Un salto di troppo? I benefici delle regole continue e riforma dei sussidi di disoccupazione in Italia
Nei criteri di accesso a misure di welfare pubblico le regole discrete sono sempre state preferite a quelle continue, un po’ perché in passato esse erano più facili da gestire per la macchina burocratica (priva di moderni strumenti informatici), ma anche perché la mente umana ragiona meglio quando inquadra un problema in categorie discrete.¹ Tuttavia, regole di questo tipo possono presentare svantaggi sostanziali, sia da un punto di vista di efficienza che di uno di equità.
Un salto di troppo: comportamento opportunistico e regole discrete
Per sua costruzione, una regola discreta dà origine ad una forte variazione in una prestazione anche in presenza di piccole differenze nelle caratteristiche individuali.
Da un lato questo può apparire non equo: in pochi casi i bisogni degli individui cambiano drasticamente attorno ad una soglia. Come conseguenza viene negata una parità di trattamento a persone con simili bisogni. Dall’altro lato è ragionevole pensare che gli individui abbiano incentivo influenzare o manipolare tali caratteristiche individuali, in modo da avere accesso ad un trattamento migliore. Alterare la data di un particolare avvenimento o alcune loro caratteristiche è a volte davvero semplice, e permette, con un piccolo cambio di comportamento, un notevole miglioramento delle proprie condizioni. Prendiamo ad esempio un individuo che deve rispettare una soglia di reddito di 10mila euro annui per ricevere un sussidio: sapendo che al superamento della soglia reddituale il sussidio sarà sospeso, il lavoratore potrebbe ritenere conveniente limitare la propria capacità reddituale in modo da mantenere l’idoneità al ricevere il sussidio. Questo fenomeno genera una serie di costi sia per lo Stato che per il lavoratore. In primo luogo lo Stato si trova a dover erogare più sussidi di disoccupazione di quanti ne erogherebbe in assenza della regola discreta. In secondo luogo, la perdita dei sussidi di disoccupazione genera nel lavoratore stesso una perdita di incentivo ad affrontare i costi per la ricerca di un posto di lavoro che rispetti le caratteristiche desiderate.
Nella prossima sezione presentiamo un caso analogo, supportato questa volta da dati: sussidi di disoccupazione.
Il caso: i sussidi di disoccupazione e recenti riforme
I sussidi di disoccupazione vanno certamente contati tra le prestazioni più rilevanti erogate dallo Stato. Essi forniscono ad un lavoratore che ha perso involontariamente la propria occupazione un temporaneo supporto reddituale. Questo permette un mantenimento di un adeguato standard di vita durante il periodo di disoccupazione e una maggiore tranquillità nella ricerca di un lavoro appropriato.² In passato, l’età al licenziamento era un elemento molto rilevante in quanto un lavratore licenziato dopo i 50 anni avrebbe ottenuto circa 4 mesi in più di sussidio (8 mesi se con meno di 50 anni al licenziamento e 12 mesi se con più di 50 anni). Nosnostante alcuni cambiamenti nel numero di mesi addizionali concessi a partire dal 2013, questo “salto” (di troppo) ha caratterizzato il sistema fino al 2015.
Appare evidente che un incremento così sostanziale nella durata del sussidio poteva spingere gli individui a cercare di influenzare la data di licenziamento in modo da soddisfare questo requisito. Per vedere se questa intuizione è confermata nei dati, abbiamo utilizzato le banche dati INPS per controllare se in quel periodo il numero di persone licenziate poco sotto i 49 anni fosse drasticamente diverso al numero di persone licenziate poco sopra i 50 anni. Il grafico 1 riporta la distribuzione dell’ età al momento del licenziamento dei percettori del sussidio di disoccupazione negli anni 2013-2015 nella prossimità della soglia dei 50 anni. Come si può osservare il numero di licenziamenti diminuisce in modo consistente per i mesi precedenti il compimento del cinquantesimo anno di età per aumentare drasticamente appena dopo i 50 anni. Questo sembra suggerire che i lavoratori cercassero di mantenere il posto di lavoro per alcuni mesi in modo da ottenere un maggiore sussidio. In tale prospettiva, è interessante osservare ciò che è accaduto con la riforma Naspi nel Aprile del 2015. Questa riforma ha eliminato il salto nella durata del sussidio di disoccupazione a 50 anni legando la durata al numero di settimane lavorate negli ultimi quattro anni prima del licenziamento. Come si può notare in figura 2,³ questo ha fortemente ridotto la discontinuità osservata con il precedente sistema, ora limitata solo al mese dopo aver compiuto 50 anni. Inoltre è completamente assente la riduzione osservata prima dei 50 anni. Una cosa è chiara: la riforma Naspi, a prescindere da altri suoi aspetti, ha eliminato una fonte di inefficienza e ha aumentato l’equità del sistema.
La figura 3 riporta, in termini porporzionali, quanti più lavoratori licenziati poco oltre i 50 anni di età vengono osservati rispetto a quello che si dovrebbe osservare in assenza di manipolazione[4] tra i percettori di ASPI. Colori più scuri indicano aree dove il fenomeno è più forte. Questo fenomeno risulta assai consistente soprattutto nelle regioni meridionali dove il numero di licenziati poco al di sopra dei 50 anni è del 30% superiore rispetto a quello previsto. Risulta invece più moderato nel centro Italia ed ancora meno al Nord Italia tranne per la Lombardia, sostanzialmente allineata con il Centro Italia.
Qualche conto ed una lezione generale
Una naturale conseguenza della manipolazione dell’età del licenziamento, vista la più lunga durata del sussidio, è l’aumento di costi diretti per lo Stato. Facendo un conto sommario, il maggior costo per lo stato può essere stimato di circa un milione e mezzo di euro al anno.[5] Questo implica che negli ultimi 7 anni, dal 2008 al 2015, il costo complessivo è stato di circa 11 milioni di euro. Per quanto questa cifra appaia significativa il contibuto sul costo totale degli ammortizzatori sociali (24 miliardi di euro nel 2014) appare piuttosto esiguo. Al netto di mere considerazioni di cassa, la riforma del 2015 ha comunque eliminato una fonte di inefficienza del sistema che portava ad una serie di costi aggiuntivi per cittadini e Stato. Da questa analisi possiamo poi trarre una lezione generale: regole di policy discrete, che prevedono un salto nella prestazione in base ad una o più caratteristiche manipolabili dal percettore, tendono ad incentivare comportamenti poco virtuosi. L’utilizzo di regole continue può, in quest’ottica, apportare numerosi vantaggi evitando sprechi e dispendio di risorse.
¹ Vedere “The tyranny of the discontinuous mind” di Richard Dawkins.
² La presenza stessa del sussidio porta il lavoratore ad allungare eccessivamente il proprio periodo di disoccupazione ma per il presente articolo tralasciamo questo aspetto.
³ Per maggiore completezza del database si utilizzano in questa sede solo i dati del 2015.
[4] A livello tecnico, si assume una distribuzione continua che viene stimata attraverso una regressione OLS con un polinomio nel età al licenziamento.
[5] Il costo è stato calcolato usando la differenza in esborso medio per individui al di sopra ed al di sotto della soglia dei 50 anni moltiplicata per il numero stimato di individui che hanno spostato il loro licenziamento a poco dopo il loro cinquantesimo compleanno.