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Uno sguardo disincantato (?) alle probabili migrazioni dall’Africa all’Europa nei prossimi 30 anni

dall’Africa all’Europa

Le Nazioni unite sono probabilmente troppo timide nelle loro previsioni dei flussi migratori dall’Africa all’Europa nei prossimi 30 anni. La stampa popolare, invece troppo allarmista. Secondo Gustavo De Santis, una ragionevole previsione è nell’ordine di mezzo milione di immigrati netti all’anno, che porterebbe gli Africani in Europa dagli attuali 9 a circa 25 milioni, il 5% del totale degli residenti nel vecchio continente. Un afflusso non solo sopportabile, se ben gestito, ma addirittura benefico.

Cosa dobbiamo attenderci riguardo ai flussi migratori dall’Africa verso l’Unione Europea nei prossimi 30 anni: porti chiusi, invasioni, o una via di mezzo?

La risposta, facile, è la terza. Il difficile è quantificarla. Proviamoci, sapendo però che, di tutti i fenomeni demografici, le migrazioni sono forse quello più difficile da prevedere, e anche i migliori sbagliano. Prendiamo ad esempio la Divisione Popolazione delle Nazioni Unite (UN-DESA, 2019): nella figura 1, costruita sui suoi dati, si legge il numero netto di migranti per anno, osservato dal 1950 al 2019 (linea continua) e previsto dal 2020 in avanti (linea tratteggiata). Per l’Africa, in rosso, i valori negativi segnalano una prevalenza di uscite, mentre il contrario avviene per l’UE28, in blu, in cui si è artificiosamente mantenuto il Regno Unito anche per il prossimo futuro, al fine di garantire coerenza con le estrapolazioni, anch’esse tracciate (linea punteggiata).

Si nota subito la grande distanza tra i valori della migrazione netta previsti da UN-DESA (variante media) e gli altri, sia quelli recentemente osservati sia quelli estrapolati. È vero che bisogna diffidare delle estrapolazioni lineari, ma in questo caso (mi) appaiono più realistiche loro dell’alternativa proposta, di due o tre volte più modesta. E, se errate, lo sono probabilmente per eccesso di prudenza.

Perché? Consideriamo la tab. 1, che si riferisce allo stock di stranieri (non, quindi, ai flussi), al 2017 (UN-DESA 2017) e al 2050 (stime mie). Attualmente, circa il 3,4% della popolazione mondiale è “straniera”, e cioè, secondo la semplice definizione UN, vive in un paese diverso da quello di nascita. Di questi 258 milioni di individui, 37 vivono nell’UE, dei cui residenti costituiscono il 7,2%, ben al di sopra della media mondiale. Per il vero, 21 milioni sono stranieri “interni”, cioè cittadini di qualche altro stato europeo, che approfittano così della libera circolazione e dell’uguaglianza di diritti di cui possono godere dentro l’UE. Gli “altri” stranieri sono quindi 16,2 milioni, di cui 9 Africani, in maggioranza (5,1 milioni) nati nel nord Africa, e cioè nella regione che ha tradizionalmente avuto i più stretti legami con l’Europa.

Come cambieranno questi numeri in futuro? Non si sa ovviamente, ma proviamo a fare due conti. Nel 2017 gli Africani erano circa 1,2 miliardi di persone, più 9 milioni circa (0,7%) residenti in Europa. Nel 2050, la popolazione africana, più che raddoppiata, sfiorerà i 2,5 miliardi, e, scontando un lieve incremento della quota residente in Europa (da 0,7 a 1,0%, e cioè ancora molto al di sotto della media mondiale), i nati in Africa ma residenti in Europa potrebbero salire fino a un intorno di 25 milioni verso la metà del secolo. Questa crescita di circa 16 milioni in una trentina d’anni, e cioè circa 500 mila all’anno (al netto di decessi e migrazioni di ritorno), è coerente con la previsione precedente (estrapolazione), di poco meno di un milione di emigrati dall’Africa ogni anno, la metà dei quali andrebbe quindi in Europa. Si noti che lo scenario qui descritto non prefigura una “invasione” dell’Europa, dati i bassi livelli di partenza: 25 milioni di Africani in una UE28 di circa 500 milioni di persone a metà secolo costituiscono “solo” il 5% del totale.

