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Un mondo in pezzi

Frontiere chiuse, viaggi soppressi, muri più lunghi, sono conseguenze della circolazione del coronavirus e di una rinnovata avversione alle migrazioni. Come nota Massimo Livi Bacci, il mondo si frammenta, ma le dinamiche dell’antropocene si fronteggiano solo su scala planetaria. 

Il 2022 è iniziato con scenari paradossali. Il mondo disegnato da millenni di storia, con le sue partizioni politiche e geografiche, in nazioni e continenti, non serve più di fronte a fenomeni nuovi o che, in gestazione da tempo, emergono con inattesa forza. Non si tratta di guerre, di crisi economiche, di conflitti politici, ma delle dinamiche dell’antropocene, percepita (a torto) immobile, ma che invece è profondamente dinamica. L’emissione crescente di gas serra e il riscaldamento globale sottopongono il pianeta a nuove tensioni che non conoscono né barriere né confini. Analogamente, l’emersione di un nuovo virus molto attivo e molto mutevole, diffuso rapidamente in tutto il mondo incurante delle chiusure e degli ostacoli, ha sconvolto i normali ritmi della società umana. L’azione per frenare questi due fenomeni non può che essere collettiva e unitaria, ma il mondo stenta a trovare le intese politiche necessarie per agire ordinatamente nei confronti dell’insorgere di una pandemia.

Pandemia e migrazioni, il bilancio dell’OCSE

 Nel 2020 e nel 2021, il diffondersi del coronavirus ha avuto effetti importanti sulla mobilità umana, sia di breve che di medio o di lungo raggio. Oggi, come migliaia di anni fa, la via principale per combattere la pandemia è quella di rallentarne la diffusione, separando e isolando le persone e limitandone i movimenti – da quelli di prossimità a quelli intercontinentali. La rassegna annuale dell’OCSE da poco pubblicata dà conto del rallentamento dei flussi avvenuto nei principali paesi nel 2020. Nell’insieme dei paesi OCSE (per lo più paesi sviluppati) i flussi “permanenti” sono scesi da 5,2 milioni nel 2019 a 3,7 milioni nel 2021 (-30%), il numero più basso dal 2003. La flessione maggiore si è avuta per i migranti per riunificazioni familiari; ma anche le altre componenti – lavoro, migrazioni libere, migrazioni per studio, sono fortemente diminuite. Tra i maggiori paesi d’immigrazione, gli Stati Uniti hanno ricevuto un numero di migranti inferiore del 41% a quello del 2019; diminuzioni inferiori ma notevoli, hanno avuto la Spagna (-38%), l’Italia (-35%), il Regno Unito (-30%), la Germania (-26%) e la Francia (-21%). L’Ocse segnala anche che le migrazioni tra paesi, all’interno della UE, hanno avuto una compressione sensibilmente inferiore alla media. Quasi ovunque, le restrizioni messe in atto nel 2020 hanno fortemente tagliato le varie forme di migrazioni temporanee, ad eccezione di quelle per lavori in agricoltura che hanno avuto una modesta compressione, e addirittura un aumento negli Stati Uniti. Infine, le restrizioni alla mobilità hanno riguardato anche le richieste di asilo, che nel complesso dei paesi OCSE sono diminuite del 31% rispetto al 2019. Il quadro per il 2021 appare ancora assai incerto, seppure con spunti di ripresa della mobilità internazionale; esso appare però dominato dalle restrizioni che dopo mesi di graduali aperture ai movimenti internazionali sono andate rafforzandosi negli ultimi mesi dell’anno. 

Confini e barriere, la facile corsa a ostacoli del coronavirus

Dal febbraio del 2020, quando il virus ha iniziato la sua diffusione mondiale, si sono messe in atto misure restrittive della mobilità di ogni tipo: chiusura dei confini, arresto dei voli internazionali, restrizioni all’entrata e all’uscita, sospensione dei visti, quarantene, test all’entrata o all’uscita. Durante la prima ondata, quando, da marzo a maggio, gran parte dei paesi hanno messo in atto severi lockdown, il numero dei passeggeri dei voli internazionali è sceso del 90% rispetto all’anno precedente. La Figura 1, tratta dalla base dati dell’IOM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), riporta l’andamento delle restrizioni agli spostamenti sia internazionali che interni, dal gennaio 2020 al giugno del 2021. Per quanto riguarda gli spostamenti internazionali, nessun paese è praticamente esente da restrizioni a partire dall’aprile del 2020; quasi tutti i paesi, dal giugno 2020, hanno imposto screening all’entrata nel paese e circa due terzi di questi impongono quarantene; una buona metà dei paesi, nell’ultimo anno, hanno in atto esclusioni per gli arrivi da qualche paese o regione del mondo; sono qualche decina i paesi praticamente chiusi all’entrata. L’andamento tuttavia è stato assai più complicato di quanto appaia dai grafici, perché i paesi hanno cambiato nel tempo il mix dei criteri restrittivi, spesso con scarsissimo preavviso, con ricadute fortemente negative sui passeggeri. Nella parte bassa della Figura 1 è riportata la distribuzione dei vari criteri restrittivi imposti ai movimenti interni: è comunque rilevante notare che provvedimenti di questo tipo sono stati messi in atto da circa la metà dei paesi. La situazione non è granché cambiata negli ultimi mesi del 2021, ma l’avvento della nuova variante “omicron” ha dato, purtroppo, una nuova spinta alle misure restrittive.

