L’effetto “San Matteo” descrive un meccanismo iniquo per cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. La crescente diffusione della società dell’informazione induce a chiedersi se tale meccanismo operi anche nel contesto digitale in Italia. E la risposta è sì, secondo Isabella Mingo e Roberta Bracciale, almeno in senso relativo: le i gruppi di popolazione che quindici anni fa erano indietro nell’uso internet (come ad esempio anziani, casalinghe e persone con basso livello di istruzione) sono indietro ancora oggi.
L’effetto “San Matteo” descrive un modello secondo cui, nel tempo, le disuguaglianze tendono a perpetuarsi, se non addirittura ad aumentare. Il nome deriva da un versetto del Vangelo di Matteo che dice: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.”
La crescente diffusione della società dell’informazione induce a chiedersi se tale meccanismo operi anche nel contesto digitale, aumentando le differenze tra chi si muove a suo agio in questo mondo e chi invece ne è escluso, o se invece le nuove tecnologie consentano di attivare circoli virtuosi di inclusione progressiva dei più “deboli”.
La Commissione Europea, nella Conferenza di Riga del 2006, individuava alcuni segmenti di popolazione a rischio di marginalità digitale: gli anziani; gli individui che non hanno una posizione lavorativa attiva; quelli con un livello di istruzione basso o che vivono in aree geografiche poco popolate e le donne. Si tratta, chiaramente, di caratteristiche tipiche della marginalità sociale prima ancora che digitale, specialmente quando si combinano tra loro.
In questo articolo, comunque, ci si limiterà a considerare le disparità osservabili nel campo dell’accesso alle nuove tecnologie.
Chiavi di lettura
Il digital divide può essere analizzato almeno secondo due livelli diversi di complessità. Nel divario digitale di primo livello viene considerata solamente la dimensione dell’accesso a Internet con una suddivisione binaria tra chi lo ha e chi non lo ha. Nel divario digitale di secondo livello invece, ci si riferisce a un concetto multidimensionale riconducibile a tre diversi aspetti delle disuguaglianze digitali: frequenza dell’uso di Internet (accesso), competenze digitali (e-skills) e attività che compiono in rete (uso). Per semplicità, in questo articolo, ci soffermeremo sul digital divide di primo livello (Mingo e Bracciale 2018).
Bisogna poi prestare attenzione a come si misura il divario digitale, se in termini assoluti o relativi. Il divario assoluto si riferisce a una dinamica in cui i “ricchi” diventano sempre più ricchi e i “poveri” diventano sempre più poveri, subendo così un progressivo peggioramento della propria condizione. Il divario relativo invece si ha quando entrambi i gruppi migliorano la loro condizione, ma a diverse velocità, per cui le differenze iniziali tendono a perpetuarsi nel tempo.
La crescente diffusione degli utenti in Rete
Il divario digitale di primo livello è stato quantificato utilizzando semplicemente la variabile “Frequenza di utilizzo di Internet negli ultimi 12 mesi” (dati Istat “Aspetti della vita quotidiana”). Considerando “Utenti” coloro che usano Internet con una certa frequenza (non meno di una volta a settimana), e “Non utenti” gli altri, l’evoluzione in Italia dal 2001 al 2013 risulta quella mostrata nella figura 1.
Come si vede, si è osservata una sempre maggiore diffusione delle nuove tecnologie e una diminuzione dei non utenti , anche se l’Italia è tra i primi cinque paesi europei con la percentuale più elevata di individui che non hanno mai usato Internet (il 22% nel 2017, secondo Eurostat).
Questo primo risultato potrebbe suggerire una chiusura del gap digitale nel tempo, ma in realtà nulla ci dice riguardo alle disparità che esistono tra le varie categorie di persone, individuabili in base ad alcune caratteristiche sociodemografiche (sesso, età, titolo di studio, ripartizione di residenza, condizione professionale)
La figura 2, in cui è rappresentata la quota di non utenti per varie categorie di individui, mostra che l’andamento dell’esclusione digitale è in calo per tutti i gruppi, sebbene con velocità diverse: più lenta tra anziani, casalinghe e persone con basso livello di istruzione, più elevata tra i giovani, gli studenti e le persone con livello di istruzione medio-alto (diploma di scuola superiore o laurea).
Ma in termini relativi il divario digitale si accresce
In termini relativi, infatti, il divario digitale si è venuto accrescendo. Per evidenziarlo, si può calcolare un indice, il DERI (Digital Exclusion Relative Index), che misura l’esclusione digitale di ogni categoria in rapporto al valore medio di tutta la popolazione considerata. Quando il DERI è uguale a 1, quindi, il sottogruppo considerato è un gruppo “medio”; quando il DERI è alto, invece, quel sottogruppo “va male”, e cioè ha un livello di esclusione maggiore della media. Un DERI che cresce (o diminuisce) nel tempo segnala quindi un progressivo distacco di quel gruppo dai valori medi.
Ebbene, dalla Figura 3 risulta evidente che, dal 2001 al 2013, le distanze tra quasi tutte le categorie di soggetti più escluse (nella parte superiore del grafico) e quelle meno escluse (nella parte inferiore) sono aumentate. Ciò vuol dire che l’esclusione digitale è cresciuta di più nelle categorie inizialmente più deboli (anziani, casalinghe e persone con basso livello di istruzione) e meno tra quelle in partenza più forti (come prima: giovani, studenti e persone con buon livello di istruzione).
Internet non è riuscito quindi, almeno fino a oggi, a ridurre la disuguaglianza sociale riguardo al suo accesso. In certa misura, questo risultato era atteso: le innovazioni penetrano sempre le società in maniera eterogenea, e creano inizialmente distanze crescenti tra chi le adotta (sempre di più) e chi resta indietro. Ma Internet esiste ormai da molti anni, e sarebbe stato lecito attendersi, già da un po’, l’inizio del processo inverso, e cioè un recupero da parte dei gruppi inizialmente più restii a adottare le nuove tecnologie. Come mostrano le figure 2 e 3, invece, pur in un contesto di sempre maggior utilizzo, le distanze permangono.
Per saperne di più
Mingo I., Bracciale R. (2018). The Matthew Effect in the Italian Digital Context: The Progressive Marginalisation of the “Poor”, Social Indicators Research, 135(2): 1-31.