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Ruanda, caduta e resurrezione?

Nel 1994 il conflitto etnico precipitò il Ruanda nel baratro del genocidio; nei decenni successivi il paese ha messo a segno uno sviluppo assai più rapido di quello dei paesi confinanti, ma il conflitto è stato solo esportato nelle regioni vicine. Ce ne parla Steve Morgan, che pone in rilievo, tra l’altro, il successo delle politiche demografiche che fanno del Ruanda un caso quasi unico nell’Africa sub-sahariana.

Il Ruanda, nella regione dei Grandi Laghi nella terraferma africana, è tra gli stati più piccoli del continente (dopo Gambia e Gibuti) e quello con la densità demografica più alta (doppia di quella dell’Italia e superiore a quella dell’Olanda). Terre fertili ma non tutte coltivabili, si estende in buona parte su un altopiano dal clima mite, senza accesso al mare. Non è per queste caratteristiche che Neodemos si occupa di questo paese, ma per due aspetti straordinari – nel male e nel bene – della sua storia demografica e sociale nell’ultimo trentennio. Il primo è costituito dal profondo trauma subito per il genocidio di massa compiuto tra l’aprile e il luglio del 1994, per mano della maggioranza di etnia Hutu, sulla minoranza Tutsi (ma anche su un consistente numero di Hutu “moderati”), che coinvolse un numero di vittime variamente stimato tra le 500.000 e 800.000 unità. La reazione del RPF, Fronte Patriottico Ruandese, fondato da esuli Tutsi in Uganda qualche anno prima, determinò la rotta delle forze governative e provocò l’esodo di 1.4 milioni di rifugiati – soprattutto Hutu – nel confinante Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo) e in altri paesi della regione. Le due “guerre del Congo” successive, e numerosi altri conflitti, hanno segnato la regione negli ultimi decenni (è recentissimo il doloroso episodio dell’assassinio dell’Ambasciatore Italiano e del Carabiniere al suo seguito), sequele infinite del tragico 1994. All’indomani del genocidio, il Rwanda si trovò mutilato, per le uccisioni e l’esodo, di una parte importante della sua piccola popolazione1.

Dal genocidio allo sviluppo

Ma c’è un altro lato della storia: un paese profondamente segnato da una delle maggiori tragedie del secolo scorso, invece di sprofondare ulteriormente, è riuscito a riemergere dalla catastrofe, ha realizzato una rapida crescita e, caso quasi unico nel panorama sub-sahariano, sta domando la sua esuberanza demografica. Lasciamo agli specialisti le analisi delle vicende politiche e economiche, e la verifica della consistenza del delicato equilibrio tra ordine interno e il vigente regime autoritario, che si regge anche su una tregua tra le etnie2. Non va però dimenticato che tra i fattori della crisi ruandese precedente al tragico 1994, è stato spesso citato lo squilibrio di natura maltusiana tra la popolazione rapidamente crescente e dedita quasi esclusivamente all’agricoltura e le scarse risorse naturali disponibili.

Nella Tabella 1 sono riportati alcuni indicatori, demografici ed economici (attorno al 1990 prima delle stragi, e attuali) del Ruanda, comparati a quelli dei paesi confinanti: Uganda, Burundi, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo (novanta volte più grande!). Il confronto è sorprendente: il PIL pro capite (in dollari espressi a parità di potere d’acquisto) è triplicato in Ruanda e in Uganda, raddoppiato in Tanzania e rimasto quasi stazionario in Burundi. La popolazione è cresciuta in Ruanda del 78% (mediamente la metà rispetto ai paesi confinanti)3, e questo minore dinamismo dovrebbe valere anche nei prossimi decenni: tra il 2020 e il 2050 la popolazione ruandese crescerebbe del 78%, assai meno del +121% del Congo, suo gigantesco confinante. La sopravvivenza del Ruanda è assai migliore di quella dei suoi vicini, con una speranza di vita alla nascita di 68,4 anni nel 2015-20, ed è cresciuta di ben 20 anni rispetto a trent’anni prima, assai meglio quindi dei 12-16 anni guadagnati dagli altri quattro paesi. Infine, il numero medio di figli per donna, che sfiorava il livello eccezionale di 8 attorno al 1990, si è quasi dimezzato a 4,1 nel 2015-20, mentre nei paesi confinanti, pur declinando, rimane compreso tra 5 e 6.

