa legge.  Nel difficile tentativo di determinare un numero “ottimale” annuale di immigrati, abbiamo provato a fare un primo passo, isolando i soli fattori demografici. I numeri che illustreremo non definiscono quindi il fabbisogno reale, perché molte altre cose possono cambiare, oltre e assieme alla demografia. Tuttavia, è da qui che si deve partire per arrivare a numeri dotati di qualche senso. Molti aspetti dell’evoluzione demografica della popolazione lavorativa sono definibili con un alto grado di certezza, almeno per il prossimo decennio.

Le nostre stime riguardano il Centro-Nord Italia, dove il mercato del lavoro è dinamico e la popolazione straniera supera il 10% del totale. La stima proietta il fabbisogno dal 2012-20 al 2022-30. La fonte è la Rilevazione Continua Istat delle Forze di Lavoro, che ha almeno tre pregi: fornisce risultati tempestivi (pochi mesi dopo la rilevazione), ha numerosità elevate (annualmente viene intervistata l’1% della popolazione residente in Italia) e rileva il lavoro in modo dettagliato.

Supponiamo che il mercato del lavoro sia “cristallizzato”, ossia che la percentuale di occupati per ogni categoria frutto degli incroci fra le variabili sesso, cittadinanza e titolo di studio resti la stessa nei prossimi anni, per ogni classe di età quinquennale, che non ci siano migrazioni né cambi di cittadinanza, Questa ipotesi non è ovviamente verosimili. Tuttavia, lavorando in questo modo, per ogni categoria considerata possiamo isolare l’effetto di trasformazioni demografiche che si verificheranno in ogni caso, ossia il progressivo invecchiamento delle generazioni: perché fra dieci anni gran parte dei lavoratori di 15-64 anni sarà costituita da chi oggi ha 5-54 anni. 

Accettando queste ipotesi, calcoliamo quindi, per ogni incrocio fra sesso, età, titolo di studio e cittadinanza, il numero medio annuo di occupati che ci saranno al 2022-30 nel Centro-Nord Italia, e confrontiamolo con il numero effettivo al 2012-20 (tabella 1 ).

Il drastico calo dei giovani lavoratori italiani poco istruiti

Per il solo effetto dei mutamenti demografici (nell’ipotesi di migrazioni e mortalità nulla e di nessun cambio di cittadinanza) e se la proporzione di occupati in ogni categoria qui considerata resterà stabile, fra il 2012-20 e il 2022-30 nel Centro-Nord “spariranno” un milione e duecentomila occupati di 15-64 anni. Le nuove generazioni di occupati non riusciranno a colmare il vuoto occupazionale lasciato dai nuovi pensionati. 

Gli occupati non diminuiranno in tutte le classi di età: ciò accadrà per i lavoratori under 50, mentre il numero degli occupati maturi aumenterà. Ciò dipende dall’invecchiamento delle coorti dei figli del baby boom, nati tra il 1950 e il 1970 che nel 2022-30 avranno tutti più di 50 anni, e dal contemporaneo affacciarsi al mondo del lavoro dei figli del calo delle nascite, nati dopo il 1970. 

Non per tutte le categorie qui considerate la demografia induce una diminuzione degli occupati. Il bilancio è fortemente negativo per i lavoratori con basso titolo, specialmente quelli fra i 30 e 55 anni. Fra le persone con alto titolo, invece, il bilancio positivo è frutto della combinazione fra un deficit in età 35-44 e un surplus per le età successive (figura 2). Quindi, per il solo effetto dei mutamenti demografici, verranno a mancare centinaia di migliaia di giovani lavoratori con basso titolo di studio, mentre quelli con alto titolo saranno più numerosi, ma invecchiati. Fra i diplomati e laureati, per tutto il prossimo decennio i lavoratori maturi continueranno a “fare da tappo” per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro. La figura 1 aiuta a spiegare come mai nel Centro-Nord Italia da parecchi anni coesistono immigrazioni di personale non qualificato ed emigrazione di giovani con elevato titolo di studio.

L’invecchiamento della forza di lavoro, nell’ipotesi di mortalità e migrazioni zero e di costanza di cittadinanza, si osserva sia per gli italiani che per gli stranieri. In maniera simile a quanto mostrato già per il titolo di studio, si osservano differenze negative per entrambi i gruppi nelle classi centrali di età, differenze positive nelle ultime classi. Tuttavia, solo per gli stranieri l’incremento dei lavoratori maturi è in grado di compensare il deficit dei giovani. Gli occupati italiani, nel giro di un decennio, diminuiscono di più di un milione e trecentomila unità.

Considerando simultaneamente la cittadinanza e il titolo di studio per gli occupati con titolo basso, si osserva come il calo riguardi solo i cittadini italiani. Per gli stranieri con un titolo basso, infatti, gli occupati restano abbastanza stabili o addirittura in leggero aumento (Figura 2). Anche gli occupati stranieri con titolo basso, tuttavia, invecchiano sensibilmente.

Tra gli italiani con titolo di studio basso gli uomini diminuiscono in numero fino ai 55 anni mentre aumentano solo nelle ultimissime classi di età, mentre le donne diminuiscono in tutte le età. Ciò accade perché per le coorti più recenti le donne conseguono titoli di studio più elevati rispetto agli uomini. Anche tra gli stranieri con un titolo di studio basso si osserva un calo di occupati tra i 20 ed i 39 anni, simile per uomini e donne, ma per gli over 40 l’aumento è sufficientemente forte da colmare queste perdite.

Immigrazioni necessarie

Riassumendo, se nel Centro-Nord Italia il mondo del lavoro del 2022-30 fosse identico a quello del 2012-20, per effetto dei soli mutamenti demografici gli occupati diminuirebbero di un milione e 200 mila unità. Questo valore sarebbe il saldo fra un calo di un milione e 600 mila lavoratori con basso titolo di studio e l’incremento di 400 mila lavoratori con alto titolo. Contemporaneamente, sia la platea dei lavoratori più istruiti sia quella dei meno istruiti sarebbe fortemente invecchiata. Particolarmente rapida sarebbe la diminuzione dei lavoratori poco istruiti italiani under 50, che nel giro di appena un decennio quasi si dimezzerebbero, passando da tre milioni a un milione e 600 mila. 

Questo esercizio non produce previsioni, perché nei prossimi dieci anni – anche supponendo l’assenza di movimenti migratori – molto altro potrebbe cambiare, nel mondo del lavoro. Potrebbe diminuire la disoccupazione e potrebbe aumentare la proporzione di donne occupate. E forse molti italiani diplomati e laureati si metteranno in gioco per lavori manuali. È anche possibile immaginare un progressivo incremento della richiesta di professioni qualificate, con un parallelo decremento delle mansioni generiche. Già oggi, ad esempio, in edilizia si lamenta una carenza di manodopera qualificata piuttosto che generica (piastrellisti, idraulici, elettricisti specializzati piuttosto che manovali).

Tuttavia, è difficile immaginare che lo shock determinato da un tale calo di giovani lavoratori con basso titolo di studio possa essere realisticamente affrontato senza un robusto ricorso alle immigrazioni dall’estero. Se – come tutti speriamo – la ripresa economica continuerà nei prossimi anni, la richiesta di manodopera (nel senso di gente disposta a lavorare con le mani) dovrà necessariamente portare il Governo e la società italiana ad aprire le porte a nuovi lavoratori – e in prospettiva a nuovi cittadini – che vengono da lontano.

 Per saperne di più

Per un’analisi più dettagliata si veda il rapporto pubblicato dall’Istituto Cattaneo di Bologna: