Nonostante si sia registrata una riduzione di vittime di guerra dagli anni 50 in poi, le Nazioni Unite riportano un aumento del numero dei conflitti su scala globale. In questo pezzo Paolo Bonanomi cerca di comprendere che tipo di influenza hanno avuto tre diversi conflitti armati relativamente recenti sulla struttura demografica delle popolazioni di Sud Sudan, Iraq e Bosnia ed Erzegovina.
Quando si tratta di conflitti armati e del loro impatto sulle popolazioni si rischia di limitare l’analisi a considerazioni legate al numero di morti e, in parte minore, al numero di migranti che tale guerra genera. Per fare delle considerazioni più approfondite si può però provare a confrontare una popolazione reale che subisce un conflitto (definita sulla base delle stime e previsioni dell’Onu) con una popolazione controfattuale (ovvero una popolazione non reale costruita con dei modelli statistici) che invece simula quale sarebbe stato l’andamento demografico della popolazione in assenza del suddetto conflitto. La popolazione controfattuale si ottiene ricalcolando le componenti di fecondità, mortalità e migratorietà per il periodo e la popolazione di interesse. Queste vengono ridefinite a partire dai dati forniti dalle Nazioni Unite1 per gli anni antecedenti alla guerra e costruite in modo che mantengano il trend dei periodi non conflittuali passati della popolazione (l’ipotesi di fondo è che il conflitto sia un’anomalia che va a modificare queste tendenze). Una volta ottenute queste nuove componenti si può simulare la popolazione controfattuale finale e procedere ad una comparazione con quella reale.
Conflitti e cambiamenti strutturali
L’Utilizzo di questo procedimento consente di osservare ad esempio la popolazione reale e quella così simulata di Sud Sudan (guerra civile 2013-2018), Iraq (seconda guerra del golfo 2003-2011) e Bosnia ed Erzegovina (Guerra in Bosnia ed Erzegovina 1992-1995). Si può, così, provare a trarre qualche conclusione riguardo gli effetti demografici di tre conflitti armati che hanno interessato contesti geopolitici demografici e periodi storici tra loro molto diversi. In particolare, si può notare come la struttura della popolazione in Bosnia Erzegovina sia profondamente differente rispetto a quella degli altri due paesi.
La differenza tra le due popolazioni (reale e controfattuale) in valore assoluto è molto importante: per quanto riguarda il Sud Sudan la differenza vale 1.027.494 individui (8,56% della popolazione simulata), in Bosnia ed Erzegovina invece si registra una differenza totale tra le due popolazioni di 731.118 individui (16,26% della popolazione simulata) ed infine in Iraq la differenza vale 2.153.035 di individui (6,32% della popolazione simulata).
Si nota anche che la proporzione di alcune classi di età sul totale della popolazione varia tra la popolazione reale e quella controfattuale, in maniera particolarmente evidente per la Bosnia (Fig. 1). I dati indicano anche che queste proporzioni delle classi di età sul totale tendono a cambiare di più tra le due popolazioni per quanto riguarda la componente maschile. Le classi di età che sembrano subire una maggiore perdita nelle proporzioni dal conflitto (ovvero che risultano avere una proporzione maggiore nella popolazione controfattuale rispetto a quella reale) per il Sud Sudan (Fig. 2) sono la classe [5-10) per la popolazione femminile e le classi [0-5) e [5-10) per la popolazione maschile. In Bosnia ed Erzegovina (Fig. 1) sono le classi [20-25), [25-30) e [30-35) per la popolazione maschile e le classi [20-25), [25-30) e [0-5) per la popolazione femminile. Infine, le classi [0-5) e [5-10) per entrambi i sessi in Iraq (Fig.3). Bisogna però tenere presente che le popolazioni vengono confrontate alla fine del conflitto e quindi ci si potrebbe aspettare una componente di migrazione in rientro negli anni successivi. La differenza nella componente migratoria tra popolazione reale e simulata è infatti molto significativa per tutti e tre i casi. L’unico dei tre stati in cui si osserva, però, questo fenomeno è l’Iraq con un saldo migratorio netto dell’8 ‰ nel quinquennio 2010-2015. La Bosnia Erzegovina, invece, non sperimenta l’evento, mentre in Sud Sudan non solo non c’è stato un rientro dei migranti, ma si è registrato anche un incremento degli sfollati2.