Muri più lunghi e più alti

Il 2021 ha visto concretarsi un forte impulso alla frammentazione del mondo, con la costruzione di muri e barriere di ogni tipo, per lo più per impedire l’afflusso di migranti irregolari e di profughi, spesso con la giustificazione della necessità di impedire il contrabbando e il traffico di esseri umani. La Figura 2 offre un quadro stilizzato delle chiusure – con muri e barriere – dei confini di stato, che mostrano l’alto grado di frammentazione del pianeta. Un aggiornato lavoro pone a 63 i muri di confine costruiti nel mondo tra il 1968 e il 2018, altri se ne sono aggiunti negli ultimi tre anni. Muri e barriere separano anche paesi all’interno della Unione Europea: tra Austria e Slovenia, tra Slovenia e Croazia, tra Ungheria Croazia, oltre al breve muro paradossalmente costruito dal Regno Unito a Calais in Francia. Le frontiere terrestri esterne della UE stanno ovunque rafforzandosi e si allungano, i tratti con barriere invalicabili alle frontiere orientali con Russia, Bielorussia, Ucraina. Secondo un calcolo del Transnational Institute (TNI), dal 1990 al 2019, nella UE e nell’area Schengen sono stati costruiti circa un migliaio di chilometri di recinzioni (sei volte la lunghezza del muro di Berlino) per una spesa totale di 900 milioni di euro. Senza contare i 500 chilometri di barriera che la Lituania ha deciso di costruire al confine con la Bielorussia. Sempre all’interno della UE, dodici paesi hanno avanzato richiesta ufficiale alla Commissione di finanziamento per la costruzione delle barriere di confine: “Questo strumento legittimo” hanno scritto “dovrebbe essere finanziato adeguatamente dal bilancio europeo, e diventare una priorità”. Insomma, recinzioni e muri sono oramai considerate normali – e addirittura prioritarie – infrastrutture, come lo sono gli acquedotti, le strade o le ferrovie. Anche se sulla capacità delle barriere di “arrestare” i flussi irregolari la discussione è aperta. Queste infatti non sono mai completamente impermeabili, sono molto costose, spesso deviano i flussi attraverso altre zone di transito, magari più pericolose come quelle marittime. Gli ultimi mesi ci hanno ricordato che i migranti possono essere utilizzati anche come strumento di pressione e di ricatto. Sulla crisi al confine tra Bielorussia e Polonia si gioca una sporca partita sulla pelle di qualche migliaio di migranti, per lo più provenienti dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan. Miserabile è stata la strategia Bielorussa di “attrarre” migranti col miraggio di un transito verso l’Europa; duro e sordo il respingimento operato dalla Polonia a chi ha tentato l’ingresso, privato della possibilità di richiedere asilo politico. La Polonia ha tentato poi di sfruttare politicamente l’episodio, considerandosi “sotto attacco” da parte dei migranti, e definendosi difensore dell’Unione, sul fronte orientale, di fronte all’invasione barbarica. Un gioco sporco che ha precedenti antichi e moderni: tra questi ultimi, le minacce di Gheddafi di mandare verso l’Italia le centinaia di migliaia di immigrati africani che vivevano in Libia. 

La pandemia ha rivelato l’efficienza del sistema-ricerca nel mondo, e la sua capacità di coordinarsi, sviluppando efficienti vaccini anti-Covid in meno di un anno. Ma ha posto in rilievo la debolezza dei sistemi di allerta, logistici e distributivi dei vaccini. In particolar modo, l’incapacità di regolare la mobilità. Confini sono stati chiusi e riaperti, spesso più volte, senza intese tra i paesi; i trasporti fermati o deviati a singhiozzo; le normative sanitarie non sono state ben coordinate; le convenienze nazionali hanno spesso prevalso su quelle generali. Milioni di persone, per lo più migranti, si sono trovate bloccate in paesi diversi dal loro, con enormi costi e disagi. È ampio il campo nel quale possono intervenire intese internazionali volte a regolare in modo razionale la mobilità evitando il disordine avvenuto negli ultimi due anni.  

Note

1Fonte figura 2 : github.com