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La crisi dei rifugiati, l’esodo siriano e la risposta degli Stati europei

La crisi dei rifugiati che ha interessato (anche) l’Unione Europea a metà del decennio passato ha aperto un ampio dibattito sulle regole da adottare nella gestione comune dei profughi e richiedenti asilo. Maria Vittoria Forte e Salvatore Strozza riesaminano i dati di tale crisi proponendo alcuni indicatori che consentano di valutare l’impatto sui singoli paesi e la loro capacità/volontà di risposta, anche tenendo conto dell’importanza assunta dalla componente siriana.

Nel 2014, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, i migranti forzati (rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni) nel Mondo hanno superato i 50 milioni e in Europa si è cominciato a parlare di crisi dei rifugiati, anche a seguito del numero straordinario di arrivi dal Mediterraneo.

I numeri della crisi

In base ai dati diffusi da Eurostat, l’UE ha contato 6 milioni 667mila richieste di asilo da cittadini non UE nel decennio 2010-2019, di cui il 59% nel quadriennio dal 2014 al 2017 (quasi il 40% nel biennio 2015-2016). In tale periodo, le cifre più elevate hanno riguardato i paesi dell’Europa occidentale, che hanno preso in carico il 60,5% delle richieste d’asilo, formulato il 70,7% delle decisioni e concesso il 73% dei riconoscimenti di una qualche forma di protezione internazionale (tab. 1). Più in dettaglio, il 42% dei richiedenti asilo ha presentato domanda in Germania, oltre il 68% in soli quattro paesi (Germania, Italia, Francia e Svezia). Il 49,5% delle decisioni e il 55,3% degli accoglimenti sono stati deliberati dallo Stato Tedesco. L’impatto della guerra civile siriana ha influito sull’ampiezza dei flussi di richiedenti asilo e, soprattutto, sul numero di accoglimenti nell’UE: il 23,8% delle richieste di asilo, il 26,1% delle decisioni e il 48,8% di quelle positive ha riguardato i siriani. Gli Stati dell’Europa occidentale, anche in questo caso, hanno registrato i numeri più alti di domande e accoglimenti, seguiti da quelli della regione settentrionale, con un divario significativo rispetto alle due aree restanti. L’accoglienza dei profughi ha riguardato un numero contenuto di Stati, quasi tutti di più ampia dimensione demografica.

La protezione internazionale, e il diverso comportamento degli Stati.

Il tasso di riconoscimento della protezione internazionale (TRP) consente di tenere conto della differente consistenza demografica dei paesi, misurando l’impatto degli accoglimenti sulla popolazione. Nel periodo 2014-2017 i riconoscimenti nell’intera UE sono stati in media quasi 8 all’anno ogni 10.000 abitanti, con notevoli differenze da paese a paese. Gli Stati più intensamente coinvolti nella protezione internazionale sono stati Svezia e Germania, quelli meno coinvolti i paesi dell’Europa dell’Est (fa eccezione la Bulgaria). Gli altri paesi con valori superiori alla media europea sono tutti di contenute dimensioni demografiche (fig. 1). Italia e Francia, tra gli Stati con numeri assoluti tra i più alti, hanno invece valori del TRP inferiori alla media europea. Il caso dell’Italia fornisce inoltre un importante spunto di riflessione sul ruolo svolto dalla crisi siriana. Infatti, mentre la Francia fa registrare tassi inferiori alla media sia per i cittadini siriani che per l’insieme delle altre nazionalità, l’Italia registra per questi ultimi un valore del TRP superiore alla media europea, ma quasi nullo con riguardo ai cittadini del paese mediorientale.

