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Chi ha rapito i neonati? Un giallo nel panorama delle statistiche demografiche

immagine di neonati

I termini del problema

Come è noto, nel 2016 sono nati in Italia 473.438 bambini (Istat, bilancio demografico 2016). Un numero che, al netto di una mortalità stimata al 2,82 per mille (morti entro l’anno di nascita secondo la tavola di mortalità 2016) e che determina un valore atteso di 1.335 decessi, accreditano l’aspettativa di 472.103 residenti in età 0 al 1° gennaio del 2017, a meno di significative variazioni dovute a fenomeni migratori. In realtà, alla resa dei conti (Istat, popolazione per sesso età e stato civile al 1° gennaio 2017), si rilevano per la coorte 2016 solo 467.657 residenti in anagrafe a fine anno di nascita: ben 4.446 in meno del previsto. Che ne è stato di loro? Chi ha sottratto e dove sono stati nascosti i quasi cinquemila neonati del 2016 mancanti? È questo l’effetto di una sottostima della mortalità? O più semplicemente, è solo un fatto episodico in un anno anomalo? O ancora: è ipotizzabile l’azione di flussi migratori di rilievo nel caso specifico? Magari immaginando colonie di puerpere che migrano oltralpe col bimbo tra le braccia attratte dal minor costo di latte in polvere e pannolini?

Proviamo a cercare una spiegazione

Trovare argomentazioni convincenti, nell’ambito delle diverse spiegazioni proposte, non sembra affatto facile. Se infatti il gap dipendesse integralmente da una più alta mortalità dovremmo supporre che per la coorte di nati nel 2016 il rischio di morire entro il 31 dicembre di quello stesso anno sia stato pari al 12,2 per mille, il che significherebbe essere tornati al livello delle tavole di sopravvivenza del 1982. Non convince. Né sembra ragionevole riferire il fatto come episodico. Anche solo limitandoci ai dati dell’ultimo quinquennio è facile accorgersi che la scomparsa dei neonati risulta costantemente presente in tutto l’intervallo 2012-2016. Con un valore che per altro, al netto delle morti attese, è persino mediamente più alto di quello del solo 2016 (5.241 unità annue). D’altra parte anche le argomentazioni di tipo migratorio si dimostrano del tutto prive di ragionevolezza, specie se si rileva che gli eventuali neonati emigrati finirebbero poi per ritornare in patria l‘anno dopo. Non a caso, nel passare dall’età 0 al 1° gennaio 2016 all’età 1 al 31 dicembre di quello stesso anno i bambini residenti in Italia aumentano di ben 5.672 unità, e incrementi simili si riscontrano – pur se distorti dall’effetto delle “correzione post censuarie” – nella contabilità anagrafica degli anni precedenti.

Quale è dunque la soluzione del “giallo”?

Scartati l’infanticidio, la fuga (quand’anche temporanea), o l’occasionalità dell’evento, la ricerca dei nostri 4.446 neonati mancanti ci porta allora nei meandri della statistica e, in particolare, nelle procedure che collegano, e in parte “disallineano”, i dati di flusso riguardanti le nascite con quelli di stock che ne recepiscono gli effetti entro l’archivio POSAS (popolazione residente per sesso, anno di nascita e stato civile). Immaginiamo, giusto per semplificare, che i nati degli ultimi 4 giorni del 2016 – orientativamente attorno a 4-5 mila casi nel complesso del Paese – siano stati integralmente registrati nelle anagrafi dei comuni italiani nel corso del mese di gennaio 2017, ovviamente in data successiva al primo giorno dell’anno. Possiamo così ritenere che tutti i responsabili delle anagrafi comunali ne avranno tenuto conto nel fornire il bilancio anagrafico del 2016, ma forse è possibile che non ne abbiano tenuto conto anche nel ritoccare la fotografia della distribuzione per sesso ed età che risultava nel registro anagrafico con riferimento allo stato di fatto alla data del 1° gennaio 2017. Fotografia che (verosimilmente) viene acquisita così com’è dalle statistiche ufficiali, nonostante i missing che la caratterizzano. Ecco dunque spiegato il divario tra neonati e residenti in età 0 (i corrispondenti dati POSAS). Resta in ogni caso inteso che gli aggiornamenti degli anni successivi correggeranno l’errore in quanto recepiranno, nel conteggio dei residenti nati nel 2016 e via via “diventati più grandi”, anche i ritardatari del 2016. Ad esempio, nella fotografia al 1° gennaio 2018, 2019, 2020, … ci sarà posto per tutti i nati del 2016 che avranno nel tempo raggiunto le età 1, 2, 3, …, ma ciò non toglie che la distribuzione per età ufficialmente accreditata al 1 gennaio 2017 – così come quella alla stessa data degli anni precedenti – si sia portata al seguito un “baco”. Un errore di fondo la cui eliminazione, per altro, avrà reso necessario un riassestamento (si può pensare a un semplice riproporzionamento) del totale dei residenti per far quadrare il dato con le risultanze del bilancio anagrafico, introducendo valori che, seppur marginalmente, non rispecchiano la realtà demografica e che potrebbero introdurre elementi di distorsione nel calcolo di alcuni indicatori.

Tutto ciò premesso, se i fatti si sono svolti così come ipotizzato, e se effettivamente sussistono le imprecisioni di cui si è detto, la richiesta che un “demografo-utente” potrebbe indirizzare al colpevole del misfatto (le statistiche ufficiali) è che si intervenga nelle procedure al fine di risolvere un problema che esiste da tempo, che non è certamente drammatico ma che tuttavia, in ultima analisi, disturba e toglie valore a un sistema informativo che è apprezzabile e oggi più che mai utile per monitorare una congiuntura demografica particolarmente bisognosa di attenzione. Come si usa dire: “grazie in anticipo per ciò che in tal senso si potrà fare”.