Pressione demografica in Africa (e depressione in Europa)

Il previsto aumento dell’emigrazione dall’Africa all’Europa non è solo un fatto meccanico, legato alla diversa numerosità delle due popolazioni. Certo gli Africani, pur se in crescita, potrebbero restare in Africa: la densità della popolazione (pari oggi a soli 55 abitanti per kmq, la metà di quella Europea) lo consentirebbe. E ciò effettivamente avverrà per la stragrande maggioranza di loro, ma non per tutti.

La veloce crescita africana è determinata dalla transizione demografica, con una sopravvivenza che migliora, pur se resta ancora nettamente inferiore a quella europea (Figura 2a), e una fecondità sovrabbondante, e dal declino troppo lento (Figura 2b; Shapiro and Hinde, 2017). Questo mentre in Europa si fanno, da tempo, pochi figli, meno dei due che servirebbero per il rimpiazzo generazionale.

Le conseguenze più ovvie di queste differenti evoluzioni sono evidenziate nella tab. 2, costruita anch’essa sui dati UN-DESA, ma nella variante a zero migrazioni per sottolineare gli squilibri che si stanno creando da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Senza migrazioni, tra il 2020 e il 2050 l’UE27 (senza il Regno Unito) potrebbe perdere circa 42 milioni di abitanti (1,4 all’anno), mentre l’Africa sembra destinata a guadagnarne circa 1,2 miliardi (39 milioni all’anno): uno squilibrio enorme che le migrazioni, da sole, potranno attenuare, ma certo non sanare.

Se ci si concentra sulle “età produttive”, tra i 20 e 64 anni, la situazione peggiora per UE27 (-97 milioni di persone, oltre tre milioni all’anno), e migliora per l’Africa (+706 milioni, circa 24 milioni all’anno). Ma le distanze relative tornano a crescere se ci si limita alla parte più giovane (e mobile) degli adulti, tra 20 e 40 anni: nel prossimo trentennio, questi diminuiranno di 24 milioni nell’UE27, ma aumenteranno di quasi 400 milioni in Africa. La sproporzione tra i numeri in gioco ci dice che la migrazione, da sola, non potrà assorbire le differenze, ma ci dice anche che essa ci sarà, perché a crearla concorrono, sia pur con intensità diversa, due forze: l’offerta di potenziali migranti dall’Africa, e la domanda da parte europea ‒ pur se la versione ufficiale, oggi, sembra essere diversa.

Conclusioni

Storicamente, quando, per effetto della transizione demografica, si è creata una “bolla” di giovani adulti che il locale mercato del lavoro non è riuscito ad assorbire, la pressione è cresciuta, e le emigrazioni internazionali sono state una delle valvole di sfogo cui le comunità interessate hanno fatto ricorso, insieme a urbanizzazione, migrazioni interne, sviluppo del lavoro terziario, ecc. (Davis 1963). Certo, il mondo di oggi, con 7,7 miliardi di abitanti, è ben più “pieno” di quanto non fosse nel 1900, quando gli abitanti erano circa 1,6 miliardi, e le possibilità di trovare luoghi poco abitati in cui spostarsi sono scese ormai a zero. Se ci si muove, occorre per forza imparare a convivere con chi già si trova su quel territorio. Operazione difficile, ma non impossibile, soprattutto quando il territorio di accoglienza può trarre qualche beneficio da questi arrivi. <<continua>>

Bibliografia

Davis K. (1963) The theory of change and response in modern demographic history, Population Index, 29(4): 345-366.

Shapiro D., Hinde A. (2017) The pace of fertility decline in Sub-Saharan Africa, N-IUSSP, 3 dicembre

UN‒DESA (2017) United Nations ‒ Department of Economic and Social Affairs. Trends in International Migrant Stock: The 2017 revision. New York, United Nations.

UN‒DESA (2019) United Nations ‒ Department of Economic and Social Affairs. World Population Prospects 2019. New York, United Nations.