Fattori strutturali e protezione internazionale

Il TRP può essere scomposto in tre fattori moltiplicativi: a) il tasso di domande di asilo (TDA=Dom./P), che esprime il numero medio annual di richieste per 10.000 residenti; la quota di decisioni sulle domande ricevute (QD=Dec./Dom.), espressione della capacità o prontezza di risposta degli Stati alle richieste; c) la quota di riconoscimenti (cioè di decisioni positive) tra tutte le decisioni prese (QP=Acc./Dec.), indicazione del grado di apertura degli Stati, cioè della propensione all’accettazione delle richieste di protezione: Nel periodo 2014-2017 il TRP medio dei paesi dell’UE-28 è stato determinato dai seguenti tre fattori: TRP = 19,2 x 0,773  x 0,523 = 7,8 per 10.000 abitanti; in altri termini, il tasso di domanda di asilo (oltre 19 richiedenti in media all’anno ogni 10.000 abitanti) si trasforma in un tasso di riconoscimento della protezione più che dimezzato, e ciò avviene per il mancato esame di una parte delle domande (quelle esaminate sono state il 77,3%) e della proporzione di quelle che hanno avuto esito positivo (il 52,3%). I paesi della regione orientale dell’UE mostrano per tutti gli indicatori i risultati peggiori (tab. 2): oltre ad aver ricevuto poche domande e concesso una proporzione minore di riconoscimenti rispetto alla media dell’UE-28, sono stati anche molto meno pronti degli altri Stati a rispondere alle richieste di asilo. Pertanto, il TRP medio dell’area risulta estremamente basso. Al contrario, i paesi dell’Europa occidentale sono stati quelli più predisposti all’accoglienza: alle 32 domande di asilo ogni 10.000 abitanti hanno risposto con una percentuale di domande esaminate superiore al 90% e una quota di riscontri positivi al 54%. Segue in graduatoria il Nord Europa che ha un valore medio del tasso di richieste nettamente più basso di quello registrato dall’Europa occidentale ma valori degli altri due indicatori solo di poco inferiori. L’insieme dei paesi dell’Europa meridionale hanno invece un valore del TRP chiaramente più basso perché, nonostante il numero delle richieste, le decisioni prese non superano il 60% e i riconoscimenti si fermano al 40%.

Il caso dei Siriani

 Nel caso dei siriani, l’impatto sulle popolazioni di arrivo rimane più elevato nelle regioni occidentale e settentrionale, ma assume in quella orientale una importanza maggiore di quella riscontrata nella regione meridionale, per la prevalenza della rotta balcanica rispetto a quella del mediterraneo centrale. Per i siriani la macchina dell’accoglienza è risultata quantomeno più celere (fa eccezione l’Europa meridionale) e, soprattutto, ha dato luogo ad una generalizzata quota di riconoscimenti nettamente maggiore (il 97% dei casi esaminati) di quella osservata per gli altri richiedenti (36,6%). La Svezia primeggia per impatto delle domande ricevute, seguita da Ungheria, Austria e Germania (fig. 2). Quest’ultimo paese ha però la quota più elevata di richieste esaminate – superato solo dalla Francia – e una proporzione di riconoscimenti maggiore di quella media dell’UE-28, tanto che si colloca al secondo posto dietro la Svezia per valore del TRP. Particolare è il caso dell’Ungheria e della Grecia che si caratterizzano per un elevato impatto delle richieste a cui i due paesi non hanno risposto per niente o in modo estremamente contenuto. In Ungheria pressoché la totalità delle domande non sono state esaminate ed è altamente probabile che i richiedenti abbiano trovato riscontro alle proprie istanze in altri paesi comunitari, verosimilmente in Germania. Anche Austria, Cipro e Lussemburgo hanno avuto un’incidenza delle domande superiore alla media e pur non avendo brillato per tempestività e livello di accoglimento delle istanze hanno comunque mostrato un’apertura nettamente maggiore di quella osservata da Grecia e Ungheria. Interessante è il confronto Italia-Malta: nel primo paese sono stati concessi il 7,3% del totale dei riconoscimenti mentre nel secondo solo lo 0,3%. La situazione si rovescia se si tiene conto della dimensione demografica e si valuta tempestività ed esiti delle domande. L’incidenza delle richieste di asilo sulla popolazione maltese è più del doppio di quella sulla popolazione italiana, inoltre la proporzione di domande esaminate e di quelle con esito positivo sono nettamente più elevate nella piccola isola del mediterraneo. Il TRP di Malta è cinque volte quello della nostra penisola e risulta il terzo più elevato nell’UE-28, con una parte significativa di siriani, pressoché assenti nel caso italiano. Il dibattito su chi debba prendersi carico dei profughi che arrivano dal Mediterraneo rimane aperto, certamente non può essere scaricato sullo Stato più piccolo dell’Unione. Negli anni della crisi gli Stati europei non hanno subìto i flussi di richiedenti asilo con la stessa intensità, così come non hanno risposto con la stessa tempestività alle richieste e adottato gli stessi criteri di accoglienza. Non ci sono dubbi sulla validità del secondo termine del motto dell’UE ‘united in diversity’, mentre occorre fare importanti passi in avanti per garantire anche il primo.