La dinamica naturale di guerra
La mortalità risulta invece significativamente differente tra la popolazione controfattuale e quella reale sia in Iraq che in Bosnia ed Erzegovina durante il periodo del conflitto. L’evoluzione della mortalità è però differente se osservata nel medio termine (ovvero confrontando il trend della mortalità simulata con i relativi intervalli di confidenza a quello della popolazione reale negli anni successivi alla guerra). Dai grafici notiamo come nella Bosnia ed Erzegovina (Fig. 5) solo nel periodo del conflitto la mortalità associata alla popolazione reale sia significativamente differente da quella associata alla popolazione controfattuale. Nel caso dell’Iraq (Fig.4) invece la differenza della mortalità associata alle due diverse popolazioni rimane significativa fino ad oltre il 2025. Come spiegare questa differenza, sapendo anche che la guerra in Bosnia ha avuto un impatto maggiore nell’immediato? Ci sono due elementi principali di differenza tra i due conflitti: le condizioni sociali pre-esistenti e la durata del conflitto. La Bosnia pre-conflitto godeva infatti di condizioni relative migliori di quelle irachene, la speranza di vita alla nascita nel quinquennio 1985-1990 risultava pari a 71.95 anni a confronto con una media europea nello stesso periodo di 72.85 anni, mentre in Iraq 5 anni dopo nel quinquennio 1995-2000 la speranza di vita alla nascita risultava comunque inferiore e pari a 69.02 anni. Si può poi supporre che la durata del conflitto abbia avuto un impatto notevole sulla differenza di mortalità e quello in Iraq è durato più del doppio di quello bosniaco.
A livello numerico si va ad osservare che la mortalità della popolazione maschile reale in Bosnia è del 26,91% maggiore rispetto a quanto si registra per la componente maschile controfattuale durante la durata del conflitto. In Iraq il divario è anche maggiore: la mortalità per la popolazione maschile reale, infatti, risulta del 56,76% maggiore rispetto a quella per la popolazione controfattuale maschile nel periodo di conflitto. Osservando i dati ottenuti per l’Iraq si nota qualcosa di ancora più interessante: anche la mortalità femminile varia e nello specifico la popolazione femminile reale ha una mortalità dell’87,3% maggiore rispetto alla mortalità associata alla popolazione femminile controfattuale. Va però segnalato che la variabilità di questo dato è molto elevata e di conseguenza non si può affermare che la differenza nella mortalità femminile sia significativamente più elevata di quella nella mortalità maschile. Si può però attestare che per entrambi i sessi la mortalità è significativamente diversa tra le due popolazioni (reale e simulata).
Anche la fecondità riesce a sorprendere: a dispetto di quanto accade normalmente, in Bosnia ed Iraq il tasso di fecondità totale durante il periodo del conflitto non risulta significativamente differente tra la popolazione reale e quella controfattuale. Questo non vuol dire, però, che il conflitto non abbia un impatto sulla natalità: come si vede dalle piramidi per età (Fig. 1-2-3), le differenze nella mortalità e nella migratorietà generano due strutture per età differenti per la popolazione reale e quella controfattuale con conseguente impatto sul numero di nati. Nel caso del Sud Sudan, per esempio, ipotizzando che il tasso di fecondità totale (fissato pari al TFT reale per il 2015-2020 per entrambe le popolazioni) rimanga costante per tutto il corso della vita feconda e che non si registrino decessi o migrazioni per questo periodo (ipotesi ovviamente assurde, ma che servono a dare un’idea delle proporzioni) la classe di età 15-19 della popolazione controfattuale al 2018 genererebbe 224’921 individui in più rispetto alla corrispettiva classe d’età reale nel corso dei successivi 30 anni.
In conclusione, un conflitto armato comporta ovviamente decessi, povertà e migrazioni, ma esistono anche degli effetti notevoli sulla struttura demografica. Questi cambiamenti anomali alla struttura demografica indirettamente influenzano (in modo più lento e silenzioso) la capacità delle popolazioni di progredire o addirittura di ricostruire delle condizioni di vita accettabili, poiché condizionano le forze lavoro e le reti-sociali.
1 United Nations.Department of Economic and Social Affairs, PopulationDivision (2019). World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev.1.
2 UNHCR.Regional oveview of the South Sudanese refugee population.2020.
Fonti figure 1-2 e 3 – https://population.un.org/wpp/Download/Standard/Population/