Il successo delle politiche sociali e demografiche

Studiosi, esperti e operatori attribuiscono i “relativi” successi del paese a fattori analoghi a quelli che hanno avuto buon esito in altri paesi poveri – un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro, una forte crescita dell’istruzione femminile, un notevole miglioramento della salute materna e infantile, e efficienti politiche di pianificazione familiare. Tra il 2005 e il 2015 le coppie che utilizzavano moderni metodi di contraccezione moderni sono passate dal 10 al 48%; la mortalità infantile è diminuita di due terzi, e il sistema sanitario è stato esteso capillarmente, dando copertura al 90% della popolazione. Sono risultati in linea con quelli prospettati nel piano di sviluppo del paese del 1998-99, chiamato “Rwanda Vision”. Per quanto riguarda  il sistema sanitario ruandese si era scomodato perfino il New York Times che lo aveva proposto, addirittura, come modello per gli  Stati Uniti4. Ma nonostante questi commenti sopra le righe, alcune caratteristiche della politica seguita vanno sottolineate. Oltre all’efficacia dell’azione pubblica e di quella privata (sono stati molto cospicui i finanziamenti da parte di donatori privati), va messo in rilievo il fatto che la pianificazione delle nascite è stata propagandata nella maniera “giusta”. Infatti anziché esaltare i vantaggi della famiglia con meno figli, o con due figli, come spesso viene fatto – e questo viene percepito come una costrizione o imposizione – si è puntato sulla necessità di “distanziare” la nascita tra figli successivi, in modo da migliorare la salute infantile e quella materna, e di migliorare, quindi, la “qualità” della prole. Essenziale poi è stato il forte, continuo e convinto sostegno del regime autocratico del Presidente Kagame e della sua amministrazione a favore di una politica di contenimento della crescita demografica. Al punto da meritarsi il seguente commento in un rapporto redatto per la Banca Mondiale: “Il Governo del Ruanda ha compreso il significato della sfida demografica in modo raramente visto in altri paesi dell’Africa sub-sahariana”5.

Ombre oscure sul futuro

Altri due paesi dell’Africa sub-Sahariana, l’Etiopia e il Malawi, vengono associati al Ruanda per la buona conduzione di politiche di moderazione della fecondità e della crescita demografica. In effetti la loro riproduttività – attorno ai 4 figli per donna – benché ancora molto elevata, è sensibilmente inferiore alla media della regione, e incoraggianti sono sia il ritmo di diffusione della contraccezione, sia il miglioramento della salute, infantile e materna in particolare. Anche in questi paesi le buone politiche vengono non solo annunciate (come lo sono in quasi tutti i paesi sub-sahariani), ma anche effettuate e sostenute efficacemente da governi e amministrazioni. Sia pure con molto ritardo l’esempio dei tre paesi sembra confermare l’idea che anche in situazioni di povertà e di arretratezza molto può essere fatto per moderare l’esuberanza demografica.

Sul futuro del Ruanda pesano l’instabilità e la turbolenza della regione, lo stato di guerra permanente dei profughi Hutu, uno sviluppo economico che ha avuto successo per i forti investimenti pubblici, ma che poggia su fondamenta poco solide (settore privato debolissimo, scarso risparmio, poche risorse naturali), e l’ombra minacciosa della pandemia di coronavirus, che sta avvolgendo l’intero continente e compromettendone lo sviluppo.


1 Le stime delle Nazioni Unite sulla popolazione Ruandese, assegnano al paese 5,9 milioni di abitanti nel 1994

2 Valutazioni recenti indicano che l’84% della popolazione è di etnia Hutu, il 15% di etnia Tutsi e 1% di etnia Twa.

3 Questo minore aumento del Ruanda sconta (anche) gli effetti del genocidio del 1994. Se restringiamo l’esame al periodo 2000-2020, la popolazione del Ruanda è cresciuta del 63,1%, contro +78,3 della Tanzania, +85,8 del Burundi, +90,1 della R.D. del Congo e +93,4 dell’Uganda

4 Rwanda’s Lessons (Really) on Health Care, The New York Times, July 19, 2017.

5 Cit. da C. Westoff, Trends In Reproductive Behavior in Rwanda, ICF, Rockville, Maryland, 2018, p.1